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SURFCASTING / LE STRADE DEI PESCI
« on: January 25, 2011, 00:57:02 »
Dopo l'ampia trattazione fatta qualche tempo fa nel topic Non sei autorizzato a visualizzare i link. Registati o effettua Login Circostanze particolari calabria mi hanno suggerito uno spunto per un aggiornamento e completamento dello stesso in relazione a quelle che sone le traiettorie dei pesci. Sperando di non annoiarvi......

Approfittando del clima relativamente mite di qualche giorno fa, all’uscita da scuola “libero” i bambini nel parco antistante e mi siedo, a mò di pensionato, su una panchina.
Osservavo i miei e tutti gli altri pargoli correre, come uno sciame d'api, verso i due cancelletti situati sullo steccato in legno posto a recinzione dell'area giochi. Una sorta di gara a chi per primo varcava la soglia e si appropriava del gioco conteso. Alcuni di loro, invece, cercavano di scavalcavare lo steccato, non sempre con successo. Sarà che l’astinenza da pesca a volte mi gioca dei brutti scherzi o, come dice mia moglie, il mio cervello si è ormai trasmutando in cervello da pesce, ma di punto in bianco nella mia testa tutti quei bambini hanno assunto le fattezze di pinnuti di varie specie. Non vi allarmate, non sono ancora a livelli patologici, i pargoletti non impersonavano nell'immaginario prede da catturare, l’aspetto rilevante riguardava i loro movimenti, le loro traiettorie per giungere agli agognati scivoli, altalene ecc. In sostanza ho immaginato il percorso dei bambini come quello delle nostre prede per giungere sul luogo di mangianza. Alla pari dello sciame di bimbi, i branchi di pesci si dirigono verso ciò che è di loro interesse. Il loro percorso è sbarrato dallo steccato che, per i pinnuti è rappresentato dall’ultimo frangente, barriera esterna posta a mò di frontiera. L'unico modo per accedere è passare attraverso i cancelletti che nell'ambiente marino sono rappresentati dalle interruzioni presenti sul frangente ovvero quelle che in gergo vengono definite finestre. Non tutti i bambini, come ho detto, seguivano la via più facile, quella dei cancelli. Alcuni cercavano di scavalcare lo steccato ma non tutti ci riuscivano e quindi ripiegavano verso i varchi convenzionali. Ma se non vi fossero stati i cancelletti, in quanti avrebbero superato lo steccato?
Tutta queste allegorie e paragoni per cercare di spiegare nella maniera più elementare quello che si verifica o, quantomeno, si pensa si possa verificare, in mare durante una mareggiata e nelle fasi marginali della montata e della scaduta.
Abbiamo il moto ondoso che smuove il fondale scoprendone organismi, anellidi e quant’altro di commestibile ci possa essere. Pescettame e grufolatori vengono attratti da questo banchetto e, al loro seguito, arrivano i predatori stimolati a loro volta. Questo, in parole povere, è quanto avviene in condizioni propizie e rappresenta la catena alimentare. Però, proprio come succede ai bambini, anche per i nostri amici pinnuti raggiungere le zone di pascolo può non essere semplice e scontato. Il primo ostacolo è rappresentato, come si diceva, dall’ultimo frangente, quello più esterno. Cos’è un frangente? E’ un’onda, una cresta schiumosa che si forma durante il percorso della massa d’acqua verso riva. Perché avviene ciò? E’ un discorso molto complesso che tira in ballo leggi fisiche ma vediamo di riassumerlo velocemente. Il mare, anche se smisurato, deve avere ed ha i suoi equilibri, le sue compensazioni altrimenti deborderebbe come l’acqua di una diga a cui non vengono aperte le chiuse nei momenti di piena. In mare però non c'è un'alimentazione idrica ma un movimento costante dell’acqua, dal largo verso riva per via delle correnti innescate dai venti e dalle fasi di marea (corrente primaria) ed un movimento opposto, anche se di minore intensità da riva verso il largo (corrente secondaria o di ritorno). Quando la massa d’acqua si mette in movimento con particolare forza e volume, dirigendosi verso la terraferma, va incontro al naturale abbassamento del fondale, sempre più pronunciato man mano che si avvicina verso la battigia. Quando la profondità è così bassa da non riuscire più a contenerne il volume, ecco che l’acqua si solleva e va a formare la cresta, o frangente o onda che dir si voglia. E’ calcolato che il fenomeno si forma quando la massa d’acqua ha un’altezza superiore al doppio rispetto alla profondità del fondale. In sostanza, se ci troviamo in uno spot che in condizioni di mare calmo ha una profondità di un metro, il frangente si genera quando la massa d’acqua in arrivo supera i due metri d’altezza. Naturalmente questo non significa che l’onda generata sarà di due metri ma della misura pari al surplus d’acqua non assorbito. Da questo si può capire perché le spiagge basse vengono definite a bassa energia e quelle profonde, viceversa, ad alta energia: il termine è in rapporto alla capacità di assorbimento della massa d’acqua da parte dello spot. Questo è quanto noi vediamo in superficie, ma cosa avviene sul fondo marino? Il movimento della massa d’acqua, abbiamo detto, smuove la sabbia scoprendo i vari organismi ma la sabbia sollevata, ad un certo punto si rideposita sul fondo creando un cordone che si va a compattare ed a generare, in quel punto, un innalzamento del fondale. Questo fenomeno determina lo stabilizzarsi del frangente: ecco perché vediamo la cresta schiumosa formarsi sempre alla stessa altezza. Procedendo dal largo verso riva possiamo avere più di un cordone. Giusto per fare un esempio stupido, facciamo finta di osservare un pezzo di ondulato di quelli usati per le coperture, messo per terra in orizzontale: i dossi rialzati rappresentano le formazioni sabbiose depositate sul fondo (frangenti), le cunette concave invece rappresentano i così detti canaloni paralleli. Naturalmente la distanza fra due gobbe (frangenti) successivi deve essere tale da permettere la formazione di un canale abbastanza ampio, tale da consentire il movimento dei pesci ed il posizionamento dei nostri calamenti al suo interno. Ciò è quanto possiamo vedere in “orizzontale” ma c’è anche l’altro verso, quello “verticale”. Ritorniamo alla storiella dello steccato e degli accessi. Può capitare che il frangente esterno sia uniforme senza soluzione di continuità e senza interruzioni (ovvero lo steccato senza cancelli). Può sembrare strano ma i pesci, soprattutto il pescettame ed i grufolatori non si avventurano nell’attraversamento del frangente. Fanno esattamente come i bambini che scelgono di entrare attraverso il cancelletto. In pratica vanno a cercare un’interruzione del cordone esterno, un varco che, come abbiamo visto, viene chiamato finestra. La finestra in sostanza corrisponde ad un tratto di fondale con maggiore profondità e generalmente coincide con il c.d. canalone perpendicolare (la prospettiva verticale del fondale). Il canalone perpendicolare può essere più o meno esteso in larghezza e può continuare o meno fino alla battigia. Esso raccoglie il surplus d’acqua e di organismi provenienti dai canali paralleli ed allo stesso tempo alimenta lateralmente questi ultimi creando uno scambio tra linee verticali ed orizzontali.
In mancanza di finestre l'unico accesso possibile è in prossimità dell'inizio e della fine dell'unico frangente. Pare invece che alcuni predatori, in assenza di ingressi, si cimentino nello scavalco del frangente esterno. Ho messo il dubitativo in quanto la pesca non è una scienza ma un insieme di esperienze, constatazioni di fatto e, a volte riscontri obiettivi quindi tutto può essere messo in dubbio. Pertanto, in mancanza di verifiche scientificamente inopinabili ci dobbiamo affidare alle constatazioni di fatto ed all'esperienza per avere la riprova della bontà di queste teorie. Abbiamo sempre sostenuto che nella pratica del surfcasting la fase di preparazione della battuta ha un' importanza primaria ai fini del risultato. Come abbiamo già visto in altri topic che si sono occupati di questo argomento, vi sono alcuni punti ben precisi davanti ai quali posizionare le nostre canne e dentro cui depositare le nostre esche. Statisticamente parlando è stato riscontrato che l'assenza delle sopracitate finestre rende la mareggiata sterile o, quantomeno, molto avara di riscontri positivi. I nostri amici pinnuti, proprio come i bambini, transitano dalle finestre e si distribuiscono lungo tutta la zona soffermandosi sui punti che garantiscono maggior apporto nutritivo. Quindi, a rigor di logica, dobbiamo porre al primo posto delle nostre preferenze proprio la finestra e le sue immediate vicinanze essendo questa il passaggio obbligato. Le altre zone da preferire sono il/i canaloni perpendicolari in quanto formano una specie di autostrada fra la finestra e la battigia. Esso rappresenta un polmone, una sorta di miscelatore con gli altri settori oltre a costituire un'oasi per i nostri calamenti. Questo settore è da sondare tutto, dalla battigia fino alla massima distanza raggiungibile. Le altre zone di nostro interesse sono rappresentate dai canaloni paralleli ovvero le zone concave dell'esempio dell'ondulato. Come facciamo ad individuare tutti questi settori? Non sempre il mare è di facile interpretazione. Diciamo anzitutto che negli spot ad alta energia non sono quasi mai visibili. Nelle spiagge a bassa energia almeno uno dovremmo individuarlo. La cosa migliore sarebbe prendere visione della spiaggia e del moto ondoso da una postazione rialzata e perdere qualche minuto in un'attenta osservazione. Se abbiamo la fortuna di individuare tutti questi elementi, il punto migliore è rappresentato dall'intersecazione fra la finestra ed il canale parallelo più esterno. Tante volte però questo punto magico non è a portata di canna. Diciamo che un pescatore dotato di buona tecnica può sperare di posizionare la propria esca fra i 70 e gli 80 metri. Quando le distanze sono proibitive allora ci concentreremo sui canali paralleli più vicini o sul canalone perpendicolare. Può anche capitare che vi sia una totale mancanza di accessi. In questo caso o si lancia oltre il frangente esterno sperando che oltre quel cordone ci siano i nostri amici pinnuti in coda in attesa che si apra qualche varco oppure ci si va a posizionare nei pressi di una delle due estremità di questo frangente esterno, anche se ciò può comportare uno spostamento di centinai di metri dal nostro accesso allo spot. Ad ogni modo, pescando con due canne, numero che per me è l'ideale per una razionale e non affaticante gestione della battuta, avremo modo di sondare il canalone perpendicolare per la sua lunghezza e tutti i canali paralleli. Come dicevo prima, in mancanza di verifiche obiettive quali un documentario subacqueo, che peraltro risulterebbe difficoltoso in condizioni di acqua opaca e mare mosso, bisogna basarsi sulle statistiche. Se un certo numero di battute a surf ci dicono che in mancanza di accessi il pesce è pressochè assente e se, viceversa, in presenza di finestre, il pesce viene catturato in prossimità di queste o dentro i vari canaloni, mi pare che la teoria possa essere attendibile. Ovviamente non aspettiamoci di trovare di fronte a noi, una volta arrivati in spiaggia, una foto digitale con tanto di frecce indicatrici e pallini di riferimento. Anche queste cose, nel surf, si sviluppano con l'esperienza. Allo stesso modo potremo avere una visione non molto chiara o addirittura in movimento: ecco perchè ribadisco sempre di arrivare con il chiaro e perdere qualche minuto nell'osservazione.

