[CURIOSITA'] Forse non tutti sanno che.....

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Author Topic: [CURIOSITA'] Forse non tutti sanno che.....  (Read 46716 times)

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Reply #20 on: March 20, 2013, 05:42:23
Il Conus Geographus....



....è il più mortale tra le circa 500 specie del suo genere. Il suo guscio elaborato è molto ricercato dai collezionisti (fotografia di Kerry Matz).
 
Il veleno del Conus geographus, straordinariamente tossico, deve essere abbastanza forte da paralizzare all'istante, altrimenti il pesce predato riuscirebbe a nuotare via per morire da un'altra parte e il lento gastropode si sarebbe sforzato invano.

Originario delle scogliere dell'Indo-Pacifico, questo animale cresce fino a 15 centimetri e ha un guscio bianco e marrone apprezzatissimo dai collezionisti.

Il Conus geographus è il più velenoso fra le 500 specie del suo genere ed è considerato responsabile anche della morte di alcuni esseri umani; il veleno, un miscuglio di centinaia di tossine diverse, viene trasmesso da un dente a forma di fiocina che sporge dalla bocca, che è estendibile.

Non esiste un antiveleno contro le punture del Conus geographus, e l'unico rimedio consiste nel cercare di tenere le vittime in vita fino a quando le tossine non scompaiono. Paradossalmente, il veleno è ricco di proteine che, isolate, sarebbero ottime come antidolorifici.

Studi scientifici hanno dimostrato che queste proteine attaccano alcuni ricettori umani del dolore e sono fino a 10.000 volte più efficaci della morfina, senza averne gli effetti collaterali o causare dipendenza.

Il conus geographus è detto anche "lumaca della sigaretta", un'esagerazione umoristica per dire che una persona punta da questo animale avrebbe appena il tempo di fumare una sigaretta prima di morire.

FONTE: nationalgeographic.it
Sempre camminerò per queste spiagge tra la sabbia e la schiuma dell'onda.
L'alta marea cancellerà l'impronta e il vento svanirà la schiuma.
Ma sempre spiaggia e mare rimarranno.
Kahlil Gibran


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Reply #21 on: March 26, 2013, 02:08:49
Il Grande squalo bianco .....ha piu' appetito di quanto creduto

L'appetito del grande squalo bianco (terrificante protagonista delle serie di film 'Jaws') e' assai piu' grande di quanto finora creduto dagli scienziati. Lo rivela una nuova ricerca australiana, che sfata anche la credenza diffusa, secondo cui il piu' grande predatore dei mari puo' sopravvivere a stomaco vuoto per lunghi periodi, anche un mese.

Gli scienziati dell'Istituto di studi marini e antartici dell'Universita' della Tasmania hanno 'etichettato' 12 grandi squali bianchi presso la Neptune Island al largo dell'Australia meridionale con sistemi di posizionamento radio, per registrare con che velocita' nuotavano e quindi calcolarne il metabolismo e i fabbisogni di energia.


(Fotografia di Brian J. Skerry).

Obiettivo della ricerca erano le abitudini alimentari di creature ancora poco conosciute, e la localita' e' stata scelta perche' le acque attraggono gli squali che si nutrono di cuccioli di foca di una vicina colonia. ''Il solo studio precedente sul fabbisogno di energia degli squali, condotto in America negli anni '80, suggeriva che uno squalo bianco da una tonnellata puo' sopravvivere con un pasto di 30 chili per circa un mese e mezzo. Tuttavia la nostra ricerca indica che un simile pasto fornisce energia per molto meno, fra 12 e 15 giorni'', scrive il responsabile dello studio Jayson Semmens, sulla rivista Scientific Reports.

''Il loro tasso di metabolismo e' molto piu' rapido di quanto si credesse''. I risultati sul fabbisogno di energia dei predatori di vertice, come i grandi squali a rischio di estinzione, sono di importanza critica per comprendere il loro ruolo negli ecosistemi e le implicazioni di una diminuzione del loro numero, aggiunge Semmens. ''Lo squalo bianco e' piuttosto vulnerabile perche' e' longevo, si riproduce tardi nella vita e produce una prole di numero ridotto''.

FONTE: ANSA
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Reply #22 on: March 28, 2013, 03:41:53
Lo Squalo Tigre (Galeocerdo cuvier)

deve il suo nome alle scure righe verticali che distinguono gli individui più giovani: con l’avanzare dell’età, la striatura si va sempre più attenuando fino a sparire quasi del tutto. Questo grande predatore dal muso schiacciato ha una meritata fama da mangiauomini: negli attacchi ai natanti è secondo solo allo squalo bianco, ma, a differenza di questo, di solito non scappa via dopo il primo morso a un essere umano, perché il suo palato quasi non distingue i sapori.

Se il gusto lascia a desiderare, vista e olfatto dello squalo tigre sono straordinariamente acuti. La sua dieta contempla una gamma quasi illimitata di alimenti, e anche le carogne sono molto apprezzate. Ha denti affilati e seghettati, e mascelle potenti che gli permettono di spaccare conchiglie di molluschi e gusci di tartarughe marine. Negli stomaci di squali tigre catturati sono stati ritrovati resti di pastinache, serpenti di mare, foche, uccelli, calamari e addirittura targhe e copertoni.


(Fotografia di Bill Curtsinger)

Gli squali tigre sono comuni nelle acque tropicali e sub-tropicali di tutto il mondo. I più grandi possono misurare fino a 6-7,5 metri in lunghezza e pesare più di 900 chilogrammi. Sono molto pescati per le pinne, la carne e la pelle: dal loro fegato, ricco di vitamina A, si estrae un olio terapeutico. I danni della pesca eccessiva sono aggravati dal basso tasso di ripopolamento degli squali tigre che, nella Lista rossa dell'IUCN, sono classificati “specie quasi minacciata" in tutto il loro areale.

fonte: nationalgeographic.it
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Reply #23 on: April 10, 2013, 01:42:51
Nella Fossa delle Marianne i gamberetti mangiano legno

Secondo un nuovo studio, gli anfipodi scoperti nella Fossa delle Marianne sopravvivono a 10 mila metri di profondità perché si nutrono di legno.


Campioni di Hirondellea gigas furono raccolti nel 2009 nella Fossa delle Marianne nelle vicinanze del Challenger Deep, il punto più profondo della Terra raggiunto nel marzo di quest’anno dal regista James Cameron.

Durante la sua immersione, Cameron ha potuto osservare dal vivo alcuni esemplari di H. gigas, che con i loro cinque centimetri di lunghezza, sono tra gli anfipodi più grandi, addirittura il doppio dei loro parenti più comuni, le pulci di mare.

Questi piccoli gamberetti vivono in sciami a profondità di oltre 10.000 metri, dove il cibo che arriva dalla superficie è praticamente assente. In che modo, quindi, questi crostacei riescono a sopravvivere e a diventare relativamente così grandi? Lo studio ha rivelato che questi piccoli crostacei possiedono dei potenti enzimi in grado di digerire il legno che occasionalmente raggiunge le profondità oceaniche.

