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La Pesca a Mosca praticata attraverso il Lancio con code leggere è certamente affascinante e talvolta spettacolare, ma quando la velocità risulta scarsa non avvertiamo sufficiente tensione di coda e allora diventa molto difficile gestire il sistema e pescare efficacemente. Molto spesso la causa va ricercata nel caricamento, da cui parte l'intero lancio: ne vogliamo parlare?

Mauro

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PESCA CON LA MOSCA / "Quel giorno sull'Alberone"
« on: March 10, 2011, 19:48:16 »
La vacanza era iniziata male e la pioggia che ci accompagnava  insistentemente dal giorno della partenza aveva reso impescabili tutti i corsi d’acqua del Friuli. Ci eravamo stabiliti a Tarcento, un piccolo centro sul fiume Torre dove avevamo in programma di pescare i temoli e le trote marmorate, ma dopo una giornata del tutto infruttuosa e che aveva visto crescere oltremodo i livelli delle acque, decidemmo di spostarci anche se non sapevamo dove andare.

Avevo aderito a questa gita di Club con l’entusiasmo tipico di chi ha appena iniziato con la Mosca ed ero partito con due compagni che conoscevo da poche settimane: Luigi, Avvocato e proprietario della Passat station wagon e Fabrizio, Professore dell’Ospedale S.Giovanni di Roma . A Tarcento ci saremmo ricongiunti con gli altri compagni del Club, tra cui Gigi e Stefano di Ardea che erano partiti più tardi e avevano percorso gli oltre 600 km a bordo di un vecchio Fiorino fiat da lavoro con due soli posti: un’impresa epica.
L’indomani lo trascorremmo in Slovenia nel fiume Soca senza grandi sussulti, ma riuscendo comunque a pescare e alla sera percorrendo a ritroso la strada che attraversa il confine di Caporetto ci fermammo a S.Pietro , per spendere i due giorni che ci erano rimasti sul fiume Natisone che nel frattempo si era stabilizzato e prometteva bene.

La mattina del terzo giorno ci accolse con un sole inaspettato che in poco tempo ci fece scordare di tutta l’acqua che ci era piovuta addosso e che ancora ristagnava sui nostri abiti e perfino nelle scatole delle mosche. Eravamo in cinque, tutti affamati di pesca e di temoli che molti di noi avevano visto solo in fotografia, ma le rive del Natisone erano in grado di offrire a tutti la possibilità di mantenere inviolato quello spazio  vitale che è necessario per poter pescare in tutta serenità.
Quel giorno tutti catturarono temoli in buon numero e di taglia media attorno ai 35 cm, tranne io che comunque mi consolai con le combattive iridee di cui si diceva che in quel fiume riuscissero addirittura a riprodursi. La giornata ci riconciliò con la pesca e la vacanza, che fino ad allora stavano volgendo al peggio e la sera in albergo fu molto bello ritrovarsi tutti a tavola a ricordare le sensazioni e le emozioni provate. Dopo cena, stanchi ma felici, tentammo in tutti i modi di resistere al sonno che si stava impossessando di noi, qualcuno continuando a gozzovigliare in camera e altri come Gigi e Stefano che avevano deciso di investire al morsetto gli ultimi barlumi di veglia.

L’indomani il tempo mutò nuovamente ed il cielo perturbato ci fece ripiombare nell’incertezza di poter trascorrere un’altra piena giornata di pesca. Ci avevano suggerito di pescare nell’Alberone, un corso d’acqua affluente del Natisone che pur essendo di categoria B. veniva abbondantemente ripopolato a salmonidi, per ridurre la pressione di pesca nel fiume principale. Posteggiammo la Passat ed il Fiorino in una piazzola tra i cespugli e ci preparammo.
Fabrizio, il Professore, sparì in un attimo e fece perdere le sue tracce mentre noialtri ci distribuimmo in maniera tale da riuscire ad abbozzare un sia pur timido tentativo di pesca. Andammo avanti a scavalcarci l’un l’altro fino al pomeriggio, catturando qualche trota qua e là, fino a che Luigi mi propose di tornarcene sul Natisone a fare buio.

 Accettai subito e provammo a recuperare i nostri compagni per avvisarli, ma si erano allontanati troppo ed il poco tempo che restava ci indusse a desistere. Tornati alla Passat presi un foglietto di carta ed un pennarello rosso che giacevano in un ripiano sotto al cruscotto assieme ad un numero imprecisato di monete e ad un pacchetto di gomme semivuoto, e scrissi a Gigi e Stefano di provvedere a caricarsi “uccel di bosco” Fabrizio prima di ritornare in albergo e glielo lasciai sul parabrezza del Fiorino bloccandolo sotto al tergicristallo.