Uno dei miei schifodisegni (poco) esplicativi


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Alla prossima

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LANCIO TECNICO / LANCIO TECNICO: DA SOLI SI PUO'?
« on: January 15, 2011, 01:49:37 »
E' stato più volte ribadito che cimentarsi nel lancio tecnico da autodidatta può produrre risultati entro un certo limite ma, per andare oltre, occorre un buon maestro. Purtroppo, se esistono parecchi ottimi lanciatori non altrettanti sono i buoni maestri. Ciò non per una questione di cattiva volontà o incapacità ma perchè per parecchie persone diviene difficile trasmettere ed insegnare agli altri ciò che nella loro testa è uno schema ben delineato. Chiusa questa breve premessa, mi premeva farvi vedere un breve video relativo al ground. Il protagonista non è uno dei mostri sacri che siamo abituati a vedere ma uno di noi che, sotto l'egida di un ottimo maestro, è passato, nel giro di due settimane, dal nulla ad un gesto tecnico semplice, pulito ed efficace. Paolo, il maestro, è un quasi nostro conterraneo di nascita. E' una persona semplice, preparata, paziente, molto appassionata della disciplina e soprattutto altruista. Avere un amico così farebbe la gioia di chiunque. Il video mi pare molto interessante in quanto mostra nitidamente un gesto tecnico molto semplice e ben eseguito che viene immagazzinato molto rapidamente da chi lo guarda.

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PESCA FORUM BAR / GRAZIE Santa Claus
« on: December 29, 2010, 16:33:07 »
Il mattino del 25 dicembre i bambini mi svegliano all'alba eccitati e più indemoniati che mai.
Ovviamente il pensiero dell'arrivo di Babbo Natale li aveva fatti dormire con un solo occhio chiuso e, aprendoli tutti e due, avevano scorto tutti i doni sotto l'albero. Gli diamo il permesso di "sfasciare" le confezioni ed an certo punto il più grandicello mi chiama dicendomi che Babbo Natale aveva portato un regalo anche per me. Gi dico di aprire anche quello pensando al solito paio di pantofole, ma poco dopo lui arriva con questo fra le mani:

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"Papà, papà, ora potrai pescare con la Wii senza che la mamma ti rompa le scatole.

Chissà, forse la mia dolce metà, impietosita dal fatto che ormai da secoli non vado a pescare e complice il periodo natalizio, ha pensato di incaricare il rosso barbuto a placarmi con un surrogato tecnologico.
Ho avuto l'emozione di catturare una spigola striata, giusto per far vedere il funzionamento ai pargoli. Giusto un'unica emozione perchè il tutto è poi divenuto dominio delle due pesti.
Attendo impazientemente che si stufino per poter riprendere possesso di quanto è mio per potervi fare un bel report tecnologico  ;D

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SURFCASTING / A CACCIA DI......SARAGHI
« on: December 18, 2010, 20:35:48 »
PREMESSA
 Anch'io, come tanti altri pescatori, ho cominciato la mia avventura in mare, da ragazzino, con la cannetta fissa ed il galleggiante e i primi pesciolini che mi avevano fatto esultare di gioia erano i malcapitati saraghetti delle dimensioni delle vecchie cento lire o poco più. Son convinto che se facessimo un’indagine fra gli appassionati di surfcasting, su quale sia ritenuta la preda della specialità per eccellenza, il 90% risponderebbe: il sarago. Varie sono le ragioni che pongono il nostro sparide in cima alla classifica e, non da ultima, la questione  affettiva di cui sopra. Quante volte è capitato che durante una battuta assolutamente priva di alcun risultato, l’unico a bussare al nostro cimino è stato proprio lui, magari un umile sparlotto che, in barba al suo ridotto apparato boccale ed alle sue misere dimensioni, si è fatto trafiggere dal nostro generoso beack guarnito da altrettanta generosa porzione di esca. Naturalmente l’abbiamo rimesso in acqua con tutte le cautele, ma la sua visita ci ha ricaricato le pile in una serata fredda e ventosa.

DOVE
Il sarago, nelle sue versioni più comuni nel mediterraneo (sparlo, maggiore, pizzuto ecc.) è presente in numerosi spot, anche in spiagge aperte tutta sabbia che nessun nascondiglio gli possono, in apparenza, riservare. La mia conoscenza del sarago è cresciuta nel tempo, dalla cannetta fissa in fibra fino ai primi passi nella pesca a fondo quando chiedevo (e lo chiedo ancora) ai pescatori più esperti consigli sulle spiagge più prolifiche. Spesse volte mi veniva consigliato di evitare quel tal sito in quanto vi erano solo saraghi. Un altro grosso contributo in tal senso mi era stato fornito dalla pesca a galleggiante che avevo incominciato a praticare ed affinare. Mi rendevo sempre più conto della differenza fra il pescare in condizioni meteo marine tranquille e in condizioni di mare mosso. Con la bolognese riuscivo a capire con un semplice colpo d’occhio quale fosse il “mare da saraghi” e non vi nascondo che gli esemplari più grossi li ho catturati con questa tecnica.
Passando il tempo e cominciando a ragionare, prima di tirare i piombi in acqua, ho cominciato a dare una spiegazione ed una interpretazione a tutte queste cose. Perché mi si consigliava di evitare quello spot se era possibile la cattura di saraghi? Perché la condizione ideale dell’epoca era il mare calmo che equivaleva ad esemplari di piccole dimensioni. Perché quello spot era da evitare mentre a poche centinaia di metri diventava il paradiso delle mormore? Perché cambiava radicalmente la morfologia del fondale. Qual'è quindi l’insegnamento che avevo tratto da queste considerazioni ed esperienze? Che il sarago, quello di misura, ha bisogno di mare mosso e di spot particolari.  Con queste considerazioni mi ricollego all'importanza che riveste lo studio dello spot nella gestione di una battuta di pesca. Ovvero il passare da una cattura assolutamente fortuita ed occasionale ad una cattura cercata e mirata. Purtroppo la cosa più difficile è il trasporre le conoscenze ed esperienze di altre tecniche al surf casting. Per nostra sfortuna i posti migliori non sono praticabili a surf. Per posti migliori intendo la pesca dalle scogliere con fondale profondo o su fondali rocciosi dove ogni accorgimento antincaglio risulta inefficace. Bisogna comunque che adattiamo le strategie più efficaci alla nostra tecnica. Per quanto riguarda lo spot non ci sono problemi, sono grossomodo gli stessi già visti per la spigola. Quindi pocket beach meglio con fondale misto o comunque con presenza di scogliere o formazioni rocciose. E’ sempre possibile la presenza del sarago anche su spiagge aperte, specie nel gradino di risacca e nel sottocosta purché nelle vicinanze siano presenti possibili tane e rifugi. Il sarago è infatti un pesce stanziale e territoriale e quindi le sue escursioni alla ricerca di cibo sono a breve raggio. Le condizioni marine sono altrettanto intuitive: mare mosso, schiuma, acqua almeno velata. Per la mia esperienza posso affermare che gli esemplari migliori si muovono con l’acqua al limite della visibilità. Ciò non toglie che vi siano oasi felici in cui si possa acchiappare qualche dentone anche in condizioni light.

COME
Non sto a dilungarmi sull'attrezzatura: canne robuste in grado di affrontare le condizioni di mare in cui andremo a pescare. Non occorrono grosse doti balistiche in quanto nei nostri spot, più che la distanza andremo a privilegiare la precisione. Piazzare l'esca in una buca, una secca, uno spiazzo sabbioso fra due formazioni rocciose o a pochi metri da un molo o uno scoglio protendentesi in acqua può fare la differenza. Per quanto riguarda travi e calamenti ognuno ha le sue preferenze. C'è chi, nella ricerca del sarago, trova blasfeme soluzioni diverse dal pater noster. Io son convinto che una spiaggia può rispondere in modo diverso cambiando le condizioni del mare e delle correnti. Il sarago a volte mangia su esca ferma altre volte su esca molto mobile. Non è raro il caso di catture su long arm di otre due metri, magari sgallato. L'imperativo quindi, per quel che mi riguarda, è provarle tutte finchè non si arriva alla soluzione che garantisca i risultati migliori. Ovviamente partiremo dalle soluzioni di base che, per logica, riterremo più idonee allo spot ed alle condizioni del mare. Se stiamo affrontando una spiaggia bassa con frangenti e canaloni a breve distanza, l'istinto ci suggerisce di affidarci ad un pater noster o ad uno short basso. La ricerca dello sparide, invece, nel gradino di risacca di una spiaggia profonda ci fa ampliare le nostre scelte fino allo short rovesciato. Quando lo spot si presenta particolarmente insidioso a causa del fondale misto o roccioso allora è il caso di ricorrere a soluzioni specifiche. Non sto a dilungarmi su questo aspetto e vi rimando alle discussioni che riguardano i fondali misti. Non facciamoci troppi scrupoli sul diametro dei braccioli: riserviamo lo 0.25 alle condizioni di scaduta molto avanzata, ma gestiamo le altre situazioni con fili dello 0.30-0.35 e anche più. Per quel che riguarda le esche, in sostanza anche qui abbiamo una coincidenza con la spigola: bibi e americano per gli anellidi. Seppia, di cui presenteremo i tentacoli e la striscia. Ricordiamoci di non lasciare uno svolazzo eccessivo oltre l'amo: se una striscia a coda di rondine fluttuante può essere irresistibile per il predatore, inviterà invece il nostro scaltro grufolatore ad addentare la parte in bando strappandola e sbrindellandola. Evitiamo quindi porzioni generose di esca (qualunque) oltre la punta dell'amo: falliremmo la maggior parte delle abboccate. Continuando l'elenco delle esche, non possono ovviamente mancare il cannolicchio, l'occhio di canna, il fasolare, il tartufo, la cozza, il granchio e la sarda. Con quest'ultima gli inneschi dovranno essere mignon, a forma di sigaro e con la polpa rovesciata. Per quanto riguarda gli ami personalmente non ho dubbi: beack e nient'altro che beack anche con il salsicciotto di sarda. Personalmente non eccedo mai nella grandezza degli uncini: le misure dal 4 al 2, con qualche puntata sul n°1, a seconda dell'esca usata e dello stato del mare, garantisccono robustezza e possibilità d'ingoio, altrimenti potremmo assistere, disperati, a continue botte sui cimini senza che il nostro amo faccia presa. L'apparato boccale del sarago è piuttosto piccolo anche se a volte è capace di performances fuori da ogni logica. Un aneddoto a conferma dell'eccezione. Anni fa con un gruppo di amici abbiamo girato per diverse ore le spiagge della Costa Azurra alla ricerca di un posticino riparato dal fortissimo maestrale che spirava. Alla fine optiamo, quale male minore, per alcune spiaggette sulla Promenade di Nizza. Il mare era comunque nero increspato di bianco e si riusciva a pescare con una sola canna. Quando il sole comincia a calare decido di innescare un calamaro di una quindicina di cm. al cui interno avevo inserito sarda sminuzzata. Un robusto aberdeen 2/0 e via in acqua per tentare qualche gronco quale ultima speranza. Ebbene, con l'arrivo delle tenebre la Futura che stavo adoperando comincia a sbacchettare di brutto. Ho intuito che non si trattava di serpente ma mai mi sarei aspettato di trovare un sarago maggiore di oltre 8 etti che aveva ingoiato buona parte della testa del cefalopode.