“Dipendono dai resti sommersi di legno”, ha spiegato il coautore dello studio Hideki Kobayashi, e biologo marino del Japan Agency for Marine-Earth Science and Technology

Kobayashi ha raccontato che per raccogliere gli anfipodi hanno usato delle trappole in parte realizzate con bottiglie di plastica riciclate. Calate nel Challenger Deep, dopo tre ore, le trappole hanno catturato quasi 200 anfipodi. In laboratorio, i ricercatori hanno identificato gli enzimi che digeriscono il legno e si sono accorti che sono ancora più efficienti una volta ricreate le condizioni di alta pressione del mare profondo.

Enzimi digestivi simili sono stati trovati nelle interiora di altri animali che si nutrono di legno, come le termiti, ma a differenza di altre specie d'acqua profonda, H. gigas non usa funghi o batteri durante la digestione. “Pensiamo che gli anfipodi producano gli enzimi autonomamente nel loro intestino”, ha detto Kobayashi. Il team ha anche rilevato i sottoprodotti della digestione del legno all'interno dei tessuti degli anfipodi. Uno di questi composti, il cellobiosio, “è un componente della cellulosa, che si trova nelle piante e non viene mai sintetizzato dagli animali”.

Come gli autori della ricerca, anche Alan Jamieson, biologo marino dell’Università di Aberdeen, è d'accordo sul fatto che gli anfipodi utilizzino gli enzimi per nutrirsi di legno. “Non sprecherebbero tanta energia per sviluppare una capacità e poi non usarla”, ha commentato Jamieson, aggiungendo che non è affatto sorpreso dalla scoperta, dal momento che “si sapeva già che gli anfipodi si mangiano di tutto. Lo sappiamo che sono in grado quasi di morire di fame per tantissimo tempo, ma quando si presenta l'opportunità di un banchetto, si ingozzano al punto quasi di scoppiare”.

Come osserva Kobayashi, gli H. gigas “sono degli opportunisti e se una nave affondasse nella Fossa delle Marianne, se la mangerebbero volentieri tutta. Addirittura hanno inziato a mordicchiare le parti in legno di ASHURA, il sistema video montato sulle nostre trappole”.

Una nuova fonte di bioetanolo?

Oltre ad aumentare le conoscenze sulla vita degli anfipodi, la scoperta un giorno potrebbe avere dei risvolti positivi sulle tecniche di produzione di bioetanolo, il combustibile che si ottiene dalla fermentazione delle biomasse (canna da zucchero, mais o cereali). A temperatura ambiente uno degli enzimi (cellulase) ha ridotto un foglio di carta comune in glucosio, uno zucchero semplice che può essere utilizzato per produrre bioetanolo. L'enzima degli anfipodi “è in grado di produrre glucosio a partire da alberi, erbacce, paglia, così come dalla carta”, ha detto Kobayashi.

E questo potrebbe rivelarsi un metodo molto efficace per produrre il biocombustibile senza dover usare il mais o la canna da zucchero e quindi intaccare le riserve alimentari globali.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista PLoS ONE.
Foto: JAMSTEC
Fonte: nationalgeographic.it
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Reply #24 on: April 10, 2013, 16:29:30
Negli abissi del nostro Mediterraneo si formano vortici d'acqua di 10 chilometri di diametro.

Si muovono lentamente, a 3.500 metri di profondità. Li hanno scoperti, assolutamente per caso, i fisici dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn) mentre raccoglievano dati per lo studio dei neutrini all'interno del progetto Nemo.

Nemo (Neutrino Mediterranean Observatory) è un osservatorio sottomarino ideato per rilevare il passaggio di neutrini di alta energia provenienti dallo spazio profondo. La collocazione è funzionale allo scopo, visto che i tre chilometri di acqua servono a schermare le altre radiazioni, al fine di ottenere dei dati validi.

Il progetto ha anche previsto l'installazione, nel Mar Ionio, di una serie di strumenti per la misura delle correnti e della temperatura; sono state così raccolte delle serie annuali di dati sulle acque profonde, che sono state poi analizzate dal team di Angelo Rubino, oceanografo dell’Università Ca’ Foscari di Venezia.

Ed ecco la sorpresa: la comunità scientifica non si attendeva di trovare, in un bacino chiuso, catene di grandi vortici simili a quelli che si osservano nell'Oceano Atlantico.

I dettagli della scoperta sono riportati su Nature Communications. Come e dove si formino queste strutture rotanti non è dato saperlo, al momento. L'origine potrebbe essere locale, ma non è escluso che i vortici si creino in zone lontane centinaia di chilometri e che poi arrivino nel Mar Ionio: i ricercatori, tra cui quelli Infn di Roma1, Catania e dei Laboratori Nazionali del Sud, “non escludono un’origine remota legata a processi di instabilità fluidodinamica nelle acque del Mar Adriatico e/o del Mar Egeo”. Per ora, simulazioni numeriche, risultati teorici e precedenti misure su diversi siti sembrano confermare questa ipotesi.

Riferimento: “Abyssal undular vortices in the Eastern Mediterranean basin”, A. Rubino, F. Falcini, D. Zanchettin, V. Bouche, E. Salusti.
Fonte: galileo.net



Nel 365 d.C. un violento terremoto colpì Creta generando uno tsunami nel Mediterraneo, che mobilizzò una gran quantità di sedimenti marini.


Grazie all'analisi proprio di quei sedimenti oggi, al largo delle coste siciliane, i ricercatori guidati da Alina Polonia dell’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Ismar-Cnr) sono riusciti a ricostruire l'evento catastrofico che interessò il Mediterraneo secoli fa. I risultati delle loro analisi sono stati pubblicati su Scientific Report.

“Il deposito è noto con il nome di ‘Omogenite o megatorbidite Augias’ e occupa larga parte del Mediterraneo orientale”, racconta Alina Polonia illustrando la zona presa in considerazione dallo studio: “Per comprendere la sua origine erano state fatte varie ipotesi; tra queste, la più accreditata era l’esplosione del vulcano Thera (Santorini), avvenuta nel 1627-1600 a.C., che distrusse la civiltà minoica. Secondo gli studi del nostro team la causa di quest’enorme deposito sedimentario fu invece uno tsunami generato dal terribile terremoto che colpì Creta nel 365 d.C., con una magnitudo valutata tra 8 e 8,5 gradi della scala Richter”.

A confermare le ipotesi dei ricercatori le analisi del fondale, tra cui immagini acustiche e attività di carotaggio del sedimento eseguite a circa 4 km di profondità, che hanno mostrato un'origine diversa per i costituenti del deposito, come spiega anche Polonia: “L’effetto di un terremoto e dell’onda di tsunami può essere infatti la mobilizzazione di una quantità enorme di sedimenti, che da tutte le zone costiere vanno a depositarsi nella parte più profonda del bacino”.

Secondo i ricercatori, i cui risultati sono confortati anche dai racconti dello storico latino Ammiano Marcellino (330-397 d.C.) che parla di onde altissime penetrate in quel periodo ad Alessandria d'Egitto, l'evento del 365 d.C. non sarebbe stato l'unico a colpire il Mediterraneo. Altri tsunami, in tempi più lontani e a profondità maggiori avrebbero interessato il nostro mare.