In dieci minuti ci riportammo sul Natisone ed iniziammo a pescare mentre i primi goccioloni iniziavano a scurire i bianchi ciottoli delle sue rive; intorno a noi nessuno. Le nostre cerate Hally Hansen ci fecero scudo e subito respirammo l’odore tipico dell’inizio di ogni temporale che tarda a scaricarsi, mentre sulle nostre canne il picchiettare delle gocce generava uno strano suono ed il sughero aveva cambiato decisamente colore.
Trascorremmo tre ore un po’ pescando  e un po’ riparandoci ma senza risultati apprezzabili, tant’è che quando tornammo in albergo non era ancora buio completo.

Parcheggiata l’auto nel piazzale entrammo e nel prendere la chiave sbirciai in sala da pranzo dove Gigi e Stefano erano già seduti per la cena; “e Fabrizio?” gli domandai “è su in camera a farsi la doccia?”.
Mi guardarono per un istante incuriositi e poi dissero: “Fabrizio non l’abbiamo più visto, non era con voi?”  Replicai “ma vi abbiamo lasciato un biglietto sul parabrezza chiedendovi di caricarvelo in macchina al ritorno!!” E loro “In effetti abbiamo trovato un pezzo di carta sul parabrezza, ma era completamente fradicio per la pioggia e illeggibile poiché tutto sporco di rosso, così l’abbiamo buttato via”
Mi sentii gelare!  Avevo conosciuto Fabrizio un paio di mesi prima, al Club, e sapevo ancora molto poco di lui ma di certo c’era che lo avevamo lasciato da solo su un fiume ad almeno 12 km di distanza dall’albergo che si trovava vicino al confine di stato con la Slovenia, e tutto questo per cercare di catturare qualche bel pesce nel Natisone!!

Afferrai Luigi, lo trascinai con me fino alla macchina e gli spiegai l’accaduto mentre già stavamo ripercorrendo a ritroso la strada che da S.Pietro conduce al bivio per l’Alberone. Era notte fonda e noi stavamo andando a recuperare il nostro compagno che, per uno scherzo del destino e per la nostra superficialità, era rimasto abbandonato sulle rive di un torrente sconosciuto e con ancora indosso gli abiti da pesca stivali compresi.
Giungemmo presso la piazzola dove avevamo parcheggiato le auto in mattinata, sperando di trovarlo lì ad imprecare contro di noi ma non c’era. Percorremmo un tratto di sponda urlando a squarciagola il suo nome, ma il buio fittissimo ci costrinse a tornare indietro.

Ripartimmo con la macchina, stavolta diretti verso la stazione dei Carabinieri con addosso il profondo timore che gli potesse essere accaduto qualcosa e arrivati nei pressi delle prime case di S.Pietro, lo vedemmo scendere da un’auto targata Udine con il gilet addosso, la canna in mano ed i cosciali ai piedi.
Ci fermammo ad un lato della strada, scendemmo, ed eravamo preparati a ricevere insulti e percosse mentre ci avvicinavamo verso di lui. Appena ci vide il suo viso assunse i lineamenti dell’esaltazione e subito ci rivolse un eloquente “Maddoc…. siete andati???” seguito da “Ho fatto una strage, ne ho prese 26 ma ne ho tenute solo due!!!”  “Quando sono tornato alla macchina e ho visto che non c’era, ho aspettato per un po’ e poi mi sono incamminato ma non ricordavo la strada per l’albergo, così ho fatto l’autostop e si è fermato quel tipo che mi ha portato fino a S.Pietro” . “Era pure un “leghista” e mi ha rinfacciato di essere venuto da Roma a pescare nel “suo” fiume; comunque prima che si fermasse avrò percorso non meno di 5/6 km a piedi…..”

Era andata bene, e ancora oggi a distanza di 20 anni ci ridiamo su, solo che con il trascorrere del tempo sono considerevolmente aumentati il numero e la taglia delle trote che aveva catturato nell’Alberone, per non parlare dei Km percorsi a piedi.
Mauro

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PESCA CON LA MOSCA / "La trota di Alfeo" - Storie di pesca a mosca -
« on: February 18, 2011, 09:04:53 »
E' giunto il momento di inserire un'altra storia di pesca vissuta, in unaserata estiva di qualche anno fà.
Buona lettura....