QUANDO
Le tenebre indubbiamente regalano qualche chance in più ma nelle condizioni ottimali di mare le catture avvengono normalmente anche in pieno giorno. D'altronde pescando in condizioni di surfcasting, le condizioni sotto il pelo dell'acqua sono quelle che sono. Non sapreicomunque stilare una classifica anche perchè le variabili, per la mia esperienza, sono innumerevoli. Mi è capitato di prendere bei saraghi in pieno giorno appena dopo la caduta di un vento fortissimo. Altre volte con l'arrivo del buio le catture sono immediatamente cessate. Inoltre, mi vergogno a dirlo, ma non ho mai fatto caso se le condizioni di marea influiscano sulla sua attività come invece ho riscontrato ed è risaputo avviene con l'approssimarsi di una perturbazione. Ad ogni modo, torno a ripetere, l'importante è che ci sia mare grosso, schiuma e tane nelle vicinanze.

CONSIDERAZIONI FINALI
Le performances di lotta del sarago sono note a tutti e credo che la soddisfazione ed emozione di combattere con un esemplare di tutto rispetto siano molto superiori a quelle che ci più riservare la più blasonata spigola. L'abboccata è quasi sempre potente e perentoria, scatenandosi subito dopo in testate possenti. Da qui l'importanza, che avevo rimarcato prima, di non lesinare sul diametro del bracciolo, anche in considerazione dei dentoni che si ritrova. Il recupero si deve effettuare senza tentennamenti e sottigliezze specie se nelle vicinanze vi sono nascondigli o scogli sui quali il nostro terminale durerebbe lo spazio di un secondo.

Alla prossima

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SURFCASTING / STRATEGIE PER IL MISTO
« on: November 18, 2010, 12:38:25 »
Personalmente ammiro e apprezzo i pescatori inglesi. Gente che va al sodo, che bada alla funzionalità delle cose ed al risultato. A volte possono risultare macchinosi e farraginosi ma almeno non sono affetti da mille paranoie come noi italiani. Certo, i loro ambienti e condizioni di pesca sono diversi dai nostri ma tanti accorgimenti che loro adottano sono validi anche da noi e, nella maggioranza dei casi, non si tratta di specchietti per le allodole.
Nel mio girovagare fra i siti di pesca inglesi ho trovato delle soluzioni, che poi hanno preso piede da noi, che spesse volte mi hanno tratto d’impaccio in situazioni particolarmente ostiche. Gli accorgimenti che cercherò di condividere con voi, anche se mirati specificamente alle condizioni da surfcasting, sono perfettamente adattabili alla PAF e, soprattutto, al Rockfishing.
Mi riferisco alla pesca su fondali misti o addirittura prevalentemente rocciosi: quelli che i nostri colleghi di oltremanica definiscono “Rough ground” e a cui sono particolarmente avvezzi. Come tutti sappiamo, questi spot sono luoghi potenzialmente ricchi di prede: zone che, da un lato, offrono riparo e cibo a pesci e creature di ogni ordine e grado, dall’altro costituiscono territorio di caccia fertile per i predatori. Purtroppo sappiamo anche che pescare in questi siti è spesso motivo di collera per via dei calamenti persi, spesse volte con preda annessa. Il problema da risolvere è quello di evitare che il nostro piombo e l’amo del nostro bracciolo facciano presa sulle asperità del fondale senza possibilità di recupero. Nella pesca a fondo il problema può essere affrontato con l’utilizzo dei temolini che, spesse volte, ci permettono di disincagliarci ma a surfcasting questa soluzione non è adeguata non avendo nessuna tenuta. Abbiamo visto qual è il problema da risolvere. Uno studio propedeutico del fondale ci può solo giovare cercando di individuare quelle zone di sabbia sulle quali collocare piombo e calamenti. L’optimum sarebbe una perlustrazione con la maschera a mare calmo o quantomeno una panoramica da un posizione sopraelevata creandoci poi dei riferimenti a terra come si fa in barca, ma mi rendo conto che tutto ciò può risultare eccessivo. Ad ogni modo è buona norma, quando le condizioni del mare lo consentono, fare riferimento al riflesso dell’acqua in superficie significando che ad un colore più scuro, corrisponde generalmente alla presenza di fondo roccioso. Comunque anche in questi spot bisogna andare per gradi a seconda della morfologia del fondale. Ci sono siti in cui ampie chiazze di sabbia ci mettono al riparo da ogni pericolo, altri in cui un minimo accenno di recupero equivale ad un ancoraggio. Dobbiamo agire quindi sia sui calamenti che sull’azione di pesca. Diciamo subito che nel misto non abbiamo di solito necessità di lunghe distanze e questo ci permette l’utilizzo di certe soluzioni, diciamo fuori dai canoni, che andremo a vedere. Se ci troviamo in presenza di un fondale non particolarmente accidentato o di un gradino di risacca con qualche insidia, c’è una soluzione molto semplice: realizzato il nostro calamento con piombo terminale avremo l’accortezza di legare alla girella in basso uno spezzone di nylon lungo 10-15cm. di diametro inferiore a quello del trave. Ad esempio, se il nostro trave sarà dello 0.60, lo spezzone di filo lo faremo circa dello 0.40. Completeremo la nostra appendice con una girella, un moschettone ed il piombo o altro attacco. In questa maniera, nell’eventualità di un incaglio del piombo, sarà il nylon più sottile a cedere consentendoci di salvare trave e shock. Al posto di questa appendice possiamo utilizzare un gancio specifico per piombo a perdere che si trovano in commercio e che si aprono sotto trazione sganciando il piombo. Un’alternativa casalinga può essere l’impiego di un gancetto in rame, sagomato a forma di “genie link” da usare al posto del moschettone. In questo caso ovviamente non eseguiremo l’aggiunta dello spezzone più sottile ma fisseremo il gancetto sulla girella inferiore del trave. Il funzionamento è semplicissimo: in caso di incaglio il gancio si apre e sgancia il piombo. Se vogliamo essere dei perfezionisti possiamo impiegare uno spezzone di nylon (7/8cm dello 0.40 oppure la stessa quantità di tracciato molto sottile) che annoderemo da un lato al gancio del piombo e dall’altro ad uno dei due occhielli della girella posta alla fine dello shock. In questo modo, una volta aperto il gancio e staccato il piombo, avremo magari qualche possibilità di recuperarlo. Questa è una versione semplificata e casereccia del sistema che gli inglesi definiscono “Rotten bottom”.
Immagine non disponibile
Esempio di "rotten bottom" sganciato (immagine tratta da worldseafishing.com)

Ad ogni modo, con queste soluzioni “a perdere”, consiglio di utilizzare piombi di poco costo o fatti in casa. Io utilizzo vecchi piombi passanti a doppio cono che taglio a metà inserendo nel foro una piccola vite ad occhiello. La perdita di uno di questi piombi incide per una ventina di centesimi. Evitiamo di usare le candele per auto: il piombo è già inquinante di per se, figuriamoci gli oggetti con parti chimiche.
Quando invece le condizioni diventano particolarmente proibitive per presenza di corrente sostenuta o mare particolarmente formato, è il momento di ricorrere a soluzioni più sofisticate. In questo caso la soluzione preferibile è il c.d. “Pulley rig”.



Esempio di "Pulley rig" particolarmente elaborto (disegno tratto da Whitbyseaanglers.co.uk)



Esempio di "Pulley rig" più semplice (disegno tratto da Gofishing.co.uk)



azione del pulley a seguito di abboccata (disegno tratto da Gofishing.co.uk)


E’ un calamento molto semplice quanto geniale ed efficace. Sul capo libero dello shock, anziché la solita girella semplice ne annodiamo una che incorpori una perlina o barilotto forati di buone dimensioni e non eccessivamente rigidi. Esistono in commercio specifici accessori che vengono definiti “Fox pulley rig”.



esempio di Fox pulley rig fra i più comuni in commercio


Sconsiglio di utilizzare la semplice girella in quanto durante il lancio andrebbe ad intaccare il nostro trave. Attraverso il foro della “Fox” facciamo passare il nostro trave, ovvero uno spezzone di nylon pari al diametro dello shock, se questo non è particolarmente spesso. Direi comunque che uno 0.50/0.60 va più che bene, considerato che dovremo effettuare lanci corti ed appoggiati. Come lunghezza andremo in rapporto alla profondità dello spot ed alle condizioni del mare: ad ogni modo partiremo da in minimo di 50 cm. fino ai 150cm. tenendo presente che la lunghezza del bracciolo sarà più o meno pari a quella del trave. Su un’estremità del trave inseriamo un paio di sferette morbide e poi annodiamo una girella di medie dimensioni. Sull’estremità opposta altrettante sferette e poi un gancio tipo “genie rig” munito di bait clip. Il bait clip lo ritengo necessario per una corretta esecuzione del lancio, quindi se adottiamo altri sistemi di aggancio del piombo, sarebbe opportuno anteporre un bait clip separato. Completiamo la nostra armatura annodando sulla girella il nostro bracciolo con amo delle misure adatte alle condizioni marine ed alle prede che ci prefiggiamo di insidiare. Sul lato opposto applichiamo il piombo e siamo a posto. Quale piombo usare? Personalmente evito sfere e piramidi e tutte quelle fogge che possono costituire possibile appiglio. Le forme aerodinamiche, per contro, avendo poca presa, si prestano a deleteri movimenti sul fondale rischiando di piantarsi nel primo anfratto. Qual’ è quindi il miglior piombo in assoluto che garantisca allo stesso tempo doti di tenuta e poco appiglio? Vi può sembrare strano ma è lo spike. Questo piombo si pianta dove lo abbiamo lanciato ed evita di andarsene in giro con le conseguenze che possiamo immaginare. Naturalmente dobbiamo adottare la cautela (ma con qualunque sistema sul misto) di non richiamare il piombo se non per tirarlo fuori dall’acqua. Per accentuare le doti antincaglio della nostra zavorra la dovremo dotare di quelle alette che vengono posizionate sull’asta metallica chiamate “Lead lift”.



esempio di lead lift fra i più comuni in commercio

Questo accessorio dovrebbe fare in modo che il piombo rimanga orizzontale e al primo accenno di recupero lo sollevi dal fondo. Torniamo un momento al nostro Pulley rig. Come avrete notato dal disegno, il nostro calamento è una sorta di scorrevole, anche se con alcuni vincoli. Una volta che la nostra preda abbocca e si allontana non sente resistenza fino a quando non incontra le altre perline anteposte al genie ed al piombo. Il contraccolpo causerà un effetto autoferrante ma, soprattutto, la fuga del pesce solleverà il piombo che verrà portato a spasso sospeso, scongiurando eventuali incagli. Anche se ho prospettato l’utilizzo del pulley quale soluzione estrema, nessuno vieta (anzi, è consigliato) il suo impiego in ogni condizione. Ho preferito rappresentare, in modo graduale, altre soluzioni in quanto magari non tutti hanno tempo e voglia di confezionare questo trave.
 Alcune piccole note in chiusura. Per questo tipo di pesca sono da preferire mulinelli fissi con una elevata velocità di recupero. E’ inoltre preferibile, recuperando, tenere la canna il più in alto possibile e riavvolgere a tutta manetta senza blocchi o rallentamenti. L’azione di pesca è molto semplice: individuata la zona in cui far depositare la nostra esca lanciamo con un above con piombo sospeso (ricordiamoci che è necessaria la precisione più che la distanza e che stiamo pescando con uno spike e con bracciolo clippato), attendiamo qualche secondo che il piombo atterri e si posizioni sul fondo e poi mettiamo in leggera tensione evitando di far muovere la zavorra. Un accenno infine al bracciolo, causa anch’esso di agganci tramite l’amo. Per ovviare a questo la soluzione, scontata, è quella di ricorrere ai vari sistemi di sgallamento del bracciolo. Questo accorgimento sarà coadiuvato dall’impiego di ami al carbonio per garantire il massimo della leggerezza.
Alla prossima........e non lasciate troppi piombi in acqua calabria