Riferimenti: Mediterranean megaturbidite triggered by the AD 365 Crete earthquake and tsunami; Alina Polonia, Enrico Bonatti, Angelo Camerlenghi, Renata Giulia Lucchi, Giuliana Panieri & Luca Gasperini, Scientific Report.
Fonte: galileo.net
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Reply #25 on: April 18, 2013, 09:19:34
.....Il Calamaro gigante

Nonostante il suo fascino misterioso, si sa ben poco del calamaro gigante, uno degli animali più enigmatici del pianeta. Ma ora un team di ricercatori ha scoperto che questi animali leggendari, diffusi in tutti gli oceani, sono molto simili a livello genetico, e contrariamente a quanto creduto sinora ne esiste una sola specie globale.

Protagonista fin dall’antichità dei racconti di marinai e pescatori, questo mostro marino fu descritto per la prima volta nel 1857 dal naturalista danese Japetus Steenstrup, che per definirlo utilizzò il termine Architeuthis dux.

Il calamaro gigante, anche se è uno dei più grandi invertebrati viventi, è conosciuto principalmente sulla base di resti ritrovati nello stomaco dei capodogli o di carcasse spiaggiate. Solo eccezionalmente i ricercatori hanno avuto a disposizione corpi interi, recuperati casualmente durante battute di pesca a strascico in acque molto profonde.



Nel 2004 per la prima volta è stato documentato l’avvistamento di un esemplare vivo, mentre quest’anno è stato pubblicato il primo video. A causa quindi della scarsità di campioni di studio, sono statefatte molte speculazioni sulle loro reali dimensioni e sul numero di specie esistenti.

Dopo Steenstrup, gli scienziati, basandosi spesso su frammenti incompleti di tentacoli e resti decomposti, hanno descritto almeno 21 specie di calamaro gigante, una delle quali avrebbe addirittura raggiunto i 50 metri di lunghezza. Secondo gli autori dell’articolo, invece, la stima più realistica è di circa 18 metri di lunghezza per le femmine e qualche metro in meno per i maschi.

Così, per cercare di riordinare la confusione nella tassonomia del calamaro gigante, i ricercatori, guidati da Inger Winkelmann, dottoranda dell’Università di Copenaghen, hanno analizzato 43 campioni di DNA, appartenenti a esemplari raccolti in tutto il mondo.

Le conclusioni del loro studio sono chiare: a livello mitocondriale, sono praticamente identici e inoltre non vi è nessuna prova che vivano in popolazioni strutturate geograficamente. “Una possibile spiegazione di questo è che anche se ci sono prove che gli adulti vivono in aree geografiche relativamente ristrette, gli esemplari giovani che vivono sulla superficie dell'oceano si lasciano invece trasportare alla deriva dalle correnti, e una volta raggiunta una dimensione sufficientemente grande per sopravvivere negli abissi, pensiamo che si stabiliscano in un’area da dove poi ricomincierà il ciclo. Tuttavia, ci mancano ancora moltissime informazioni sulla vita e le abitudini di queste creature”, ha detto Winkelmann, commentando lo studio che è stato pubblicato sulla rivista Proceedings of the Royal Society B.

Non è ancora chiaro però il motivo di questa bassa diversità genetica e forse come suggeriscono i ricercatori, in passato i calamari giganti andarono incontro a un fenomeno conosciuto come "collo di bottiglia", cioè un evento o una serie di eventi che ridussero drasticamente il numero di individui a pochi esemplari, dai quali discenderebbe tutti i calamari attuali.

Tom Gilbert, genetista del Museo di Scienze Naturali di Copenhagen e supervisore della ricerca, ha detto: “Lavorare su un mostro marino leggendario come il calamaro gigante è stata un’esperienza fantastica. Nonostante i nostri risultati, non ho alcun dubbio che questi miti e leggende continueranno a far sgranare gli occhi ai bambini”.


Fotografia: Tsunemi Kubodera, Museo nazionale di Scienza, Giappone/AP
Autore: Alice Danti
Fonte: nationalgeographic.it
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Reply #26 on: April 23, 2013, 00:04:40
E' stata scoperta una nuova popolazione di rari delfini, nelle Filippine



Mavic Matillano, del team Wwf di Palawan, nelle Filippine, ha scoperto una nuova popolazione di delfini dell'Irrawaddy (Orcaella brevirostris), una specie ad altissimo rischio di estinzione, al largo dell'isola di  Palawan, lungo la costa del Mare delle Filippine occidentale. Jose Ma. Lorenzo Tan, del Wwf Philippines, spiega che «Questo branco di rari mammiferi marini, chiamati localmente Lampasut, è stato osservato un comportamento tipico, la caccia di prede recuperate in nasse e reti calate a circa un chilometro in mare aperto».

Nelle Filippine popolazioni di questi cetacei, con un muso attraversato da una specie di eterno buffo "sorriso"  sono state documentate a Malampaya Sound, al largo dell'isola di Panay e nel mare di Quezon.
Nonostante la loro rarità, i delfini dell'Irrawaddy sono in realtà animali molto adattabili, in grado di vivere in acque con salinità molto diversa: sottopopolazioni discontinue di questi cetacei vivono lungo le coste e negli estuari di grandi fiumi tra il Golfo del Bengala, il Myanmar, la Nuova Guinea e le Filippine.
L'Orcaella brevirostris ha di solito colori tenui, tanto che alcuni esemplari molto chiari possono sembrare beluga. Hanno la testa arrotondata, rostro praticamente assente e una piccola pinna dorsale triangolare. Sono noti anche perché sputano fiotti d'acqua.
Contrariamente a quanti molti credono l'Irrawaddy non è un vero e proprio delfino di fiume, ma un cetaceo oceanico che vive in acqua salmastra vicino a coste, foci di fiumi ed estuari ed è in grado di risalirli per lunghi tratti.
Questi rarissimi animali godono del più alto livello di protezione internazionale ed alcune popolazioni di delfini dell'Irrawaddy sono classificati dall'Iucn come vulnerabili in pericolo di estinzione, mentre alcune  popolazioni locali, come quella filippina di Malampaya Sound sono ritenute a grave rischio di estinzione.

L'avvistamento di Palawan è molto importante perché Matillano, ha contato almeno 20 individui in una sola volta. Per questi delfini si tratta di un branco di dimensioni non comuni, dato che di solito i delfini d dell'Irrawaddy si spostano in piccoli gruppi di massimo 6 animali.
«Per Palawan, questo è un ottimo segno - conclude . Jose Ma. Lorenzo Tan -  Anche se del tutto inaspettata, questa sorpresa è una nuova eccezionale scoperta tremenda per celebrare l'Earth Day nel Coral Triangle».

FONTE: greenreport.it
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Reply #27 on: April 23, 2013, 03:41:07
A Genova rivive il Rex, eccellenza d'Italia
Modelli, foto, film d'epoca ricordano conquista Nastro Azzurro

Una enorme ricostruzione della fiancata del Rex, ispirata al film Amarcord di Federico Fellini, apre la mostra che Genova dedica al transatlantico piu' famoso d'Italia: capace di primeggiare nel mondo sulla rotta atlantica - nel 1933 conquisto' il mitico Nastro Azzurro - il Rex e' oggi, nei propositi degli organizzatori, simbolo delle capacita' e della tenacia italiane.