"La trota di Alfeo"

Ho frequentato per anni Castel di Sangro in occasione dei corsi della Scuola, ma a pensarci bene sono state ben poche le occasioni in cui ho pescato l’omonimo fiume, famoso un tempo per le sue grosse trote e per le schiuse massicce.
Forse perché a metà giugno le giornate sono quasi sempre caldissime ed interminabili e dopo aver trascorso 7/8 ore in piedi sotto il sole implacabile del pioppeto, si arriva a preferire una doccia rinfrescante ed una birra sorseggiata davanti al Pizzalto, piuttosto che sfinirsi nell’attesa di una buona schiusa che potrebbe non arrivare.

Quell’anno però ci fu un giorno in mezzo alla settimana del corso, in cui accettai volentieri l’invito di Alfeo che mi aveva proposto di trovarci alle 17.30 da “Fegato sano” per andare insieme a pescare nel Sangro basso, 20 km più a valle del paese nei pressi del metanodotto.
Fegato sano è una rosticceria di Castel di Sangro situata di fronte alla Zittola, e rappresenta uno dei punti di ritrovo di istruttori e corsisti che terminati gli impegni didattici si intrattengono a lungo con l’intento di vuotare calici di birra e di intossicarsi con delle fritture agghiaccianti capaci di alterare le normali funzionalità epatiche.

Alle 18.00 eravamo sul posto e ricordo che il primo impatto con il fiume non fu dei migliori. Anzi devo dire che lo trovai deludente, sporco e con le sponde in frana. C’erano già diversi insetti nell’aria, ma si trattava di chironomi e questo non faceva che rafforzare quelle sensazioni negative.
Pescavamo ad una quindicina di mt di distanza e prendevamo qualche trotella di tanto in tanto; Alfeo ne prendeva di più perché era un pescatore migliore, aveva le mosche buone e conosceva bene il posto, ma la loro taglia non era certo confortante.
 
Poi si spostò più a valle, verso la macchina, mentre io preferii trascorrere l’ultima mezz’ora più o meno nello stesso luogo, speranzoso di intravedere i segni di attività di almeno una delle famose “vecchie” del Sangro.
L’unica attività certa era invece quella delle zanzare, che già da un po’ stavano “brucando”sulla mia pelle scoperta e furono loro a farmi desistere dall’intento di continuare ancora, nella speranza di coronare il sogno che ogni pescatore caldeggia dentro di sé.
Staccai la mosca tagliando il filo proprio sul nodo e la appesi al gilet sulla pelliccetta di montone, recuperai la coda ed il finale nel mulinello e smontai la canna. Quindi feci per raggiungere il mio compagno più a valle.

Lo vidi in un punto in cui il Sangro si restringeva ed aumentavano la velocità dell’acqua e la profondità media; ai lati, rive alberate costituivano potenziali tane per le trote che non avevo incontrato. Era rivolto a valle ed assumeva una strana posizione protesa e curvo sulle gambe, mentre la sua canna che era una vecchia Rosorani risultava completamente piegata fino al manico con il filo che sembrava un sottilissimo lampo di luce  al neon conficcato nel fiume e che fischiava dallo sforzo cui era sottoposto.
Mollai la canna sulla riva e cercai di raggiungerlo, ma la mia foga veniva rallentata dalla resistenza dell’acqua contro gli stivali che iniziarono ad “imbarcare” a causa dell’avanzamento troppo concitato; sentivo quei rivoli di Sangro che mi erano penetrati e che avevano raggiunto il polpaccio, mitigare l’afa di un’intera giornata di giugno racchiusa, compressa in quel vecchio ma inseparabile paio di stivali che mi continuavano a sostenere da una dozzina d’anni ormai.

Mi ero portato alle sue spalle, quando Alfeo si voltò verso di me e mi raccontò quel che era successo con il tono rassicurante di un pescatore a mosca da oltre 40 anni. Aveva sostituito il tip con uno 0,18 e aveva messo una mosca da caccia più grossa, perché quello era il momento in cui le vecchie del Sangro si mettono in caccia.
L’aveva cercata sotto alle piante della riva e lei non si era fatta attendere prendendo quella mosca costruita apposta per lei. La trota stava attaccata a quella mosca da un quarto d’ora e lui non sembrava minimamente risentirne, anche se stava piantato in mezzo al fiume con i suoi settant’anni suonati e la sua vecchia Rosorani tutta inarcata; sembrava potesse rimanere così per sempre, fino alla fine del mondo, predatore e preda avvinghiati in un abbraccio senza fine per l’eternità.

