"La trota di Alfeo" - Storie di pesca a mosca -

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Author Topic: "La trota di Alfeo" - Storie di pesca a mosca -  (Read 1699 times)

mauronini

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on: February 18, 2011, 09:04:53
E' giunto il momento di inserire un'altra storia di pesca vissuta, in unaserata estiva di qualche anno fà.
Buona lettura....

"La trota di Alfeo"

Ho frequentato per anni Castel di Sangro in occasione dei corsi della Scuola, ma a pensarci bene sono state ben poche le occasioni in cui ho pescato l’omonimo fiume, famoso un tempo per le sue grosse trote e per le schiuse massicce.
Forse perché a metà giugno le giornate sono quasi sempre caldissime ed interminabili e dopo aver trascorso 7/8 ore in piedi sotto il sole implacabile del pioppeto, si arriva a preferire una doccia rinfrescante ed una birra sorseggiata davanti al Pizzalto, piuttosto che sfinirsi nell’attesa di una buona schiusa che potrebbe non arrivare.

Quell’anno però ci fu un giorno in mezzo alla settimana del corso, in cui accettai volentieri l’invito di Alfeo che mi aveva proposto di trovarci alle 17.30 da “Fegato sano” per andare insieme a pescare nel Sangro basso, 20 km più a valle del paese nei pressi del metanodotto.
Fegato sano è una rosticceria di Castel di Sangro situata di fronte alla Zittola, e rappresenta uno dei punti di ritrovo di istruttori e corsisti che terminati gli impegni didattici si intrattengono a lungo con l’intento di vuotare calici di birra e di intossicarsi con delle fritture agghiaccianti capaci di alterare le normali funzionalità epatiche.

Alle 18.00 eravamo sul posto e ricordo che il primo impatto con il fiume non fu dei migliori. Anzi devo dire che lo trovai deludente, sporco e con le sponde in frana. C’erano già diversi insetti nell’aria, ma si trattava di chironomi e questo non faceva che rafforzare quelle sensazioni negative.
Pescavamo ad una quindicina di mt di distanza e prendevamo qualche trotella di tanto in tanto; Alfeo ne prendeva di più perché era un pescatore migliore, aveva le mosche buone e conosceva bene il posto, ma la loro taglia non era certo confortante.
 
Poi si spostò più a valle, verso la macchina, mentre io preferii trascorrere l’ultima mezz’ora più o meno nello stesso luogo, speranzoso di intravedere i segni di attività di almeno una delle famose “vecchie” del Sangro.
L’unica attività certa era invece quella delle zanzare, che già da un po’ stavano “brucando”sulla mia pelle scoperta e furono loro a farmi desistere dall’intento di continuare ancora, nella speranza di coronare il sogno che ogni pescatore caldeggia dentro di sé.
Staccai la mosca tagliando il filo proprio sul nodo e la appesi al gilet sulla pelliccetta di montone, recuperai la coda ed il finale nel mulinello e smontai la canna. Quindi feci per raggiungere il mio compagno più a valle.

Lo vidi in un punto in cui il Sangro si restringeva ed aumentavano la velocità dell’acqua e la profondità media; ai lati, rive alberate costituivano potenziali tane per le trote che non avevo incontrato. Era rivolto a valle ed assumeva una strana posizione protesa e curvo sulle gambe, mentre la sua canna che era una vecchia Rosorani risultava completamente piegata fino al manico con il filo che sembrava un sottilissimo lampo di luce  al neon conficcato nel fiume e che fischiava dallo sforzo cui era sottoposto.
Mollai la canna sulla riva e cercai di raggiungerlo, ma la mia foga veniva rallentata dalla resistenza dell’acqua contro gli stivali che iniziarono ad “imbarcare” a causa dell’avanzamento troppo concitato; sentivo quei rivoli di Sangro che mi erano penetrati e che avevano raggiunto il polpaccio, mitigare l’afa di un’intera giornata di giugno racchiusa, compressa in quel vecchio ma inseparabile paio di stivali che mi continuavano a sostenere da una dozzina d’anni ormai.

Mi ero portato alle sue spalle, quando Alfeo si voltò verso di me e mi raccontò quel che era successo con il tono rassicurante di un pescatore a mosca da oltre 40 anni. Aveva sostituito il tip con uno 0,18 e aveva messo una mosca da caccia più grossa, perché quello era il momento in cui le vecchie del Sangro si mettono in caccia.
L’aveva cercata sotto alle piante della riva e lei non si era fatta attendere prendendo quella mosca costruita apposta per lei. La trota stava attaccata a quella mosca da un quarto d’ora e lui non sembrava minimamente risentirne, anche se stava piantato in mezzo al fiume con i suoi settant’anni suonati e la sua vecchia Rosorani tutta inarcata; sembrava potesse rimanere così per sempre, fino alla fine del mondo, predatore e preda avvinghiati in un abbraccio senza fine per l’eternità.