E' stata l'Autorita' Portuale di Genova a volere festeggiare l'80/o anniversario della conquista del primato, fino ad allora riserva di americani e inglesi, anche perche' fino a oggi nessuno ha ricordato degnamente il Rex. Quella genovese e' infatti la prima mostra dedicata al mito: ''c'e' una memoria collettiva straordinaria dietro al Rex - ha detto il presidente del Porto Luigi Merlo -, fino a oggi mai rievocata perche' il primato arrivo' sotto il regime fascista''.

Ospitata a palazzo San Giorgio, la suggestiva sede dell' Autorita', la mostra (fino al 30 settembre) ha un allestimento ispirato dalla famosa scena del film Amarcord di Federico Fellini con l'enorme fiancata illuminata del transatlantico che transita nella notte al largo di Rimini.

Curata da Paolo Piccione, propone modelli, fotografie, oggetti, grafica pubblicitaria e di propaganda, fotografie d' epoca e memorabilia della grande nave entrata nel mito.

Ne esce un Rex simbolo di tecnologia, coraggio, forza, capacita' umane. La piu' grande nave passeggeri di linea italiana fu varata nel 1931 a Genova ed entro' in servizio nel 1932: aveva una stazza di 51.062 tonnellate, era lunga 268,20 metri e larga 31 metri. Motori con 142.000 cavalli di potenza gli consentirono navigare a 29,5 miglia orarie. Un equipaggio di 756 persone assisteva 604 passeggeri di prima classe, 378 di seconda classe, 410 in classe turistica e 866 in terza classe.

Il 10 agosto 1933, al comando del capitano Francesco Tarabotto di Lerici, partiva da Genova alle 11.30 diretto a New York. Nei giorni 13 e 14 incontro mare agitato e venti contrari da ovest e sud ovest ma le 3.181 miglia da Gibilterra a New York (valide per il record), vennero coperte in 4 giorni, 13 ore e 58 minuti, alla velocita' media di 28,92 nodi.

Il Rex fece poi una brutta fine: distrutto e incendiato a Capodistria in un bombardamento alleato durante la seconda guerra mondiale, venne depredato prima dai tedeschi e poi dagli istriani. Tra i cimeli rimasti, e in mostra a Genova, le lettere del suo breve nome salvate dalla demolizione dello scafo e la campana originale. A Genova e' esposto anche il trofeo Hales, l'ambito premio per la nave piu' veloce dell' Atlantico.

Autore: Alessandro Carlevaro
Fonte e Foto: ANSA
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Reply #28 on: May 12, 2013, 01:21:54
Il clima si studia grazie agli elefanti marini

Come si scopre la fonte di una massa d'acqua profonda antartica? Ci si arma di pazienza, una buona ipotesi di partenza, immagini satellitari, sensori sottomarini e, non ultimo, un buon numero di elefanti marini. È così almeno che un gruppo di ricercatori guidati da Kay Ohshima dell'Università di Hokkaido ha scoperto l'elusiva origine di una “corrente di acqua profonda antartica”, uno dei fiumi sottomarini di fredda acqua polare che contribuiscono a regolare il clima del pianeta. Nello studio, pubblicato su Nature Geoscience, i ricercatori hanno seguito gli spostamenti di un gruppo di elefanti marini (Mirounga leonina) equipaggiati con sensori satellitari. In questo modo sono stati raccolti dati preziosi, che hanno permesso di svelare la misteriosa origine della corrente oceanica.

Le acque profonde antartiche, in inglese Antarctic bottom water (o Abw), sono correnti di acqua fredda e particolarmente salina che si forma vicino alle coste antartiche. Essendo più densa della normale acqua marina, l'Abw sprofonda verso il fondale oceanico, raggiunto il quale scorre lentamente in enormi fiumi sottomarini che si diramano per tutto il globo, contribuendo a regolare il clima terrestre.

Fino a oggi erano noti solo 3 punti di origine di queste acque profonde antartiche: un primo scoperto nel mare di Weddell nel 1940, e altri due trovati nel mare di Ross e lungo le coste del territorio antartico di Terra Adelia, negli anni '60 e '70. Per anni gli oceanografi avevano speculato sulla probabile esistenza di altri punti di origine, senza riuscire però ad individuarli. In alcuni campioni erano stati trovati degli inquinanti atmosferici, noti come clorofluorocarburi, che suggerivano che la massa d'acqua profonda da cui provenivano fosse venuta in contatto con l'aria in una zona lontana dai tre punti di origine noti.

Utilizzando questa informazione, il team di Ohshima ha formulato l'ipotesi che i campioni potessero avere avuto origine in una polynya, una regione di acque aperte in cui le correnti marine e i venti impediscono la formazione di ghiaccio. Utilizzando le immagini satellitari, i ricercatori hanno quindi controllato diverse polynya, individuando un possibile candidato nella regione di Cape Darnley. È a questo punto che sono entrati in gioco gli elefanti marini. Utilizzando dei sensori installati sul fondale e monitorando gli spostamenti degli animali taggati, i ricercatori hanno analizzato la zona, alla ricerca di forti correnti discendenti che tradissero la presenza di una corrente di acqua profonda antartica. L'analisi dei dati ha quindi confermato che si trattava proprio della zona di origine cercata.

“Gli elefanti marini hanno raggiunto una zona della costa irraggiungibile con le barche”, spiega Guy Williams, oceanografo dell'Antarctic Climate and Ecosystems Cooperative Research Centre di Hobart, in Australia, coautore dello studio. “Alla ricerca di cibo, diversi esemplari hanno raggiunto una profondità di oltre 1.800 metri, attraversando in questo modo lo strato di acqua più densa che si inabissava verso il fondale dal polynya. Ci hanno fornito così misurazioni preziose per comprendere il funzionamento invernale di questo processo”. Secondo i ricercatori, i dati emersi dallo studio aiuteranno ora a comprendere con più precisione il ruolo svolto dall'Oceano Glaciale Antartico nella regolazione del clima a livello globale, un'informazione che potrebbe risultare preziosa nella lotta contro il riscaldamento globale.

Riferimenti: Nature Geoscience Doi:10.1038/ngeo1738

Articolo di Simone Valesini
FONTE: galileonet.it
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Reply #29 on: May 20, 2013, 06:48:31
Lo spiaggiamento, singolo o in massa, di cetacei


è un fenomeno ormai conosciuto da tutti e da molto tempo. Le cause che determinano lo spiaggiamento di animali vivi sono al centro di un dibattito aperto che dura ininterrottamente ormai da molti decenni. Le teorie sono varie, ma si può con ragionevole prudenza affermare che tale evento può essere provocato di volta in volta da cause diverse, singole o combinate. Pertanto cause individuali, patologie o comunque situazioni di difficoltà individuale, possono indurre un animale a portarsi in prossimità della costa alla ricerca di un bassofondo sul quale appoggiarsi per poter respirare senza eccessivo sforzo. Se l’animale appartiene a una specie dal comportamento sociale particolarmente sviluppato, può succedere che gli individui del branco seguano fino a terra quello o quelli di loro che sono in difficoltà. Certamente anche cause ambientali, quali ad esempio anomalie locali nel campo geomagnetico, al quale sembra che i cetacei siano sensibili, possono provocare fenomeni di spiaggiamento talvolta anche massiccio.  Per i Cetacei che invece arrivano a terra ormai morti, spinti dalle correnti e/o dalle mareggiate, la determinazione delle cause di morte assume un aspetto di estrema importanza per la valutazione dello stato di salute delle popolazioni e dell’impatto antropico operato dalle attività umane direttamente in mare o sulla costa. Ma gli spiaggiamenti di Cetacei sono una fonte di informazioni notevole perché dalle carcasse recuperate si possono ricavare notizie e dati riguardanti la biologia, l’ecologia, le patologie delle specie mediterranee e il livello di contaminazione e quindi lo stato di salute dei nostri mari.