Poi il pescatore sentì che era giunto il momento di prenderla e spostò la canna di lato, portando il pesce in acqua più bassa e tranquilla. Allora la vidi; mio dio quanto era grossa, la trota più grossa che avessi mai visto in Italia, era una fario magnifica ed era stanca perché si limitava a galleggiare sotto il pelo dell’acqua con tutte le poderose pinne spalancate come le vele di un vascello pirata.
Era ormai buio e Alfeo dovette spostarsi alla cieca verso la riva per consentirmi di prendere la sua trota. Mi sentivo pronto e la cinsi delicatamente da dietro per prenderla come si fa con i salmoni e le steel head, afferrando con una mano la caudale e appoggiando l’altra sotto alla testa, ma ebbe un sussulto e si irrigidì sottraendosi alla presa.

Si spostò disegnando una traiettoria a semicerchio, nel tentativo di riguadagnare il centro del suo fiume, ma il pescatore lo sapeva e glielo impedì riportandola nella posizione precedente. L’acqua si era intorbidita e l’adrenalina era al massimo, ma io sapevo di non poter sbagliare ancora e così la presi senza pensarci troppo e la sollevai verso Alfeo che rispose con un sorriso controllato e si avvicinò a me recuperando la lenza in bando.
Aveva il guadino ma la trota era troppo grossa e non ci sarebbe mai entrata, per cui le sfilai la mosca dalla poderosa mascella e la mantenni ancora un po’ in acqua per rianimarla prima di restituirla al fiume che quella sera, proprio davanti a me aveva compiuto uno dei suoi prodigi.

La fario era bellissima lunga e muscolosa che sembrava una corazzata. Tutto in lei era perfetto ed equilibrato; la testa robusta e pronunciata, le fauci possenti, la livrea che sembrava dipinta a mano e le pinne sviluppatissime e trasparenti: che pesce che era!
Lo stavo osservando al buio, dilatare ritmicamente le sue branchie in una spanna d’acqua e con la “chiglia” che aveva recuperato il giusto assetto quando si mosse energicamente, ma con grazia ed io la lasciai andare come doveva essere. Il buio la inghiottì insieme al suo fiume ed io stentai a ritrovare la mia canna che avevo mollato su quella riva.

Mi complimentai con Alfeo abbracciandolo e gli dissi che ad occhio e croce quella trota poteva superare i settanta centimetri. Fu solo allora che mi raccontò di averne catturata un’altra, poco prima, ancora più grossa. Lo scrutai per un attimo, come a volermi accertare che non stesse scherzando, e poi ci cambiammo al buio in una magica atmosfera estiva che non potrò mai dimenticare, come i morsi delle zanzare che festeggiavano anche loro sopra di noi.

Fu bello tornare al Pizzalto quella sera, arrivare stanchi e sudati nel ristorante dove quasi tutti avevano terminato di mangiare e si attardavano ai tavoli a parlare di pesci, di lanci e di mosche. Mi tuffai letteralmente su un piatto di pastasciutta fumante, mentre Alfeo scelse una minestra, per stare leggero.
Lo guardavo mentre parlava e notavo che ciò che aveva vissuto con quella trota non lo aveva alterato; sembrava “abituato”e riusciva a contenere le proprie emozioni come uno che ha vissuto tanto e profondamente.
Capii allora che non stava scherzando e che ne aveva presa una ancor più grande, solo che io non l’avevo vista perché ero rimasto da solo, più a monte, a cercare la stessa preda nel posto sbagliato.


Mauro

4
PESCA CON LA MOSCA / Dedicato ad Angelo Rosorani
« on: February 17, 2011, 23:01:19 »
Dedicato ad Angelo Rosorani


Conosco Angelo Rosorani da molti anni, ma ho dovuto pazientare ed impegnarmi per riuscire a diventare suo amico.
Non perchè sia una persona snob, tutt'altro, piuttosto a causa della sua riservatezza, della sua semplicità e di quel velo di sottile diffidenza che la sua vita gli ha insegnato a considerare uno strumento di tutela interiore.

Angelo è conosciuto principalmente per aver inventato un sistema di avvolgimento delle hackles in asola che consiste nello staccare le fibre di gallo dal calamo centrale che è l'elemento critico della piuma.
Ma egli è anche un grandissimo pescatore a mosca, un abilissimo lanciatore ed un artigiano d'altri tempi.
Costruisce delle canne da mosca che sono opere d'arte; si procura grezzi in grafite di qualità, li seleziona con cura e tutto il resto lo costruisce con le sue mani, dagli anellini in acciaio inox per il portamulinello che tornisce abilmente, ai manichetti in radica d'erica o in ulivo stagionato per decenni.