Poi il pescatore sentì che era giunto il momento di prenderla e spostò la canna di lato, portando il pesce in acqua più bassa e tranquilla. Allora la vidi; mio dio quanto era grossa, la trota più grossa che avessi mai visto in Italia, era una fario magnifica ed era stanca perché si limitava a galleggiare sotto il pelo dell’acqua con tutte le poderose pinne spalancate come le vele di un vascello pirata.
Era ormai buio e Alfeo dovette spostarsi alla cieca verso la riva per consentirmi di prendere la sua trota. Mi sentivo pronto e la cinsi delicatamente da dietro per prenderla come si fa con i salmoni e le steel head, afferrando con una mano la caudale e appoggiando l’altra sotto alla testa, ma ebbe un sussulto e si irrigidì sottraendosi alla presa.

Si spostò disegnando una traiettoria a semicerchio, nel tentativo di riguadagnare il centro del suo fiume, ma il pescatore lo sapeva e glielo impedì riportandola nella posizione precedente. L’acqua si era intorbidita e l’adrenalina era al massimo, ma io sapevo di non poter sbagliare ancora e così la presi senza pensarci troppo e la sollevai verso Alfeo che rispose con un sorriso controllato e si avvicinò a me recuperando la lenza in bando.
Aveva il guadino ma la trota era troppo grossa e non ci sarebbe mai entrata, per cui le sfilai la mosca dalla poderosa mascella e la mantenni ancora un po’ in acqua per rianimarla prima di restituirla al fiume che quella sera, proprio davanti a me aveva compiuto uno dei suoi prodigi.

La fario era bellissima lunga e muscolosa che sembrava una corazzata. Tutto in lei era perfetto ed equilibrato; la testa robusta e pronunciata, le fauci possenti, la livrea che sembrava dipinta a mano e le pinne sviluppatissime e trasparenti: che pesce che era!
Lo stavo osservando al buio, dilatare ritmicamente le sue branchie in una spanna d’acqua e con la “chiglia” che aveva recuperato il giusto assetto quando si mosse energicamente, ma con grazia ed io la lasciai andare come doveva essere. Il buio la inghiottì insieme al suo fiume ed io stentai a ritrovare la mia canna che avevo mollato su quella riva.

Mi complimentai con Alfeo abbracciandolo e gli dissi che ad occhio e croce quella trota poteva superare i settanta centimetri. Fu solo allora che mi raccontò di averne catturata un’altra, poco prima, ancora più grossa. Lo scrutai per un attimo, come a volermi accertare che non stesse scherzando, e poi ci cambiammo al buio in una magica atmosfera estiva che non potrò mai dimenticare, come i morsi delle zanzare che festeggiavano anche loro sopra di noi.

Fu bello tornare al Pizzalto quella sera, arrivare stanchi e sudati nel ristorante dove quasi tutti avevano terminato di mangiare e si attardavano ai tavoli a parlare di pesci, di lanci e di mosche. Mi tuffai letteralmente su un piatto di pastasciutta fumante, mentre Alfeo scelse una minestra, per stare leggero.
Lo guardavo mentre parlava e notavo che ciò che aveva vissuto con quella trota non lo aveva alterato; sembrava “abituato”e riusciva a contenere le proprie emozioni come uno che ha vissuto tanto e profondamente.
Capii allora che non stava scherzando e che ne aveva presa una ancor più grande, solo che io non l’avevo vista perché ero rimasto da solo, più a monte, a cercare la stessa preda nel posto sbagliato.


Mauro


^FLY^

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Reply #1 on: February 18, 2011, 11:10:28
Mauro, mi riporti indietro di tanti anni, quando ancora sulle riviste di pesca a mosca si potevano leggere queste belle storie.

 
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donatot

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Reply #2 on: February 18, 2011, 11:46:07
Mauro, mi sembra di conoscere il posto, non è per caso, da Ateleta a salire verso il ponte della ferrovia? prima di ponte s.Giovanni.

ps: Mauro, Alfeo, Montesi e Angelo R., non ti hanno mai raccontato! quello, che hanno preso sul Sele...tanti anni fa, quando si capiva di meno e si pescava di più.

ciao
>(((((((((°><°)))))))))<
Molto meglio la riva silenziosa di un fiume in una calda giornata di primavera con gli insetti che ti schiudono tutto intorno e accompagnati solo da qualcuno che è capace di assaporare questa magica atmosfera.


mauronini

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Reply #3 on: February 18, 2011, 12:24:49
Donato prtroppo non conosco quei posti così bene come te.
Mi ricordo che scendemmo a valle di CdS per un ventina di km e poi sulla destra c'era la tubazione di un metanodotto. Io pescavo con i cosciali perchè eravamo oltre la metà di giugno, ma spesso erano necessari gli waders per raggiungere alcune postazioni.
Non mi ricordo il nome dei paesi che sorgono nei dintorni, ma tu avrai certamente capito.

Ciao

Mauro


donatot

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Reply #4 on: February 18, 2011, 12:30:45
Era un poco prima di Ateleta, ho capito dov'era, perché era anche il posto di Roberto e Claudio B. che poi era lui che conosceva bene la zona e Claudio era della zona.

Ciao
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Molto meglio la riva silenziosa di un fiume in una calda giornata di primavera con gli insetti che ti schiudono tutto intorno e accompagnati solo da qualcuno che è capace di assaporare questa magica atmosfera.


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