In Italia il monitoraggio degli spiaggiamenti di carcasse o il soccorso di animali vivi lungo tutti gli 8000 km di coste nazionali, viene effettuato dal Centro Studi Cetacei (CSC) della Società Italiana di Scienze Naturali. Questa struttura operativa è nata nel 1985 durante il I° Convegno Nazionale sui Cetacei tenuto a Riccione nei giorni 18/19/20 ottobre  per iniziativa del Museo Civico di Storia Naturale di Milano e su invito dell’Adriatic Sea World di Riccione, che ne curò l'organizzazione e l’ospitalità.

Per attivare il Progetto Spiaggiamenti fu determinante la sponsorizzazione di Europ Assistance Italia S.p.a., che offrì gratuitamente il proprio servizio di centralino telefonico 24 ore su 24, tuttora operante, per ricevere da tutta Italia le segnalazioni riguardanti i Cetacei spiaggiati o in difficoltà. Contemporaneamente ebbe fondamentale importanza la collaborazione che il Ministero della Marina Mercantile assicurò mediante le Capitanerie di Porto e rispettive suddivisioni amministrative, quali organi di controllo del litorale maggiormente qualificati a segnalare lo spiaggiamento di Cetacei.

Il CSC per il “Progetto spiaggiamenti” è organizzato sulla base di una rete periferica nazionale costituita da 17 Unità Operative distribuite in 12 regioni, facenti capo a 17 Corrispondenti di Zona (C. Z.). Questi ultimi sono responsabili nei confronti del Centro Studi Cetacei dell'operato nel loro ambito territoriale con una serie di compiti vari fra i quali i prioritari sono stabilire e mantenere contatti con tutte le Autorità locali che sono coinvolte durante ogni evento di spiaggiamento e organizzare e coordinare tutte le fasi dell'intervento.

Ogni volta che si verifica uno spiaggiamento si pone in atto la seguente procedura:

1) lo spiaggiamento viene rilevato dalle Autorità locali (Capitanerie di Porto, Carabinieri, Guardie di Finanza, Guardie Forestali etc.) o da privati cittadini;

2) viene data notizia dell'evento telefonando a Europ Assistance (02/58241) che provvederà ad informare la sede operativa del CSC;

3) dalla sede operativa viene avvisato il Corrispondente di Zona del CSC competente per territorio, al quale vengono trasmesse tutte le informazioni ricevute;

4) il Corrispondente di Zona, dopo aver controllato direttamente  e avuta conferma dell’evento, attiva il proprio gruppo di intervento e, d'intesa con le Autorità locali, organizza l’intervento.

Questo si articola in varie fasi. Nella prima viene effettuata l’ispezione della carcassa, la sua identificazione specifica e il rilevamento di standard biometrico. è compito del C. Z., inoltre, provvedere per l'esecuzione dell'esame necroscopico da parte di personale veterinario specializzato, coordinare il prelievo di campioni di organi e di tessuti per analisi batteriologiche, virologiche e parassitologiche e per le varie ricerche di coloro che, tramite il CSC, ne hanno fatto richiesta.  Di estrema importanza è la seconda fase dell'intervento, a completamento della prima, consistente nel recupero irrinunciabile, totale o parziale, dei reperti osteologici e nella loro musealizzazione, che deve essere garantita con ogni mezzo dal Corrispondente di Zona.

Dalla sua costituzione il CSC ha effettuato circa 2600 interventi con un ingente recupero di materiali osteologici che sono andati ad arricchire le collezioni di molti Musei naturalistici. Inoltre la mole di dati raccolti è tale da costituire una preziosa banca a disposizione della comunità scientifica nazionale e internazionale.

L’Italia è l’unico paese del Mediterraneo e dell’Europa ad avere organizzato e attivato una rete nazionale per il monitoraggio degli spiaggiamenti dei Cetacei e a pubblicarne un consuntivo annuale. 

AUTORE: M. Borri
FONTE: unipv.it
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Reply #30 on: May 24, 2013, 07:57:23
I Tornado in Italia

I tornado sono possibili anche in Italia, dove pero' sono molto meno intensi e decisamente piu' rari di quanto non lo siano negli Stati Uniti. Le zone nelle quali la loro formazione e' piu' frequente sono le zone costiere e, soprattutto,la Pianura Padana.

''In queste zone possono formarsi sistemi connettivi che in particolari condizioni possono dare origine a dei tornado'', osserva Massimiliano Pasqui, dell'Istituto di Biometeorologia del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Ibimet-Cnr). ''I meccanismi che li generano sono gli stessi che agiscono ovunque, la differenza - spiega - e' nell'energia''.
Cio' che in Italia rende impossibile la formazione di violenti tornado, declassandoli a trombe d'aria, sono le caratteristiche tipiche del Mediterraneo e quelle del territorio italiano. Innanzitutto c'e' la grande vicinanza fra il mare e le zone piu' interne del Paese: ''Il Mediterraneo non e' mai lontano dall'entroterra e in queste condizioni la formazione di vortici puo' essere facilmente disturbata dagli ostacoli, primi fra tutti i monti'', rileva Alfonso Sutera, del dipartimento di Fisica dell'universita' Sapienza di Roma.

Per questo motivo la Pianura Padana e' la zona nella quale piu' facilmente possono formarsi le trombe d'aria. Qui le masse d'aria fredda e secca possono incontrare quelle di aria calda e umida, innescando i moti convettivi all'origine degli uragani. ''Tuttavia non si verifica mai una situazione confrontabile a quella degli Stati Uniti'', osserva l'esperto.
Le stagioni piu' frequenti sono quelle che segnano il passaggio dalla stagione fredda a quella piu' calda. ''La primavera e' una delle stagioni piu' a rischio - spiega Pasqui - perche' in questo periodo dell'anno e' piu' frequente la presenza di masse d'aria fresca capaci di accentuare l'instabilita', associati a sistemi convettivi''.

Tuttavia, rileva Sutera, bisogna considerare che le differenze stagionali nel Mediterraneo non sono mai troppo marcate: ''Possiamo distinguere nettamente due stagioni: una fredda ed una calda'', osserva. ''Il Mediterraneo - prosegue Sutera - e' un grande mediatore di eventi meteorologici. E' un mare chiuso e mantiene una temperatura sufficientemente alta da far si' che le instabilita' siano rare: e' difficile che si verifichi la formazione di aria molto calda e umida al di sotto di masse d'aria molto secca e fredda''.