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SURFCASTING / A CACCIA DI.....SPIGOLE
« on: November 10, 2010, 23:43:15 »
PREMESSA La spigola entra di diritto fra le prede tipiche del surfcasting. Ma in realtà è poi proprio così? Se andiamo a scomodare la statistica e le esperienze personali, almeno le mie,  posso affermare che non sono tutte rose e fiori. Altre tecniche, quali spinning e galleggiante, sovrastano quantitativamente la nostra disciplina e la prima anche in fatto di pezzatura delle catture. Allargando l’orizzonte ci accorgiamo anche che non tutto il mondo è paese. Infatti, sempre con dati statistici alla mano, possiamo constatare che alcuni lidi risultano molto proficui e la caratteristica prevalente di questi posti più fortunati sono le acque basse e medio basse. Cosa dobbiamo fare noi, sfortunati abitatori delle profonde coste tirreniche della Calabria(e non solo)? Dobbiamo deporre le armi o dedicarci ad altre tecniche? Assolutamente no. Il nostro predone è largamente presente sulle nostre coste (Peppino & spinners docet) e non dobbiamo far altro che affinare le armi e aguzzare l’ingegno. Il comportamento è differente a seconda dell’età. Infatti, spesso e volentieri si atteggia a grufolatore di gruppo in età giovanile mentre diventa totalmente o quasi solitario in età adulta assumendo prevalentemente le vesti del cacciatore. Ma inquadrarla entro canoni rigidi è praticamente impossibile: ogni volta che si pensa di aver stabilito la regola ecco che si presenta l’eccezione. La nostra regina ha infatti un comportamento a volte imprevedibile e camaleontico e di questo dovremo tenerne conto. A nostro favore comunque depone il fatto di trovarci di fronte ad un avversario pressoché onnivoro. La sua dieta spazia dagli anellidi ai cefalopodi, dai crostacei ai pesci, sia vivi che morti, passando dai molluschi pertanto il nostro parco esche potrà essere quanto mai vario. Comunque la sua indole di predatore ci farebbe orientare verso gli inneschi vivi ma in questo caso sfoceremmo nella tecnica a teleferica e similari che esula dal nostro campo. E’ comunque possibile utilizzare queste esche (cefaletto e anguillina in primis) ma in condizioni di scaduta e con dei lanci appoggiati, significando che lanci violenti e condizioni di mare estremamente mosso troncherebbero immediatamente la vitalità delle nostre insidie.
DOVE
 In quali posti insidiare la spigola? Bella domanda: potrebbe essere ovunque. Ovviamente ci sono degli spot da prediligere rispetto ad altri. Spogliamoci per un momento dei panni da pescatore e indossiamo le squame del nostro labrax. La nostra ha uno scatto rapidissimo ma di breve durata, predilige prede di dimensioni non esagerate e soprattutto non le piace percorrere autostrade ma ama aspettare piuttosto che disperdere energie nella ricerca di cibo. Quindi il suo territorio di caccia tipo è facilmente intuibile: 1) spiagge piccole delimitate da formazioni rocciose, promontori o scogliere (le c.d. pocket beach). Ambienti delimitati che costituiscono riparo per tante creature di cui cibarsi ed entro cui la caccia si risolve, in bene o in male, nell’arco di pochi metri. 2) presenza di foci con emissione di acqua dolce con possibilità di risalita del primo tratto di fiume. Questo è un ambiente che fornisce alla nostra amica elevate quantità di cefalotti e anguilline. 3) gradino di risacca: è un territorio di caccia prediletto dalla spigola. Questa zona schiumosa, durante il rimescolamento delle onde, solleva innumerevoli organismi che costituiscono il menù principale dei piccoli pesci. In poche parole è l’innesco della catena alimentare. In questo caso sospinge le prede verso la battigia senza stancarsi. Di conseguenza è in prossimità di questi ambienti che piazzeremo le nostre esche Non tralasciamo ovviamente secche o scogli isolati e nemmeno le zone in cui l’acqua cambia colore: la spigola, oltre che opportunista, è un’abilissima stratega e, in mancanza di nascondigli solidi, al riparo dei quali attendere le prede, si affida alle zone d’ombra che l’elemento liquido le può fornire. In definitiva, ogni ambiente in cui, senza tanto affannarsi, presenti una buona concentrazione di cibarie, può costituire il luogo ideale di caccia della nostra amica. Quanto detto è riferito principalmente alle spiagge ad alta energia. Discorso leggermente diverso andrebbe fatto per le spiagge basse. In questi ambienti, anche con un leggero sommovimento le acque divengono opache fornendo il necessario occultamento al nostro cacciatore anche in assenza di ripari naturali.
Anche qui è fondamentale andare ad individuare l’innesco della catena alimentare. A tal proposito vi rimando alle discussioni già affrontate in più occasioni e relative ai soliti frangenti, canaloni paralleli e perpendicolari ecc. L’unica raccomandazione è di non essere tentati, trattandosi di acque basse, di raggiungere sempre e comunque distanze estreme: ricordatevi che il canalone più vicino a riva di solito è quello più bazzicato dalle spigole. Gli amici che pescano nel medio Adriatico, zona molto ricca delle nostre amiche, spesse volte pescano con una porzione di bracciolo fuori dall’acqua.
COME
Tenendo conto che ci occupiamo di surfcasting gli attrezzi saranno adeguati allo scopo. Se ci prefiggiamo di pescare solo in condizioni di scaduta o di mare non estremamente mosso anche le telescopiche e le 3pz possono andar bene a patto che ci consentano di pescare con zavorre da 150gr. in su più esca. Mulinelli fissi con frizione di provata affidabilità e buona capienza caricati con monofili non inferiori allo 0.28 più shock leader adeguato al piombo utilizzato. Il surfcaster completo che non vuole trovarsi impreparato davanti a condizioni estreme ricorrerà invece alla soluzione ripartita più rotante. In questo caso la gamma sia in ordine alle canne che ai mulinelli è più ristretta: potremmo optare per una canna da 6oz o arrivare ad una 8oz a seconda della situazione che preferiamo affrontare. La scelta del mulinello ricade fra le tre marche arcinote sul mercato optando fra i modelli più potenti o più veloci a seconda della situazione. Essi saranno caricati con un monofilo dallo 0.30 in su più il solito shock. Anche per i calamenti il discorso è molto semplice. Tralascio l’uso dello scorrevole in quanto poco indicato per il surfcasting e mi limiterei al long arm ed allo short . La scelta dell’uno o dell’altro è determinato dalla forza delle onde e dalla profondità dell’acqua. Personalmente prediligo i braccioli lunghi, non a livello di orata ovviamente, ma dai 150 ai 200cm. Teniamo conto che dobbiamo trovare un ottimo compromesso fra massima mobilità dell’esca e tenuta ai grovigli. Io di solito armo una canna con un long sopra i 150cm con attacco basso ed un’altra con le stesse misure ma con attacco alto. Aumento il diametro finchè non arrivo alla perfetta tenuta del bracciolo. Ricordiamoci che nelle nostre condizioni è sconveniente scendere sotto uno 0.30 di diametro mentre possiamo arrivare ad impiegare fino ad uno 0.60. Naturalmente se le condizioni sono da centrifuga e l’acqua non è particolarmente opaca possiamo ripiegare sui classici short e short rovesciato. Escluderei il pater noster a causa dei braccioli corti che non rendono la necessaria mobilità anche se può capitare che il nostro predatore possa essere ingannato da un braccioletto da 30cm. Non utilizzerei fluorocarbon vista la scarsa visibilità delle acque e ritengo controproducente l’impiego del cavetto d’acciaio. Le esche sono quelle viste nelle premesse: di tutto e di più, teniamo conto che la spigola, anche se è un predatore, è comunque un calcolatore che mira al massimo profitto con la minore spesa. Nella stagione fredda, poi, quando i pesciolini e gamberi da predare sono più rari, giocoforza deve orientarsi su altri bocconi che le possano offrire il giusto apporto proteico. Naturalmente il grado di appetibilità delle singole esche varia da spot a spot. La nostra sceltaricade su: grossi americani, bibi, sardine, cefali, seppie, calamari e occhio di canna, cannolicchi, fasolare e cardium. Dovendo fare una classifica generica di massima metterei al primo posto la seppia fresca, magari innescata a strisce con un taglio finale a coda di rondine. Con tutto questo parco a disposizione potremmo anche sbizzarrirci in accoppiate quali americano (di grosse dimensioni) con trancetto di seppia, cannolicchio con fasolare o occhio di canna ecc. Non lesinate sulla misura degli ami: dobbiamo presentare bocconi di una certa grandezza e quindi l’uncino dovrà essere adeguato, partiamo da misure prossime allo 0 per arrivare fino al 2/0 – 3/0. Il tipo da impiegare dipende dai gusti personali. Diciamo che il beack è universale mentre l’aberdeen è più specifico per le esche da tenere lunghe quali l’americano, la sarda e la striscia di seppia. Non tralasciamo di effettuare qualche tentativo con l’esca sgallata. O all’interno quando la tipologia lo consente (sarda, seppiolina ecc) o con dei pop-up negli altri casi
QUANDO
Un predatore si dovrebbe nutrire comunque, a prescindere dalle condizioni ma, statisticamente parlando, ci sono dei momenti più propizi in cui la nostra regina è più propensa a spalancare la bocca. La sua attività è influenzata da condizioni climatiche e temporali. Sotto il primo aspetto dovremo andare a cercare l’arrivo di una perturbazione. Un drastico calo barico, che di solito coincide con l’inizio di una mareggiata, mette la carica alla nostra amica che rimarrà comunque attiva per tutto il tempo della mareggiata e della scaduta finale. Sotto l’aspetto temporale ritengo che sia una delle specie più soggette all’effetto delle maree. I momenti migliori sono i culmini di alta e bassa marea facendo comunque salve le due ore prima e le due ore dopo dei due eventi. Altri momenti fertili, sempre sotto l’aspetto temporale, sono i cambi di luce ovvero alba e tramonto, fattori che, come ben sapete stimolano l’attività di diverse specie. Stabilire se è meglio la notte o il giorno non saprei: quando il mare muove la trasparenza dell’acqua è molto limitata per cui anche le ore diurne non hanno controindicazioni. La stagione clou è ovviamente l’inverno, periodo in cui gli esemplari più grossi accostano per la riproduzione, però, essendo una specie che non effettua grossi spostamenti, qualunque condizione di mare mosso, in qualunque stagione, potrebbe essere un’occasione propizia per darle la caccia.
CONCLUSIONI
L'azione di pesca in se è semplice: una canna a sondare la zona del gradino di risacca e i primi 30 metri e l'altra dai 50 metri in poi. Nelle pochet beach accostiamo le nostre esche alle formazioni rocciose. Se siamo nei pressi di una foce cerchiamo di lambire il punto più lontano in cui arriva l'acqua dolce (lo si individua dal cambio di colore dell'acqua). Nelle spiagge basse una canna nel primo canalone e la seconda sull'ultimo. Cosa molto importante è di non stare con le mani in mano anche se le esche sono corpose e resistenti: variamo le distanze, alterniamo i calamenti e variamo le esche. E soprattutto andate a pescare quando il mare muove.
Spero di essere stato utile e e di non avervi annoiato calabria
Alla prossima