Le canne di Angelo sono a mio avviso il top del top, ma per averne una bisogna prima conquistare Angelo e poi mettersi pazientemente in lista d'attesa. Io ne possiedo 5 ed ho impiegato dieci anni per averle!!! Sono oggetti viventi, non perchè lancino da sole ma perchè i materiali con cui sono assemblate sono stati forgiati dalle sue mani magiche.
Avere una canna di Angelo è come possedere una Ferrari.

"Stranamente" non è stato ancora scritto un libro su di lui, per questo motivo ho deciso di realizzarlo io a costo di metterci tutta la vita.

Questo libro nasce dall'idea di realizzare tre obiettivi, il primo dei quali è consentire ai suoi migliori amici di potergli esprimere pubblicamente il loro personale affetto e la loro riconoscenza.
Il secondo è raccontare a chi lo conosce solo superficialmente, o non lo conosce affatto, la sua capacità di tramutare un lancio, una mosca o una canna da pesca in opere d'arte.
L'ultimo punto è il più importante dei tre e consiste nel consegnare alla pesca a mosca italiana ed internazionale un personaggio del calibro di Stanislao Kuckiewichz e Roberto Pragliola, uomini che hanno saputo creare qualcosa che non esisteva prima di loro.

Ma Angelo è diverso da chiunque altro, lui ha la magia nelle mani e la bontà nel cuore e se lo osservi mentre è a pesca nel Nera o sul suo Esino, ti accorgi che sa immergersi nell'ambiente proprio come una pietra, un albero o una bollata e che osservarlo e cercare di imparare qualcosa è piacevole come pescare.
Con la canna in mano o seduto al morsetto, appare sempre schietto ed essenziale proprio come la vera arte che non esterna fronzoli ma solo esaltante bellezza.


Mauro

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PESCA CON LA MOSCA / l'Alm - Storie di pesca a mosca -
« on: February 14, 2011, 16:48:16 »
Ciao Aldo, come ti avevo detto provo ad inserire un racconto ma il link che mi avevi segnalato deve contenere un errore per cui lo inserisco qui ed eventualmente lo sposti nel luogo giusto.