FONTE: ANSA
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Reply #31 on: May 26, 2013, 06:44:12
Mongolfiere sottomarine catturano energia di sole e vento
Allo studio una sperimentazione lungo coste Sicilia e Calabria

(ANSA) - MILANO, 20 MAG - Intrappolare l'energia del sole e del vento in fondo al mare per usarla solo quando necessario: è possibile grazie a vere e proprie 'mongolfiere' sottomarine, degli enormi palloni ancorati al fondale che accumulano al loro interno aria compressa per liberarla sotto forma di energia elettrica quando richiesto.

Questi innovativi sistemi di accumulo sono allo studio nei laboratori di Rse (Ricerca sul Sistema Energetico), e presto potrebbero essere testati lungo le coste di Sicilia a Calabria.

"Si tratta di grandi palloni che si gonfiano e sgonfiano come delle fisarmoniche, raggiungendo quasi 4.000 metri cubi di volume", spiega Federico Cernuschi, l'ideatore del progetto nato nel 2011.

'Figli' della ricerca aerospaziale, i palloni sono composti da un tessuto impermeabile ed elastico montato sopra un'intelaiatura metallica. Ancorati al fondale a 5-10 chilometri dalla costa, ad una profondità di circa 500 metri, possono immagazzinare sotto forma di aria compressa l'energia prodotta in maniera discontinua dalle fonti rinnovabili, in modo da liberarla secondo le esigenze del mercato elettrico. In uno scenario di lungo periodo potrebbe prendere forma anche un'ipotesi di particolare interesse, cioé quella di associare i palloni agli impianti eolici off-shore. "L'idea però non sembra di facile applicazione - afferma Cernuschi - perché le piattaforme con le pale eoliche vengono di solito installate dove la profondità del mare e la pressione esercitata dall'acqua non sono adatte ai palloni per l'accumulo".

Per chiarire tutti i problemi tecnici che possono sorgere dall'installazione e dalla gestione di questi serbatoi sottomarini, gli esperti Rse stanno valutando la possibilità di avviare una sperimentazione con un piccolo prototipo del pallone. Al momento sono state individuate tre possibili località dislocate lungo le coste calabresi e siciliane.(ANSA).

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Reply #32 on: June 01, 2013, 17:02:37
Ambiente: in Messico ong compra e libera squali catturati
Pelagic life li acquista da pescatori, vivi valgono piu' che da morti

(ANSA) - ROMA, 27 MAG - La loro fama è da sempre pessima. Film, racconti, leggende, persino i cartoni animati li descrivono come spietate macchine da guerra, cacciatori d'uomini, sempre affamati. Gli squali però sono responsabili di appena una manciata di vittime l'anno in tutto il mondo e sono un pezzo importante dell'ecosistema. Per questo l'Organizzazione messicana Pelagic Life compra ai pescatori della Baja California, a un prezzo superiore a quello di mercato, gli squali presi reti e negli ami per liberali di nuovo in mare. Il 'prezzo' di uno squalo varia a seconda della sua grandezza e specie. Si va dai 100 pesos (circa 6 euro) di un piccolo Mako fino ai 500 pesos degli esemplari di maggiori dimensioni come lo squalo martello. L'idea è quella di far capire ai pescatori che uno squalo vivo vale di più di uno morto sia per il ricavo immediato che per la salvaguardia dell'ecosistema e quindi del proprio futuro. Sul lungo termine si punta a fare delle acque Messico un 'santuario' degli squali per sviluppare forme di ecoturismo. "Dobbiamo tutti renderci conto - spiega Monica Lafon di Pelgic Life - che dobbiamo unire i nostri sforzi per arrivare a un cambiamento positivo" della salute dei nostri mari. Un modo per invertire una caccia senza quartiere che, al contrario delle leggende, sono gli squali a soffrire per mano dell'uomo. In un anno si calcola che ne vengono pescati oltre 100 milioni, magari per il consumo delle sole pinne particolarmente apprezzate dalla cucina cinese. Con la crescita dell'economia in Cina è infatti salita la domanda e in Messico é partita una caccia indiscriminata. I primi segnali, secondo Pelagic Life, da parte dei pescatori locali sono incoraggianti e la maggiore cooperativa locale sta collaborando al progetto. Fino a ora sono 100 gli squali salvati.(ANSA).
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Reply #33 on: July 01, 2013, 20:24:29
Un tempo era possibile osservare il fantastico scenario offerto dal fenomeno dell’aurora boreale fin sul bacino centrale del Mediterraneo.

La testimonianza diretta del singolare evento arriva proprio dagli antichi romani. Nel 37 a.c., l’imperatore Tiberio osservò da Roma un esteso fascio di luci rosse provenienti dal quadrante occidentale (verso il mar Tirreno) che illumino d’improvviso il cielo dall’oscurità della notte. Stupito dall’insolito fenomeno, Tiberio, decise di inviare alcune squadre di uomini verso il litorale di Roma, per comprendere la natura del fenomeno. In un primo tempo si penso ad un grande incendio scoppiato sul litorale. Ma le squadre inviate sul posto non trovarono alcuna traccia. Dichiarando allo stesso Tiberio di non aver osservato nulla, a parte delle strane scie luminose colorate di rosso che libravano nel cielo della notte, sopra le acque del mar Tirreno. E’ chiaro che l’insolito fenomeno può essere attribuito all’aurora  boreale. Anche nei tempi medievali, quando l’attività solare era piuttosto intensa, troviamo  parecchie testimonianze di affascinanti aurore che illuminavano i cieli del Mediterraneo (inclusa l’Italia), forse legate ad una attività solare molto forte. Forse non sarà un caso se in quel periodo si sperimento il periodo del cosiddetto “optimum climatico medioevale”, fra l’anno 1000 e il 1200-1300, una fase climatica piuttosto calda, tanto che in Inghilterra e in Scozia si coltivava la vite.

FONTE: METEOWEB
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Reply #34 on: July 04, 2013, 18:57:34
Dissetarsi in estate è una necessità, ma purtroppo spesso ci si imbatte in bevande dannose per la salute che non ci si aspetta di incontrare. Il caldo è un nemico subdolo, soprattutto quando  è veramente insopportabile, e può essere causa di colpi di calore che vanno combattuti, come tutti ormai ben sanno, bevendo parecchio, molto più del solito, solo che a volte si fanno le scelte sbagliate, anche se inconsapevolmente, e si assumono bevande che di salutare hanno veramente ben poco. Nulla è meglio di un bel bicchier d’acqua, semmai con l’aggiunta di una fettina o di un po’ di limone spremuto, ma invece ci si fa irretire dalle tante bevande che fanno bella mostra di sé sui banchi dei supermercati, che in molte occasioni invece sarebbe meglio evitare.

Succhi di frutta, bevande gassate, acqua aromatizzata e tante altre ancora, sono tutte bevande che, di primo acchito, sembrano dissetare, me dopo pochi minuti ci si ritrova nelle stesse condizioni di arsura di prima. I malpensanti, o forse solo i più maliziosi, potrebbero anche pensare che questo sia voluto, un po’ come avviene con gli snack per nulla sazianti ma che fanno crescere il giro vita, per cui una bottiglia tira l’altra, a tutto vantaggio del produttore e con scarsi vantaggi, se non addirittura danni, per l’assetato consumatore.