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PESCA & FAI DA TE AUTOCOSTRUZIONE / IL PIOMBO "MEDICATO"
« on: October 24, 2010, 00:17:29 »
Della serie “siamo pescatori e le proviamo tutte”, volevo condividere con voi una mia “ideuzza” che avevo realizzato qualche anno fa e che mi è ricapitata fra le mani qualche giorno fa rovistando nel reparto vintage del mio garage. L’avevo battezzato “piombo medicato” ma ovviamente il nome non ha alcun legame con la sua funzione.
Cosa occorre:
-Un piombo fisso ad alta aerodinamicità o comunque di forma allungata tipo tournament, beach bomb, evoluzione e via discorrendo.
-Un rotolo di garza da medicazione di larghezza più o meno pari alla lunghezza del piombo (circa 6 cm.).
-Filo elastico.
Procedimento:
Adagiate il piombo sull’estremità della garza, e fasciatelo con 4-5 giri ben stretti della stessa.
Tagliate la garza, rassodate con parecchi giri di filo elastico, tagliate la garza in eccesso sulle estremità ed il gioco è fatto.
Ma a che serve st’affare?
A preservare il piombo dalle ammaccature contro le pietre  ;D. Scherzo ovviamente.
Capita infinite volte che siamo a pescare senza vedere la minima tocca nonostante le proviamo tutte. E’ stata tentata anche la strada della pasturazione mediante piombi con la molla, piombi bucherellati ecc., ma il brumeggio a fondo è assai difficoltoso da realizzare.
Con il piombo medicato, il cui nome ha solo riferimento al presidio chirurgico utilizzato, è possibile effettuare una sorta di pasturazione, o meglio, di richiamo senza particolari patemi d’animo.
Naturalmente il nostro piombo dev’essere coadiuvato da un altro accessorio: olio di sardina.
Una volta innescato l’amo non dovremo far altro che intingere per qualche secondo il nostro piombo dentro il barattolo dell’olio e lanciare.
In passato l’avevo usato qualche volta e dei risultati li avevo avuti ma onestamente non saprei dire se correlati all’olezzo del liquido o alla presenza cospicua di pesce nel periodo. In sostanza non ho una statistica certa supportata da risultati continuativi per dirvi che questo espediente ha una marcia in più. Tuttavia bisogna dare atto che tanti tentativi sono stati fatti con l’olio di sarda, addirittura il solo cotone idrofilo imbevuto del liquido e innescato sull’amo.
Ritengo che questo sia un periodo ottimo in quanto l’acqua è ancora tiepida e favorisce il diffondersi degli effluvi. Ritengo che sia da usare a mare calmo o poco mosso in quanto a mare mosso l’effetto brumeggio si dissolverebbe rapidamente. I calamenti migliori ritengo che siano tutti quelli con braccioli corti giusto per rimanere nella zona richiamo.
La garza, una volta recuperata è assolutamente pulita e con pochi odori e rimane sul piombo per tantissimo tempo.
Non avevo continuato ad usarlo poiché un giorno avevo posato il barattolo dell’olio sul bordo sulla cassetta, l’avevo inavvertitamente urtato facendolo versare tutto all’interno con le conseguenze che potete immaginare.
Ribadisco che non è la soluzione per riempire il secchio di pesci ma solo uno dei tentativi che possiamo effettuare quando siamo in preda alla disperazione.
Alla prossima

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SURFCASTING / I PRIMI PASSI A SURF
« on: October 21, 2010, 23:28:23 »
PREMESSA
Provo per un momento ad indossare gli abiti da maestro elementare e accompagnare per mano un ipotetico “scolaro” nell’apprendimento del surfcasting. Non è compito facile in quanto chi ha un po’ d’esperienza tende a dare tutto per scontato, sorvolando alcuni aspetti elementari che sono invece di primaria importanza per chi è alle prime armi. Ho cercato di prendere spunto dalle domande più ricorrenti di chi si avvicina a questo sport per costruirvi intorno un ipotetico primo incontro con il surfcasting, limitando al massimo i traumi di un brusco impatto. A tanti capita di iscriversi con entusiasmo ad un certo corso di studi per poi rendersi conto, nel corso dell’anno scolastico, di non esservi portati. Questa disciplina è proprio così: bisogna provare sul campo se è la nostra vera passione o se si tratta di un’infatuazione passeggera destinata a consumarsi come un fuoco di paglia.
Diamo per scontato che sia chiaro il concetto di surfcasting e andiamo per piccoli passi essendo fondamentale l’apprendimento graduale, proprio come succede nelle scuole.
La nostra disciplina richiede passione, spirito di sacrificio e adattabilità, attrezzature specifiche, spirito di  osservazione e anche studio. Partiamo dall’ultimo elemento. Proprio come in una scuola elementare non dovremo misurarci da subito con funzioni matematiche e versioni di greco ma andremo ad affrontare le situazioni più soft che sono comunque alla nostra portata senza rappresentare un impatto traumatico che possa compromettere la prosecuzione del nostro cammino.

GLI SPOT E LE CONDIZIONI METEOMARINE
Per fare questo occorrono due operazioni: la scelta della spiaggia e la scelta delle condizioni meteo ideali. La prima è più problematica in quanto presuppone una certa esperienza maturata con la conoscenza diretta dello spot specifico o del prototipo di spot: in sostanza quello che in gergo viene definito “il senso dell’acqua”.  Ci si possono presentare due condizioni opposte: spiagge profonde e spiagge basse. La prima tipologia ci aiuta, sotto certi aspetti, nei nostri primi passi, la seconda può richiedere qualche dote tecnica in più. In linea di massima cercheremo di seguire alcuni accorgimenti comuni alle due tipologie. Cercheremo anzitutto di evitare spiaggioni sconfinati che non ci forniscono alcuna indicazione, specie negli spot ad alta energia. Conseguentemente andremo a ricercare quelle che in gergo vengono definite “pocket beach” ossia spiaggette di piccole dimensioni delimitate ai due lati da promontori, scogliere o altre formazioni. Questa tipologia di spiagge ha il vantaggio di ripararci da alcuni venti e correnti marine ed offrire rifugio alla fauna stanziale che a loro volta innescheranno la catena alimentare. Verifichiamo comunque che il fondale sia sabbioso o che presenti ampie chiazze di sabbia dove potremo posizionare le nostre esche. Fondali misti estremamente accidentati possono viceversa rappresentare un handicap per i nostri primi passi. Se una simile scelta non rientra nelle nostre possibilità immediate allora ci potremo indirizzare in spot dove siano presenti delle foci o dove sia evidente la presenza, in acqua, di formazioni rocciose affioranti. Teniamo conto che le spiagge aperte, con fondale profondo, si presentano come un rettilineo senza soluzione di continuità che ci metterà in crisi sulla scelta del punto dove posizionare le canne. Nelle spiagge aperte basse invece potremmo avere comunque qualche indicazione guardando la linea di battigia, andando a scegliere i punti dove l’acqua risale in modo più pronunciato sulla spiaggia. Sempre nelle spiagge a bassa energia si manino tutti quegli indicatori tipici di un impianto da surf come i frangenti e i canaloni che ci possono dare un’indicazione precisa sul dove sistemare i picchetti. Eviteremo situazioni estreme che non sono ancora alla nostra portata “accontentandoci” per il momento di quella leggera frangenza che distingue quel tratto di mare e che risulta alla portata dei nostri lanci. Una regola basilare, quando l’ammasso d’acqua ci appare uniforme e monotono, è di andare a ricercare quei punti in cui ci sembra di vedere qualcosa di diverso (presenza di schiuma, colore diverso dell’acqua, conformazione diversa della superficie).
Il secondo aspetto, quello della valutazione delle condizioni meteomarine, risulta di più facile soluzione. Questo aspetto presuppone comunque che dovremo fare uno studio preventivo andando a consultare e paragonare due o tre siti web di meteorologia. Quali condizioni dovremo andare a cercare? Anzitutto la fase iniziale di una mareggiata però occorre dire che è un frangente difficile da prevedere e quindi da pianificare a tavolino. Inoltre, nella maggioranza dei casi il fenomeno dura un battito di ciglia: non abbiamo fatto in tempo ad aprire le canne che ci troviamo già in mareggiata piena e fuori dalle nostre possibilità. Il clou della mareggiata, per il momento, lo riserviamo alle classi superiori. Sono da sfruttare invece quelle mareggiate che non aumentano con il passare delle ore e rimangono costanti con una forza e portata che rientrano nelle nostre capacità. La situazione più efficace, però, per il nostro caso è rappresentato dalla scaduta. La scaduta, ma tutti lo sappiamo, è rappresentata da quella fase in cui il mare da molto mosso o agitato si avvia verso la quiete. Anche in questo caso i problemi non mancano in quanto, nel giro di poche ore potremo trovarci con il mare scoppiato ma comunque dobbiamo imparare a cogliere “l’attimo fuggente”. Come facciamo a sapere che ci troviamo di fronte ad una scaduta? Naturalmente chi ha la fortuna di abitare vicino al mare può verificare de visu l’inizio di questa fase. Chi invece non ha un riscontro diretto deve programmare la battuta mediante la consultazione di siti meteo. Quali dati dovremo andare a verificare sul portale meteo? Anzitutto l’inizio della risalita della pressione atmosferica, poi una diminuzione dell’intensità del vento ed infine una diminuzione dell’altezza delle onde. Con la coincidenza di questi dati su due o più siti web possiamo essere quasi certi che siamo in presenza di una scaduta. Ad ogni modo, una volta giunti sulla spiaggia avremo una spia indicatrice: dovremo osservare la linea di detriti (alghe, legnetti ecc.) depositati dalla mareggiata e verificare se attualmente la risalita dell’acqua sulla spiaggia si ferma prima di questa linea. In caso affermativo significa che l’intensità delle onde si sta smorzando e ci troviamo nella fase che ci interessa.

L’ATTREZZATURA
Esaurita la fase preparatoria, passiamo all’attrezzatura. Abbiamo detto che siamo alle prime armi e proprio per questo siamo andati a ricercare condizioni non troppo osè. Avremo di conseguenza bisogno di attrezzi dimensionati allo scopo. Scartiamo, per il momento, l’impiego di ripartite e rotanti che saranno di nostro appannaggio in futuro e indirizziamoci su telescopiche e tre pezzi e su mulinelli fissi. La scaduta ci può riservare sorprese gradite e sgradite. Anzitutto è la condizione che, statisticamente, fornisce i migliori risultati in termini di catture e questo è l’aspetto positivo ma può capitare che la condizione di calma apparente nasconda insidie tipiche di condizioni più estreme. Mi riferisco alla presenza ancora in atto di correnti sostenute e di alghe in massiccia quantità. Queste condizioni ci devono far orientare comunque verso attrezzi di una certa potenza ed affidabilità. Di conseguenza le nostre telescopiche le andremo a scegliere fra quelle più performanti con range di potenza almeno di 170gr. Anche i nostri mulinelli fissi saranno caricati con monofili di diametro non inferiori allo 0.28, supportati da uno shock leader almeno dello 0.60. Ricordiamoci infatti che anche se non saremo nell’occhio del ciclone, andiamo ad affrontare condizioni marginali di surfcasting. Per quanto riguarda il resto della nostra attrezzatura io consiglio di limitarsi allo stretto indispensabile. Potremo utilizzare uno zainetto o un box di medie dimensioni. Al suo interno, naturalmente indicativamente, vi riporremo: una serie di piombi da media e alta tenuta in diverse grammature (tipo 125 – 150 e 175gr più un paio di spike da 110-125gr. Un paio di bobine di ricambio per i mulinelli caricate con il medesimo filo. Alcuni rocchetti di filo di varia misura dallo 0.25 in su per la preparazione di finali, travi e shock leader. Una scatoletta a scomparti per riporre i nostri ami che saranno rappresentati dai soliti beack e aberdeen nelle misure minime del 4 fino ad arrivare a quelli zerati. Qualche rocchetto sul quale avvolgeremo dei travi già pronti giusto per velocizzare l’azione iniziale di pesca: Un paio di minitravi, un paio di pater noster ed un paio di short rovesciati. La dotazione sarà ovviamente completata da pinze, forbici, aghi ecc. Naturalmente non dimentichiamo un paio di robusti picchetti da preferire al tripode, più ingombrante e pesante. Limitarsi all’indispensabile, oltre a non pesare sulla nostra schiena ci consentirà di effettuare eventuali spostamenti della nostra posizione in caso di assenza di risultati.