L’Alm

Avevamo trascorso due giorni a Gmunden e avevamo visto la Traun, la mitica Traun di cui sentivo parlare prima ancora di diventare un pescatore a mosca.
Non avevamo pescato però a causa dei livelli troppo alti e così ci eravamo spostati nell’Almtal, la valle del fiume Alm, più conosciuta per essere stata abitata dall’etologo Konrad Lorenz che non per la pesca.
Eppure a calcare le sponde dell’Alm in quel mese di settembre del ’92 sembrava di essere in paradiso. Un fiume largo tra i 10 ed i 25 mt di acqua talmente chiara da sembrare bianca, con riflessi verde/azzurro da lasciare estasiati; tutt’intorno colline boscose che terminavano direttamente in acqua e cingevano in un abbraccio senza fine il letto dell’Alm, rallentato di tanto in tanto da tutta una serie di antichi e caratteristici mulini ad acqua ancora funzionanti.
La pendenza non esasperata e l’alternanza di spianate, raschi e piccole rapide, ne facevano un corso d’acqua ideale per la mosca, la massiccia presenza di insetti “pregiati” permetteva di allungare la pesca fino a buio fatto e l’impenetrabile silenzio che lo circondava ci faceva precipitare in una dimensione spazio/tempo a noi sconosciuta.
Arrivammo sull’acqua verso le 17,30 dopo aver attraversato un bosco fitto che solo a tratti ci consentiva di intravedere qualche spicchio del fiume che continuava a fluire ininterrottamente, e subito ci guardammo come a volerci sincerare che non stavamo sognando.
Luigi iniziò a discendere lungo la riva e lo vidi scomparire dietro la prima curva mentre avevo incominciato a passare la coda tra gli anelli della mia Sage di 8’. Ricordo che non sapevo lanciare correttamente ma non me ne curavo perché tutta la mia attenzione era rivolta ai pesci che nuotavano nell’Alm e prima ancora che la mia mosca iniziasse a dragare, venne risucchiata da un pesce considerevole e intenzionato a portarsela con sè in fondo al correntone principale.
Lo portai a riva dopo alcuni minuti ed era un temolo, un gran bel temolo di circa 45 cm scuro come la notte che slamai con cura prima di restituirlo al fiume. Era il mio primo anno di mosca, ma non il mio primo temolo. Il primo lo avevo catturato in primavera sull’Arzino, in Friuli, assieme ad altri ma decisamente più piccoli e molto più chiari.
Ancora tremante ed emozionato asciugai alla meglio la mosca e rilanciai nello stesso posto; l’acqua si increspò di nuovo e la ferrata mi confermò che avevo incocciato un altro pesce, della stessa taglia del precedente. Mentre recuperavo la coda, vedevo il vettino della mia Sage che sembrava diventato epilettico sotto i colpi di coda di quell’animale che lottava tenacemente sul fondo di quella corrente, e dopo un poco vidi emergere dall’acqua la maestosa pinna dorsale su cui erano impressi i colori dell’iride e capii di avere in canna un altro grosso temolo.
Mentre lo liberavo mi guardavo furtivamente attorno, come a voler scongiurare il rischio di scorgere un altro pescatore che con la propria presenza avrebbe potuto spezzare l’incantesimo in cui ero immerso.
Era della stessa taglia del precedente, forse solo un po’ più grande ma la cosa preoccupante era lo stato di conservazione della mosca, ormai totalmente “impappata” dal muco del pesce. Iniziai a ripulirla e a rianimarla come si fa con un paziente che rischia di tirare le cuoia da un momento all’altro e dopo averla nuovamente ingrassata la proiettai nuovamente in acqua con un lancio che definire incerto sarebbe stato un eufemismo.
Non avevo neanche il coraggio di pensare ad un’altra abboccata che mi trovai a ferrare d’istinto il terzo temolo in tre lanci. Anche lui forte, impavido nel combattimento e identico nella livrea e per la taglia.
Lo slamai come avevo fatto con gli altri, mi sciacquai le mani e appoggiai la canna sulla sabbia chiara e fine della riva; quindi mi accovacciai di fronte all’Alm che continuava a scorrere come se nulla fosse accaduto.
Mi lasciai riempire i polmoni dall’aria fresca della sera che era giunta fino a me dopo aver attraversato lo stesso bosco di abeti, ingoiai le inebrianti essenze del primo autunno del Salzkammergut e lasciai scivolare in acqua le piccole e grandi negatività del pensiero in modo che la corrente le potesse dolcemente allontanare da me.
Ero felice, avevo preso tre grossi temoli con tre pessimi lanci e sentivo dentro che forse avrei potuto catturare anche il quarto: ma smisi di pescare, perché anche se era passata neanche mezz’ora non aveva più senso continuare ed era così piacevole rimanere accovacciato sulle rive dell’Alm ad alleggerirsi l’animo.
Stavo quasi per convincermi che era stato tutto un sogno, quando mi accorsi di Luigi che arrancava lungo la stessa riva ed era giunto ad una quindicina di metri da me. Ci ricongiungemmo senza molta voglia di parlare, ma i nostri visi esprimevano tutto ciò che provavamo. Lui ripetè soltanto: “ho dovuto smettere, non avevo più voglia…” ed io annuii in silenzio; poi l’abbracciai forte.
Giungemmo alla macchina che avevamo posteggiato in una piccola radura ai margini del bosco  mentre le prime sedge iniziavano ad invadere l’aria sopra di noi e sembravano annunciare che stava per iniziare il momento della pesca più magico della giornata, ma non per noi.
Quando arrivammo alla nostra pensione, che distava dieci minuti di auto, il sole era già sceso dietro il massiccio ma c’era ancora luce ed io non riuscivo a non pensare a quell’acqua verde/azzurra, a quei temoli che avrei potuto continuare a prendere e a quell’esaltante solitudine in cui avevo vissuto fino a poco prima. Quella notte non mi addormentai per via del rumore dell’acqua che scorreva poco lontano dalla mia finestra e perché la mia mente si era di nuovo riempita di pensieri.

Mauro Nini


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BENVENUTI su CALABRIA PESCA ON LINE / Mi presento - mauronini -
« on: February 14, 2011, 16:22:03 »
Buonasera a tutti
mi presento anche io, sperando di non aver fatto confusione in questo forum per me nuovo, ma piacevole.
Mi chiamo Mauro e sono di Roma, pesco solo a mosca da 20 anni, ma ho la stessa passione dei primi 20 giorni.
Ho visto che ci sono inserite delle belle storie di pesca e vorrei contribuire con qualcosa del genere che penso possa essere gradito.

Un saluto a tutti

Mauro



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