UNA TROTA UN BICCHIERE DI VINO E UNA FETTA DI PECORINO
Siamo alla fine degli anni ’80, in quel periodo per raggiungere il posto di lavoro dovevo percorrere 80 chilometri in mezzo all’Altipiano Silano. La strada costeggia il lago Cecita e attraversa alcuni ponticelli sotto i quali scorrono piccoli torrenti immissari del lago. In Settembre, il più delle volte, alle sette del mattino, il lago è coperto da uno strato di nebbia che si dilegua quando il sole è più alto. Al ritorno,sparita la nebbia, il lago Cecita si mostra in tutta la sua bellezza, gli fanno da contorno fitti boschi di larici e abeti tra i quali si intravvedono gruppi di casette col camino fumante. Quasi sempre mi fermavo, per qualche minuto, in una piazzola situata alla testa di un ponticello sotto il quale scorre uno degli immissari. Un po’ più a monte c’è una casetta con un portico al quale sono appese retine piene di mele, patate, e prodotti tipici silani.
Quel giorno, durante la mia abituale sosta, nell’affacciarmi dal ponticello, scorgo in una buca stretta e lunga, una bollata diversa da quelle che ero abituato a vedere. Era una bollata quasi impercettibile che si ripeteva ad un ritmo regolare. Intuisco subito che deve trattarsi di una trota di taglia. Per qualsiasi evenienza porto sempre nel baule della macchina una cannetta di sette piedi, in fibra di vetro. Decido di provare, scendo più a valle per non disturbare il posto e cercare di capire che tipo di insetto stava schiudendo. Noto sull’acqua alcune formiche alate e cerco, convulsamente, nella scatola delle mosche, una black gnat, ne trovo una un po’ malandata con ancora uno spezzone di finale attaccato, la monto e come un guastatore mi avvicino, cercando la posizione adatta al lancio. Al primo tentativo, nel lancio all’indietro, aggancio un cespuglio. Impreco dentro di me ma non mi perdo d’animo. Il secondo tentativo va a buon fine, la mosca si posa e dopo qualche secondo viene risucchiata nel mezzo di una delicatissima bollata. La ferrata è immediata, dopo un po’ di lotta una fario di circa 45 centimetri è vicino ai miei piedi. Senza toglierla dall’acqua afferro l’amo che si era conficcato sul labbro superiore, lo sgancio e la trota riacquista la libertà.
Soddisfatto come non mai mi rialzo per tornare alla macchina, quando sento una voce: << Allora l’hai presa? E’ un mese che ci sto provando, ma mi frega sempre>> Alzo lo sguardo e vedo sul ponte una figura sotto un cappello scuro stropicciato, con in mano un bastone e vicino a lui un bel cane chiaro, un pastore maremmano :<< Si, l’ho presa>>, risposi,<< ma te l’ho lasciata così puoi tentarla ancora>>. Ritornato sulla strada lo trovo vicino alla macchina che mi aspettava per stringermi la mano, mentre il cane si avvicina annusandomi. Era il proprietario della casetta con il portico. Mi invita ad andare un attimo a casa sua, voleva saperne di più su quel modo strano di pescare e su quella curiosa attrezzatura che vedeva per la prima volta e che era riuscita a prendere quella trota tante volte tentata ma mai presa. Ci sediamo sotto il portico davanti ad un tavolo il cui piano era formato da rami di pino serrati l’uno accanto all’altro. Prende un fiasco impagliato pieno del suo vino riempie due bicchieri, apre una forma di pecorino, ne mette alcune fette sopra un tovagliolo bianco e, discutendo di trote di esche e di canne, beviamo alla nostra salute e a quella della nostra amica fario.