LE ESCHE
Anche sotto questo aspetto cerchiamo di scrollarci di dosso la crosta del biccerello: le condizioni lo richiedono. Come anellidi portiamoci dietro soltanto americani e bibi di una certa pezzatura . Per il resto ci riforniremo in pescheria: seppia freschissima, occhio di canna, cannolicchio, fasolare e sardine saranno il menù per i nostri amici pinnuti. Quale impiegare in prevalenza dipende sempre dal nostro istinto ed esperienza oltre ad eventuali notizie in ordine al luogo di pesca.  Personalmente, dovessi fare una classifica, metterei al primo posto i cefalopodi citati, poi americano cannolicchio e fasolare e in fine sardina e bibi ma teniamo conto che l’appetibilità può variare da spot a spot. All’occorrenza possiamo sbizzarrirci con la fantasia innescando in tandem le nostre esche.

L’AZIONE DI PESCA
Una volta sistemata la nostra attrezzatura iniziamo l’azione di pesca. Qui i consigli lasciano il tempo che trovano o meglio, si va ad istinto ed esperienza personale. Vi sono ovviamente delle regole standard ma ogni spot ha una storia a sé. Vi sono degli spot a bassissima energia dove viene d’istinto l’impiego di uno short con attacco basso e poi si scopre che le spigole vengono catturate con un long arm piuttosto lungo. Altre volte, pescando in mezzo alla schiuma viene naturale affidarsi ad un pater noster per poi accorgersi che funziona meglio uno short rovesciato del quale vedremo lo snodo fuori dall’acqua e così via. In sostanza, cosa che ripeto sempre, non fossilizziamoci su un tipo di calamento ma facciamo ruotare tutto quello che abbiamo a disposizione. L’importante è che le nostre esche lavorino bene e ciò avviene se i nostri terminali, al controllo esche, vengono su perfettamente stesi e senza garbugli. Personalmente sono un amante dei terminali lunghi che cerco di adoperare fino a quando le condizioni del mare lo consentono, magari aumentando il diametro del nylon. A questo proposito vi consiglio di lasciare a casa le bobine dello 0.18 et simila. Con mare mosso e acqua torbida o velata non hanno alcun vantaggio se non quello di farvi mangiare le mani per un bel pesce perso. Idem per il fluorocarbon che in queste condizioni sarà solo una spesa in più.  Naturalmente cercheremo di piazzare le nostre esche, possibilmente a distanze diverse, in quei punti visti all’inizio che sono accreditati di maggior possibilità di cattura. Quindi, se ad esempio ci troviamo in presenza di più frangenti inframmezzati da altrettanti canaloni paralleli, posizioneremo le esche di una canna nell’ultimo canalone che riusciremo a raggiungere e quelle dell’altra in uno più vicino, variando via via le distanze fino ad averli sondati tutti. Se ci troviamo di fronte ad un unico canalone perpendicolare, agiremo all’interno di questo variando di tanto in tanto le distanze delle nostre esche. Se la scaduta è proprio agli sgoccioli andremo a piazzare le canne in prossimità di quell’ultimo ricciolo di schiuma rimasto. Questo per quando riguarda le spiagge basse. Se invece il nostro spot è una spiaggia ad alta profondità consentriamoci nella zona prossima al gradino di risacca.

CONCLUSIONI
Ho volutamente tralasciato l’approfondimento di alcuni aspetti quali ad esempio il confezionamento di travi e terminali o l’innesco delle esche ecc. per non fare un poema noioso, perchè sono tutti argomenti già trattati ampiamente in questa ed altre sezioni e, naturalmente per lasciar spazio alla discussione.
Dimenticavo di dire che, nel frattempo, dotatevi di una canna ripartita, meglio se abbinata ad un mulinello rotante, e andate a tirare nel campetto vicino casa perché la prossima volta dovrete entrare nell’occhio del ciclone calabria
Alla prossima

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SURFCASTING ATTREZZATURE / SURFCASTING E TELESCOPICHE
« on: October 01, 2010, 01:09:49 »
Parlare di canne da pesca è quanto di più soggettivo si possa fare. Tentare poi di far capire, specie a chi è alle prime armi, la differenza fra una canna generica da fondo ed una da surfcasting  diventa impresa improba. A questo proposito non aiuta certo la solita confusione che regna sovrana sul vero significato di Surfcasting alimentata dalle case produttrici ed importatrici e dalle riviste di settore. Le prime ormai definiscono “canna da surf casting” tutta la loro produzione di telescopiche, di due e tre pezzi a partire dai 50 ai 200 e passa grammi. Le seconde fanno un bel minestrone fra surf, pesca a fondo e beach.
Lo so che questi discorsi sono stati fatti milioni di volte sia parlando di disciplina che parlando di attrezzatura ma provate a dare un’occhiata nelle sezioni specifiche del Forum e troverete ripetute all’inverosimile le stesse domande: consigli per canne da “surf” da 80 gr. “Faccio surf con una telescopica da 100 gr“ e così via. Personalmente ormai intervengo rarissime volte per puntualizzare i concetti, probabilmente gente come me è destinata a soccombere sotto la spinta delle leggi di mercato e del profitto. Purtroppo anche fra gli “addetti ai lavori” o meglio, tra chi sa distinguere fra un mare piatto ed uno mosso, le divergenze sono parecchie. Lasciamo perdere le preferenze personali in ordine a marche e modelli e limitiamoci alle due principali categorie ovvero: canne ripartite e “resto del mondo” ricomprendendo in quest’ultima fascia le telescopiche, le tre pezzi e le due pezzi non ripartite. Ebbene la domanda è la seguente: si può fare surf casting con canne non ripartite? Di primo acchito mi verrebbe da rispondere un perentorio “no” ma con il tempo mi sono un po’ ammorbidito, ho cominciato a ragionarci sopra e fare dei distinguo, ma vi anticipo subito che queste eccezioni, per me, rappresentano allo stesso tempo anche delle limitazioni alla nostra crescita tecnica ed alla nostra completezza. Ovviamente, cavarsela con un perentorio si o no sarebbe troppo facile ma in questa famiglia siamo abituati a tentare di spiegare anche il come e il perché. Dunque, le canne ci servono per affrontare il mare e partiamo quindi dagli scenari tipici che ci si possono presentare in una battuta di surf casting lungo la penisola e immaginiamo di portare a pesca le nostre fide compagne. In sostanza abbiamo due situazioni contrapposte: spiagge a bassa energia e spiagge ad alta energia ovvero spiagge con fondali bassi e spiagge con fondali alti. Sappiamo che il vero impianto da surf si crea nelle spiagge a bassa energia dove si possono riscontrare i caratteristici canaloni, frangenti ecc. Le problematiche ricorrenti delle spiagge basse sono: la distanza a volte elevatissima in cui si manino queste caratteristiche e la presenza di forti correnti laterali, spesse volte contornate da quintali di alghe. Raggiungere certe distanze e contrastare certe correnti il più delle volte è fattibile solo con canne ripartite con i range più alti di potenza (8 once). Utilizzare altre tipologie di attrezzi diventa infruttuoso. Si rischia di pescare a 30 metri di distanza in venti centimetri d’acqua oppure a passare il tempo a far fare la passata al piombo. Mi obietterete che esistono telescopiche da 200 grammi e tre pezzi di potenza ancora superiore ma vi ricordo che queste potenze sono nominali, per quelle effettive occorre sottrarre qualche decina di grammi anche perché in queste condizioni non peschiamo con il gambetto di arenicola. A questo aggiungiamo che questi tipi di canne sono raccomandate per lanci non tecnici come l’above ed il side ovvero lanci che non ci permettono distanze elevate specie se consideriamo che siamo costretti a pescare con monofili elevati in bobina. D’altronde, come riprova, è capitato a tutti noi di affrontare una battuta di pesca a mare poco mosso ma con vento sostenuto per renderci conto che le telescopiche in primis si comportano come banderuole al vento.
Nel secondo tipo di spiagge, quelle profonde, sarà invece difficile riscontrare i fenomeni dell’impianto da surf ma avremo invece la possibilità di sfruttare con successo la zona della risacca e delle immediate vicinanze. Le condizioni, purtroppo, nelle spiagge ad alta energia non sono sempre uguali. Spesse volte troviamo un’unica grossa onda che si schianta sulla battigia, altre volte avremo un treno di onde che si formano regolarmente dai 50/60 metri ed avanzano verso riva. La prima situazione è quella forse più semplice da affrontare ed è l’unica che, secondo me, può essere gestita con una telescopica o una 3 pz, ovviamente di potenza adeguata. In queste condizioni non avremo necessità di raggiungere distanze elevatissime, anzi, ci dovremo limitare ad appoggiare l’esca poco oltre il gradino di risacca, al riparo della turbolenza. Nell’altro caso le cose si complicano in quanto, anche se la prima di quella batteria di onde ci appare a distanza raggiungibilissima, all’atto pratico il nostro filo sarà continuamente sottoposto ad un tira e molla che si ripercuoterà sulla cima della nostra canna che andrà ritmicamente quasi a toccare la cresta di ogni onda facendoci perdere la pazienza. Occorre comunque dire, ad onor del vero, che nelle spiagge profonde, quando il mare picchia davvero duro, la presunta maggior facilità rispetto alle spiagge basse va a farsi benedire.
 Dovendo tirar le somme di questa mia riflessione, direi che l’uso di telescopiche e simili nella pratica del surf casting è limitato all’unica situazione cui accennavo prima oltre, naturalmente, a tutte le condizioni di scaduta. Avevo detto all’inizio che queste eccezioni rappresentano allo stesso tempo delle limitazioni ed infatti limitarsi a pescare solo in fase di scaduta o quando il frangente è a 30 metri o quando si presenta una sola onda nel sottoriva è davvero riduttivo e sminuente. Se consideriamo che è già difficoltoso trovare delle condizioni di pesca favorevoli e che la percentuale si riduce ulteriormente se non abbiamo la fortuna di poter andare sovente a pesca, non possiamo precluderci la possibilità di un buon risultato per colpa di un’attrezzatura inadeguata. Non si può certamente negare che condizioni di mare non esasperate ed affrontabili con una tele di media potenza possano ripagare maggiormente in termini di catture ma qui, oltre a disquisire se si tratta di vero surf, dovremmo sostenere che questa disciplina non è fatta esclusivamente di pesci nel retino. Queste, naturalmente, sono le mie sensazioni espresse con una tastiera ma posso garantirvi che quelle in riva al mare sono di gran lunga più intense e complete. In sostanza: provare per credere. Naturalmente ognuno di noi ha il proprio punto di vista e soprattutto la propria visuale personale del surfcasting. Ma questo è un altro argomento.
Alla prossima