Ma vediamo quali sono queste bevande poco raccomandabili che sarebbe meglio evitare, in particolar modo  per dissetarsi.

I succhi di frutta, tanto amati dagli italiani, quelli confezionati ovviamente, che hanno avuto negli anni passati il loro periodo di gloria anche grazie a campagne pubblicitarie molto ben orchestrate. In questi, in quasi tutti almeno, la presenza della frutta è del tutto occasionale, si potrebbe dire, mentre invece sono a base di acqua addizionata da coloranti e zuccheri artificiali. All’atto dell’acquisto bisognerebbe leggere attentamente l’etichetta, e non dare solo una frettolosa occhiata alla data di scadenza, in modo da verificare le reali quantità di frutta in esso contenute. La soluzione migliore, se proprio si vuole bere un succo di frutta, è quella della preparazione casalinga, cosa che consente anche di verificare lo stato della frutta utilizzata, mentre questo nei succhi confezionati è un controllo impossibile da fare.

Nel periodo estivo in particolar, fanno la loro comparsa le bevande a base di acqua aromatizzata alla frutta, ovviamente, e negli ultimi anni anche a base di fiori. La presenza dei tanto pubblicizzati Sali minerali o vitamine è incerta, mentre è quasi sempre certa la presenza di coloranti e conservanti. La soluzione migliore, come detto anche in precedenza, è un bicchiere d’acqua con l’aggiunta di limone o di una foglia di menta.

Gli energy drink potrebbero essere una buona soluzione se invece non fossero, come quasi sempre accada, eccessivamente ricchi di caffeina e di zuccheri raffinati, che danno una carica pressoché immediata, anche se altrettanto rapidamente questa si esaurisce, ma che qualche danno all’organismo lo fanno, proprio per l’eccessiva loro concentrazione. La soluzione migliore, se si vuole una bevanda energetica, è quella della preparazione casalinga di un bel tè verde freddo, con una spruzzata di limone.

Tanto per restare in argomento, il tè freddo confezionato è quasi sempre eccessivamente ricco di coloranti e conservanti, oltre che del solito zucchero raffinato. Bisogna tener presente che le bevande zuccherate sono dei falsi dissetanti, mentre fanno assorbire una gran quantità di zuccheri, cosa molto poco raccomandabile.

Infine, le bevande gassate. Il fascino delle bollicine, anche se non si sta parlando di spumante, è sempre irresistibile, solo che di buono hanno ben poco. A parte il fatto che sono una delle principali cause del gonfiore intestinale, in quanto l’organismo non riesce ad eliminare i gas in eccesso, sono anche spesso troppo ricche di zuccheri raffinati e sono state accostate ad obesità e diabete. Quindi, per dissetarsi, la cosa migliore a farsi le bevande in casa, senza zucchero e senza nessun’altra cosa che possa essere dannosa per la salute.

Fonte: tuttasalute.net
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AndreaGentile

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Reply #35 on: July 04, 2013, 20:35:34
Da aggiungere che di contro sudare molto e bere molta acqua porta a perdere molti sali minerali: mangiare quindi molta frutta fresca che contiene anche fruttosio (zucchero altamente digeribile), acqua e vitamine... esistono poi integratori da aggiungere all'acqua per compensare le perdite ;)
attrezzatura:
- Lineaeffe Sidney 3,5mt + Shimano Hyperloop 6000
- Lineaeffe Discovery 4,0mt + Colmic Duke XF6000
- Lineaeffe Universal 3,5mt + Colmic Duke XF6000


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Reply #36 on: July 07, 2013, 00:13:10
La cernia dei coralli.....



....è un abile cacciatore, veloce nell'inseguire e nell'attaccare la preda in mare aperto. Ma quando la preda si infila nelle fessure e negli anfratti della barriera corallina, questo pesce ricorre a una sorta di linguaggio dei segni per chiedere rinforzi.

Il pesce infatti "chiama in aiuto" altri due predatori, la murena gigante e il labro Napoleone, aspettando anche 25 minuti che uno dei due si presenti sulla scena.  Lo rivela un nuovo studio apparso ad aprile 2013 su Nature Communications. Quando uno di questi due pesci arriva, la cernia indica col naso la preda nascosta e comincia a scuotere il corpo. È  un segnale che equivale a suonare il campanello per chiamare tutti a tavola: il pranzo è servito!

E a quel punto la squadra di "killer" di varie specie si mette al lavoro. Il labro è quello forzuto, che si lancia contro la barriera corallina e la fa a pezzi, costringendo la preda a scappare per evitare di restare ferita.

"Il labro ha delle fauci possenti, e può distruggere tane che non siano costruite particolarmente bene", afferma il co-autore dello studio Redouan Bshary, etologo dell'Università di Neuchâtel, in Svizzera. "Questi pesci sono in grado di rompere il corallo."
"Così, per evitare di essere schiacciata insieme al suo rifugio, la preda esce dalla tana", continua Bshary, che ha osservato questi comportamenti durante le immersioni effettuate nelle spedizioni di ricerca nel Mar Rosso.

Pur non avendo questa capacità distruttiva, le murene non sono meno letali. I loro corpi sottili permettono loro di penetrare nelle fenditure dei coralli per inseguire la preda al loro interno. Se poi il pesce riesce a sfuggire sia al labro che alla murena, allora la cernia ha una chance in più di procurarsi un pasto.

"Infatti, anche se hanno imparato a lavorare in squadra, i pesci non condividono il cibo", sottolinea Bshary. "Chiunque conquisti la preda, la divora tutta intera."

Anche se, in questo modo, più partecipanti competono per una sola fonte di cibo, le cernie hanno più successo lavorando in gruppo.
Quando cacciano da sole, infatti, catturano una preda ogni 20 tentativi, afferma Bshary. "Quando invece ricevono aiuto, il risultato è decisamente migliore: circa un tentativo su sette va a buon fine".

Caccia di gruppo

Le cernie ricorrono al linguaggio dei segni anche per una "chiamata alle armi". A volte, ancor prima che la preda sia stata avvistata, si avvicinano a un labro o a una murena scuotendo il corpo, movimento che viene interpretato come una richiesta di cacciare in squadra. Il trio inizia quindi a pattugliare l'oceano utilizzando ognuno le proprie capacità specifiche.

"Vanno a cacciare insieme", spiega Bshary, autore dello studio. "Vederli arrivare tutti assieme e cominciare a ispezionare la zona è uno spettacolo abbastanza impressionante".

Gli scienziati non hanno ancora capito perché le cernie siano in grado di comunicare con altre specie. Mentre è risaputo che gli eseri umani, le scimmie antropomorfe e alcuni uccelli sono in grado comunicare, la comunità scientifica finora riteneva che il minuscolo cervello di un pesce non fosse adeguato a questo scopo.

Bshary e il suo gruppo hanno collezionato molte ore sott'acqua per studiare lo stravagante balletto della cernia. "In genere si pensa che sia necessario avere un cervello di grandi dimensioni per poter comunicare gestualmente", afferma Bshary. "Questa scoperta invece dimostra che le abilità cognitive sono indipendenti dalla dimensione del cervello".