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SURFCASTING / SURFCASTING: DOMANDE DEI PRINCIPIANTI
« on: September 07, 2010, 21:28:21 »
Lo Staff di  ;D ha ritenuto di far cosa gradita, oltrechè utile, far aprire ai moderatori un topic permanente nella sezione specifica in cui possano confluire tutte le domande di chi è alle prime armi.
Qui di seguito potrete postare le vostre richieste e domande riguardanti il surfcasting.
Discussioni analoghe sono state aperte o verranno aperte nelle altre sezioni.
Ciao

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PESCA FORUM BAR / LA CATTURA PIU' BELLA
« on: July 09, 2010, 01:01:47 »
Il nostro amico Ivano (Ivo per la Comunity) ha finalmente realizzato la cattura della vita.
Trattasi di esemplare di homo sapiens del peso di 3,8 Kg bellissimo e vivacissimo.
A parte gli scherzi, il nostro amico non sta più nella pelle quindi mi prendo io l'onore di annunciare l'arrivo di M A T T I A   ùùooiuuy
Un grosso in bocca al lupo ai neo mamma e papà

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MERCATINO DEL PESCATORE / [CERCO] Italcanna Coguaro
« on: May 25, 2010, 09:13:49 »
cdo sono alla ricerca di una Italcanna Coguaro 140gr. in ottime condizioni e a prezzo non stratosferico  calabria grazie

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PESCA A FONDO / LA BOGA A FONDO
« on: May 18, 2010, 14:14:22 »
Ciao ragazzi,
Fra i pesci “poveri” che possono regalarci un’alternativa a specie più pregiate, non può certo mancare la boga, ossia la nostra tanto amata/ odiata “vopa”. Alternativa in fatto di qualità delle carni rispetto alle più blasonate orate, saraghi, spigole e mormore, ma nulla da invidiare in termini di divertimento, anzi il nostro sparide ha sempre un asso nella manica che renderà la cattura incerta fino alla fine. Dicevamo che a volte, quando capita inavvertitamente sui nostri ami, può risultare un pesce poco gradito ma occorre anche dire che vi sono molti estimatori lungo tutta la penisola e, personalmente, non vi nascondo che una bella frittura di boghe freschissime mi è particolarmente gradita. E' comunque un valido ripiego in quei periodi in cui altre specie più stimate si fanno desiderare.
In passato mi sono dedicato alla pesca di questa specie esclusivamente a bolognese e ricordo ancora, quando non esistevano ancora gli starlight, armeggiare nelle calde serate dalla primavera all’autunno con voluminosi galleggianti dotati di piletta cilindrica e lampadinetta.
In questo contesto ci occuperemo però della tecnica di pesca a fondo. Personalmente ho cominciato a praticarla durante le gare di pesca dalla spiaggia quando, per fare risultato, bisognava specializzarsi in questa tecnica per non essere surclassati. L’azione di pesca doveva essere velocissima per non perdere il branco e in certe manche non si era sicuri del primo piazzamento di settore nemmeno con 50 pezzi.
Nel nostro caso ce la prenderemo molto più comoda e non ci faremo stressare da stendini con decine di travi già pronti per l’innesco. Lasciamo perdere anche la pasturazione basandoci esclusivamente sulla nostra abilità e fortuna nell’individuare il branco. Insidieremo la nostra amica con la classica tecnica della pesca a fondo anche se con le dovute accortezze.
Atteso che le distanze di pesca non sono mai proibitive e che la boga non raggiunge dimensioni vertiginose, ci affideremo a delle canne leggere da beach/fondo con vetta molto sensibile dovendo operare con piombi fra i 50 e i 75 grammi. Mulinelli medio-piccoli, diciamo un 3000/5000 caricati con un buon 0.20 e recante uno shock leader dello 0.30/0.35.
Il trave è la vera particolarità della pesca a questa specie che normalmente si sposta a branchi da mezz’acqua fino quasi in superficie. Limitiamoci ad un semplice trave a due braccioli, per non complicarci l’esistenza, che sarà costituito da uno spezzone di nylon dello stesso diametro dello shock, lungo intorno ai 250 cm. Su un capo formeremo un’asola che andremo ad agganciare allo shock per mezzo di un gancetto tipo “peg peo” o “fast C”. All’estremità opposta una girella con moschettone accoglierà il piombo, generalmente tra i 50 e i 60 gr. fino ad arrivare ai 75 se il branco staziona a distanze maggiori. Realizzeremo ovviamente prima i due snodi  con la classica sequenza stopper-perlina-girella-perlina-stopper. Il primo snodo lo posizioneremo a pochi centimetri dal nodo dell’asola ed il secondo ad almeno 50 cm. sopra il piombo. In questo modo potremo adoperare due braccioli lunghi circa 1 metro ciascuno, scongiurando ingarbugliamenti.
Questa configurazione potremo gestirla con canne da 4 metri. Se disponiamo di canne più lunghe potremo eventualmente aumentare la lunghezza del trave e, conseguentemente, dei braccioli.
I terminali saranno realizzati con del nylon dello 0.16/0.18 tassativamente flotterati. Oltre ai flotter in commercio possiamo adoperare uno spezzone di circa 2 cm. di cavo di antenna tv privato dell’anima in rame e fermato con un pezzetto di stuzzicadenti. Il galleggiantino andrà posizionato vicino all’amo, a un paio di cm. dalla parte di esca che risale sul bracciolo. Dovremo però adottare degli accorgimenti per mettere al riparo il nostro filo dai dentini acuminati della nostra boga ovvero ispessire il tratto prossimo all’amo onde evitare che venga reciso nel giro di pochi secondi. Si può ricorrere ad un pezzetto di filo più grosso ma per risolvere il problema definitivamente occorrerà frapporre fra amo e nylon  uno spezzone da 4/5 cm. di multifibra piuttosto sottile come uno 0,04. In passato io adoperavo un sistema più spartano, economico ma altrettanto efficace: apriamo un pezzetto di cavo telefonico e ricaviamo un spezzone da 2/3 cm di tubicino dai cavetti che troviamo dentro, privandolo dei filamenti interni in rame. Facciamo passare il nostro terminale nel tubicino ed incastriamolo nella paletta dell’amo che avremo preventivamente legato. Questi tubicini sono di spessore ridottissimo e permettono anche il passaggio dell’esca se vogliamo spingerla anche sopra il bracciolo. Il peso è infinitesimale e risulta molto resistente alle mandibole delle boghe. Per quanto riguarda gli ami io adopero degli aberdeen del n° 10 che sono ben rapportati alle ridotte dimensioni della bocca e con il loro gambo lungo offrono una protezione in più contro i dentini acuminati. Per quanto riguarda l’esca non ci sono molti problemi: coreano e tremolina sono le più indicate e nemmeno in grandi quantità. Spesse volte capita che le nostre amiche preferiscano l’amo appena coperto piuttosto che bocconi più consistenti.
L’azione di pesca è semplicissima: lanciamo le nostre canne a distanze diverse in modo da sondare tratti diversi di fondale e mettiamo il filo in leggera tensione. Il lancio dovrà essere abbastanza morbido e accompagnato onde evitare l’aggrovigliarsi dei braccioli. L’abboccata della boga può essere violenta come il sugarello o può mandare il filo in bando come la mormora. Se avremo usato le protezioni sugli ami potremo aspettare alcuni secondi prima di dare la ferrata in modo da consentire l’abbocco di un eventuale secondo esemplare.
Se le nostre amiche si fanno attendere invogliamole eventualmente con qualche giro periodico di mulinello per dare un po’ di movimento ai braccioli.
Un’ultima raccomandazione è quella di pulire il pesce prima di tornare a casa, eviteremo in questo modo che le carni acquistino con il tempo sapori poco piacevoli.
Alla prossima 

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SURFCASTING / APPROCCIO (GRADUALE) AL SURFCASTING
« on: May 12, 2010, 14:08:18 »
Ciao ragazzi,
Prendo spunto dalle recenti considerazioni che ha fatto Roberto (Nonnoroby) sul surfcasting e così mi sono deciso a mettere nero su bianco alcuni cupi pensieri che mi frullano in testa da parecchio tempo.
Da quando navigo in questo Forum ho cercato di mettercela tutta per tentare di sollevare un po’ d’interesse intorno al Surfcasting. Qualche effetto spero di averlo sortito in quanto so che alcuni di voi hanno apprezzato i miei post ed i miei interventi e mi auguro anche di essere stato d’aiuto e di aver dato qualche utile suggerimento. Altri hanno concretizzato sia come attrezzature che come tecnica e spirito. Nonostante ciò ho l’impressione che il riscontro concreto a questa disciplina sia davvero minimo. Pochissimi sono i report, a prescindere dai risultati, di battute a surfcasting, specie sulle meravigliose coste della nostra amata Calabria, eppure i riscontri in altre discipline sono più che lusinghieri, almeno nelle stagioni propizie. Non vi nascondo che ciò mi provoca un po’ di sconforto.
Ho cercato di spremere le meningi su questo aspetto, ho riletto i miei articoli cercando di estraniarmi e, facendo autocritica, ho cercato di trovare quali potessero essere le pecche del mio contributo attraverso CPOL. Ne ho dedotto che le motivazioni di questo scarso attecchimento, a mio modo di vedere, sono plurime e complesse e, da parte mia, è forse  mancata una certa “gradualità” nell’approccio a questa disciplina. Ho detto più volte che la prima cosa che spinge un vero surfcaster a misurarsi con le forze della natura è la passione. Ma la passione, se non è intrinseca, bisogna trasmetterla, inculcarla e farla crescere. Questo può avvenire, il più delle volte, a piccoli passi, un po’ alla volta, passando da un gradino all’altro senza fare il passo più lungo della gamba. Quando si hanno i primi contatti con questa disciplina, il più delle volte si va a sbattere contro situazioni e condizioni elevate all’ennesima potenza. Il neofita sente dire che occorrono attrezzature particolarmente tecniche e costose, che bisogna combattere contro pioggia, vento, freddo ed onde gigantesche, che bisogna essere ottimi lanciatori, che i risultati sono spesso avari ecc. Insomma, un muro di “superlativi”  ed un insieme di aspetti negativi che  induce a tagliare immediatamente la corda e rifugiarsi in tecniche più rilassanti. Ciò è vero, il surfcasting, quello autentico è fatto di queste cose ed a volte anche concomitanti ma nessuno di noi, nemmeno il più navigato degli Scer, si è buttato a capofitto, fin dalla prima volta, nell’occhio del ciclone, armato di tutto punto. L’esperienza si accumula e si realizza per gradi con il tempo così come con il tempo si forgia il proprio carattere piscatorio. Mi rendo conto che trasmettere delle sensazioni attraverso la tastiera di un pc è impresa assai ardua e che certi stati d’animo possono essere vissuti solo in prima persona attraverso il contatto diretto con il mare. Quello che mi da fiducia comunque è il fatto che la passione per la pesca ci accomuna tutti e ciò rappresenta la base di partenza indispensabile per la successiva maturazione. Ho comunque notato con piacere che tanti “bravi ragazzi” cominciano a prepararsi al “salto” nella maniera più appropriata, a piccoli passi senza strafare, partendo magari dalla conoscenza dell’attrezzatura specifica. Il mio non vuol essere altro che un invito ad approcciare questa disciplina con gradualità, iniziando dal gradino più basso, da quelle situazioni che magari non sono inquadrabili come vere condizioni da surf ma che rappresentano una prima evoluzione della pesca a fondo a mare calmo. Mi riferisco alle condizioni di scaduta, mare appena mosso o inizio di mareggiata. Sono condizioni affrontabili da tutti con attrezzature non specifiche ed esasperatamente tecniche ma provviste già di un certo nerbo. Bisogna cominciare con il discostarsi dalla tranquillità e sicurezza che trasmette il mare piatto. Cerchiamo per un momento di pensare che più il mare si muove e più si muovono le sue creature. Il mio discorso forse può essere travisato ma chiarisco subito che non sto dicendo che possiamo fare surfcasting con mare appena increspato, con ametto del 10 e pezzetto di arenicola. Intendo dire che possiamo partire con una telescopica di un certo range di potenza ed avventurarci in condizioni di mare abbastanza sostenuto. Come dicevo prima, nessuno di noi è nato “imparato”. Il misurarsi con le difficoltà degli elementi fa scattare quell’istinto di competizione insito nella natura umana. E se le prime volte avremo vinto la nostra battaglia con una condizione di scaduta, sono più che sicuro che la nostra indole ci spronerà a misurarci, le volte successive, con situazioni via via più sostenute fino a raggiungere il nostro limite personale. Tutto questo percorso naturalmente passa attraverso un perfezionamento delle nostre doti tecniche e della nostra attrezzatura. Personalmente sono più che convinto che certe condizioni non si possano affrontare senza un’attrezzatura specifica ed una profonda conoscenza dei meccanismi acquatici. Questo presuppone una gestualità e manualità più che collaudate, la capacità di configurare la nostra attrezzatura ed i nostri schemi di pesca a quello che ci sta davanti. Saremo poi noi stessi ad accorgerci quando è arrivato il momento di salire al gradino successivo. Ci sarà qualcosa dentro di noi che ci farà capire che la nostra telescopica non sarà più all’altezza e avremo bisogno di qualcosa di più. Quando ti avvicini al mare e, prima ancora di vederlo, ti sale l’adrenalina semplicemente sentendo il boato delle onde anziché la timida risacca, quando torni a casa con il secchio vuoto ma con il sorriso sulle labbra perché hai comunque saputo tener testa alla vigorosità degli elementi, vuol dire che qualche segmento del tuo dna è configurato per questa disciplina. Con ciò, beninteso, non è mia intenzione sminuire o surclassare le altre tecniche di pesca a fondo. Queste sono solo mie considerazioni e sensazioni, frutto di esperienze che ho vissuto e continuo a vivere in prima persona. Forse io ho avuto la fortuna di sentire da subito il richiamo delle onde, senza mezzi termini o compromessi ma anch’io ho dovuto fare la gavetta in fatto di attrezzature, gestione delle stesse, strategie ed approcci e vi posso garantire che non mi sento assolutamente arrivato ma sempre pronto a nuovi stimoli e conoscenze, finché l’adrenalina non si sarà completamente esaurita nel mio corpo.
Alla prossima