Il prossimo passo, continua il ricercatore, sarà ripetere l'esperimento portando queste specie all'interno di un laboratorio, per capire quali altri segreti potrebbero nascondersi dietro gli strani segnali della cernia.

Autore: Mollie Bloudoff-Indelicato
Fonte: nationalgeographic.it
Fotografia di Reinhard Dirscherl, WaterFrame/Getty Images
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Reply #37 on: July 13, 2013, 12:01:57
..Un tubo nel cielo

Il sito della NASA che raccoglie le immagini astronomiche del giorno ha pubblicato questa immagine, corredata da una spiegazione molto più semplice di quello che si possa immaginare. Quella fotografata sulla spiaggia  di Las Olas a Maldonado, in Uruguay, ormai qualche anno fa, ma che non smette di essere riproposta in rete, è infatti una cosidetta nube a rullo:



Si tratta di una formazione nuvolosa allungata e piuttosto rara che può formarsi nelle vicinanze di un fronte freddo in avanzamento. Una corrente d'aria discendente proveniente da un fronte temporalesco provoca il sollevamento dell'aria umida e il suo successivo raffreddamento, formando una nube. Quando questo accade in maniera uniforme lungo un fronte esteso si forma una nube a rullo. Questo tipo di nubi ha effettivamente dell'aria che circola lungo l'asse orizzontale della formazione.

Fotografia di Daniela Mirner Eberl/NASA
FONTE: nationalgeographic.it

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Reply #38 on: August 19, 2013, 18:34:05
Andare al mare fa bene, può persino essere miracoloso ecco perchè

Il mare è un ambiente unico e benefico nel quale il nostro organismo si rigenera e si rilassa.

Le vacanze al mare, oltre ad essere un momento di divertimento, sono utili per alleviare alcuni malesseri, come per esempio problemi dermatologici e le allergie respiratorie. I campi nei quali il mare apporta benefici alla nostra salute non finiscono così ma comprendono l’osteoporosi, la ritenzione idrica e le patologie di tipo reumatico.

L’aria marina è ricca di iodio, di potassio e di altri sali minerali che si sviluppano in seguito all’azione dell’acqua sulla riva, questo fenomeno è ancora più evidente quando il mare si infrange sugli scogli. Quando si sta a riva, si può usufruire di un aerosol salutare a costo zero utile per tutti ed in particolare per chi ha problemi di tipo respiratorio.

Al mare si migliora la circolazione e diminuisce la ritenzione idrica. Per ottenere questi benefici, è sufficiente camminare con le gambe immerse nell’acqua oppure posizionarsi sul bagnasciuga sfruttando il massaggio della risacca.

L’acqua marina, ricca di sali, favorisce l’eliminazione dei liquidi in eccesso, combattendo contemporaneamente anche il gonfiore. Se si soffre di cattiva circolazione e vene varicose, è bene proteggere le gambe dall’azione diretta dei raggi, prediligendo le ore meno calde o stando spesso in acqua e sotto l’ombrellone. Per accentuare l’effetto benefico dell’acqua di mare, è opportuno praticare attività fisica e seguire una dieta ricca di acqua e verdura.

Le vacanze al mare portano giovamenti anche a chi soffre di osteoporosi. Questa è fra le patologie più pericolose perchè non dà sintomi e spesso viene scoperta quando ha già procurato numerosi danni. Per combattere questa malattia, nota anche come “ladro silenzioso”, è fondamentale l‘esposizione solare, da effettuare sempre con i dovuti accorgimenti. E’ bene evitare le ore centrali della giornata, cioè quelle comprese fra le 11.00 e le 16.00, utilizzando anche una crema solare adeguata.

I raggi del sole hanno un’importanza fondamentale perchè favoriscono la produzione di vitamina D che è indispensabile per la salute delle ossa. Il sole è benefico a tutte le età, nei bambini previene il rischio di rachitismo e garantisce un corretto sviluppo scheletrico. Il sole è ideale per il benessere fisico ma anche per quello psicologico perchè migliora l’umore e ci rende più rilassati e felici.

L‘acqua marina è un valido aiuto anche per la nostra cute e chi soffre di problemi come arrossamenti o eczemi. Questi benefici sono possibili grazie alla presenza di alcune sostanze, tra le quali il sodio; i bagni al mare, salvo diversa indicazione specialistica, sono indicati anche per i pazienti affetti da psoriasi o da chi deve curare delle ferite.

In spiaggia, si può sfruttare anche la sabbia che diventa un buon supporto per camminare o correre, smaltendo molte calorie. E’ adatta anche per ottenere un effetto benefico se si soffre di artrosi o di problemi reumatici; alcune sabbie sono particolarmente calde e quindi più adatte per effettuare le sabbiature.

I numerosi effetti positivi che il mare sortisce sulla nostra salute sono alla base dei centri di talassoterapia dove è possibile immergersi in speciali piscine usufruendo di percorsi benessere appositamente studiati per ritrovare la perfetta forma fisica e la salute.

Eleonora Casula - tuttasalute.net

Sempre camminerò per queste spiagge tra la sabbia e la schiuma dell'onda.
L'alta marea cancellerà l'impronta e il vento svanirà la schiuma.
Ma sempre spiaggia e mare rimarranno.
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Reply #39 on: August 30, 2013, 21:30:49


L'autore di queste "architetture" sul fondo del mare non è un alieno degli abissi, ma il maschio di una specie di pesce palla recentemente scoperta, del genere Torquigener, che in questo modo attira l'attenzione della femmina.

Queste strutture circolari larghe due metri furono avvistate per la prima volta una ventina d'anni fa in Giappone, vicino all'isola di Amami-Oshima. La loro origine è rimasta a lungo misteriosa, ma un nuovo studio pubblicato su Scientific Reports ha svelato l'arcano: si tratta "nidi" che questo pesce palla maschio, lungo meno di 13 centimetri, crea con il suo corpo, strusciandosi sulla sabbia in modo da produrre collinette e avvallamenti.

Questo lavoro meticoloso gli porta via circa 10 giorni, e comprende non solo la costruzione dell'architettura, ma anche la sua decorazione, costituita da disegni irregolari nella parte più interna del cerchio e da conchiglie e frammenti di corallo sulle collinette più esterne.

Quando una femmina giunge nelle vicinanze, il maschio solleva la sabbia fine del cerchio più interno del nido, pronto ad affrontare l'ispezione femminile; se il giudizio è positivo, lei depone le uova al centro del nido e se ne va.

Non è ancora chiaro quali siano i criteri di valutazione della femmina, se si basino sui disegni centrali, sulle decorazioni esterne o sulla dimensione e la simmetria del nido. Tuttavia, è probabile che la dimensione abbia un suo peso: un nido più grande potrebbe suggerire che l'autore sia forte e prestante.
Non solo il maschio costruisce il nido, ma si dedica anche alle cure parentali: una volta che la femmina se ne è andata, resta a vegliare le uova fino alla schiusa, che avviene sei giorni dopo la deposizione.


Fotografia per gentile concessione di Kimiaki Ito
Fonte: nationalgeographic.it
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