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PESCA ALL'INGLESE & BOLOGNESE / IL GALLEGGIANTE DOPPIO
« on: May 05, 2010, 15:08:34 »
Un maledettissimo dolorino che da qualche tempo va a zonzo per il mio busto mi ha impedito di sfruttare alcune recenti condizioni tipicamente surfereccie primaverili. Il rosicamento è stato doppio in quanto queste situazioni, ipoteticamente favorevoli, coincidevano con alcune mie giornate di ferie forzate. Visti gli acciacchi, recentemente localizzati alla schiena, avevo deciso comunque di ricorrere a tecniche fisicamente meno impegnative ed ecco che qualche giorno fa mi fiondo in soffitta per dare una lustrata alle canne bolognesi e relativi mulinelli e a riassemblare la borsetta con tutti gli accessori. Frugando in scatole e scatolette riesumo due accessori ormai caduti nel dimenticatoio: due galleggianti che costituivano l’anima di questa tecnica a galla ovvero la pesca con il galleggiante doppio. Non so se qualcuno di voi l’ha mai utilizzata o vista utilizzare. Qui dalle mia parti era molto in voga alcuni anni fa e veniva impiegata principalmente con il cefalotto vivo nella ricerca della spigola. Naturalmente, con i dovuti ridimensionamenti e adattamenti, può essere adottata con diversi altri tipi di esche fra cui il bigattino. La realizzazione dell’impianto pescante è molto semplice: occorre un galleggiante piombato ed un galleggiante fisso. Quello piombato, da circa 3/4 gr. può essere di forma ovale o sferica ma deve necessariamente avere il foro passante. Quello fisso è rappresentato da una sferetta da circa 1 cm. di diametro al quale provvederemo a tagliare a filo l’astina. Io consiglio quelli in sughero dal costo di pochi centesimi e verniciati di nero per una migliore visibilità. Introduciamo il galleggiante fisso sul filo madre e blocchiamolo ad una certa distanza dall’estremità del filo. Inseriamo poi il galleggiante scorrevole che dovrà rimanere libero. Al capo libero del nylon leghiamo una girellina in acciaio del 20/22 preceduta, come salvanodo, da una minuscola sfera in plastica morbida o un pezzetto di tubetto in silicone lungo circa 3 mm. Sull’altro occhiello della girella annoderemo il nostro finalino. Quest’ultimo sarà privo di zavorra o recherà al massimo un paio di pallini del 2-2,5. Regoliamo ora le distanze nel senso che quando il galleggiante scorrevole è appoggiato al salvanodo, il galleggiante fisso dovrà essere posizionato a circa 20/30 cm. Questa distanza può anche essere aumentata in rapporto ai nostri riflessi nella ferrata ed alla sospettosità dei pesci. Questa distanza dovrà rimanere sempre costante durante l’azione di pesca. Se notiamo un progressivo avvicinamento del fisso allo scorrevole senza alcun attacco vuol dire che la parte immersa è troppo pesante. L’azione di pesca è altrettanto semplice. Una volta innescato il nostro amo lanciamo il tutto in acqua con un’azione piuttosto morbida e progressiva. Diamo una leggera trattenuta sul filo in uscita dal mulinello al momento dell’impatto con l’acqua per far si che il tutto si distenda in maniera omogenea. Visivamente avremo il nostro scorrevole adagiato sull’acqua seguito dal fisso e la nostra attenzione dovrà proprio focalizzarsi sui movimenti di quest’ultimo. Nel momento dell’abbocco vedremo il galleggiantino fisso che si avvicina allo scorrevole fino ad andare a sbattergli contro e inabissarsi tutti e due nel caso di abboccate violente. 
Il vantaggio principale di questo sistema sono la leggerezza e la scarsa avvertibilità da parte del pesce, addirittura superiore ai galleggianti da inglese. Al momento dell’ingoio la nostra preda non avvertirà alcuna resistenza che avverrà solo al momento dell’impatto dei due galleggianti. Da parte nostra potremo accorgerci in anticipo dell’abboccata se il pinnuto trascina lentamente l’esca e in quei pochi secondi in cui trascina il filo fra i due galleggianti noi potremo anticipare la nostra ferrata. Nel caso di abboccata violenta il contraccolpo dei due sugheri avrà già un’azione autoferrante.
Questo sistema purtroppo non ama lo sporco. La presenza in gran quantità di alghe che si attaccano al finale vanificano l’equilibrio dei pesi facendo sì che i due galleggianti lavorino attaccati annullando le sue caratteristiche. Occorre inoltre rapportare alla perfezione i pesi nel senso che se intendiamo zavorrare il finale dovremo necessariamente aumentare il diametro del galleggiante fisso altrimenti verrebbe tirato giù.
E’ un sistema un po’ vintage, forse ingiustamente caduto in disuso ma vi posso garantire che ho ancora davanti agli occhi alcuni vecchietti tiravano fuori spigole da capogiro usando due palle nere che dondolavano sull’increspatura del mare.   
Alla prossima

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PESCA A FONDO / IL TANDEM
« on: April 23, 2010, 08:22:36 »
Ovviamente non l’ho inventato io e non ricordo nemmeno se il nome è quello originario. Si tratta comunque di un bracciolo con due ami appaiati, utilizzabile nella PAF e nel Beach. Occorrente per la preparazione di un finale da circa 150cm.: due bracciolini da circa 15 cm. di lunghezza, realizzati con gli ami ed il diametro di filo che preferiamo ma comunque leggeri e sottili in quanto il terminale è indirizzato prevalentemente ai grufolatori ed innescato con anellidi. Uno spezzone di filo più lungo, circa 150cm, di diametro leggermente superiore. A titolo esemplificativo potremmo utilizzare uno 0.25 ed uno 0.22. Appaiamo i due ami, teniamo accostati i due spezzoni di nylon e uniamoli, mediante un nodo di sangue, allo spezzone di filo più grosso. Questa operazione, effettuata con tre spezzoni di filo magari non sarà agevole le prime volte, ma con un po’ di pratica riesce bene. Possiamo eventualmente appaiare gli ami in posizione leggermente asimmetrica, facendo in modo che la curva di uno arrivi a sfiorare la paletta dell’altro. Ecco pronto il nostro terminale “bifido”. Una volta ultimato, i due bracciolini dovranno essere lunghi intorno ai 5 cm. per non incappare in grovigli fra gli stessi.
Come lo utilizziamo? In vari modi. Essendo nato per offrire una quantità di esca abbondante, naturalmente innescheremo entrambi i braccioli. Possiamo innescare un solo amo lasciando al secondo il compito di ferraggio supplementare sulla preda. Possiamo innescare i due ami con la stessa esca o con due esche diverse ma simili.
Quando lo utilizziamo? Ovviamente è un’alternativa al terminale classico, un asso nella manica da tirar fuori quando i risultati sono scarsi e i pesci sono svogliati: offrire un’esca così corposa e abbondante (doppio innesco) può sollecitare l’istinto grufolatorio. Innescando un solo amo avremo una maggior possibilità di successo in quanto l’amo vuoto la maggior parte delle volte fa presa sull’apparato boccale del pesce. L’inconveniente è che dovremo utilizzare una maggior quantità di esca
Varianti: possiamo utilizzare anche lo stesso diametro di nylon per i tre spezzoni oppure possiamo aumentare il diametro di quello più lungo creando una coda di topo a due ami. Possiamo anche flotterarlo appena prima del nodo di giunzione.
Insomma, provare non costa nulla se non qualche verme in più.

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PESCA FORUM BAR / che jella
« on: April 08, 2010, 10:22:29 »
Le poche uscite che sono riuscito a fare ultimamente (e parlo di mesi) si sono sempre svolte con mare calmo. Mai una volta che sia riuscito a sfogare la voglia di onde. L'occasione buona si presenta per la Santa Pasqua. Moglie e figli in campagna dai nonni ed io ho quasi due giorni a pesca. Il giorno di Pasqua, onorate le consuetudini, nel primissimo pomeriggio ritorno a casa, sguardo veloce al mare e mi sollevo da terra di dieci centimetri. Ormai è quasi un'ora che non piove più e scrutando a ponente, verso la Francia da dove arrivava la perturbazione, il cielo sembrava schiarirsi. Vado, non vado, vado. Due ripartite, due rotanti, cassetta, contenitore di esche surgelate e una scatoletta di americani pronti a passare a miglior vita. Carico il tutto in macchina e mi avvio. A Savona città il mare è color cioccolato a causa dei fiumi che stanno scaricando tutta la pioggia caduta nelle ultime ore. Mi dirigo a ponente in una delle mie spiagge preferite dove non ci sono grandi scarichi a mare. Ogni tanto quanche goccia arriva sul parabrezza ma nulla di importante. Arrivo, monto e innesco due mega americani da 15 e passa cm. uno su bracciolo da un metro dello 0.35, beack del n° 2 e piramide da 150 gr. L'altro stessa soluzione ma rovesciata. In spiaggia non c'è anima viva, solo un vecchietto mi dice se sono matto a pescare con un mare così: si, son proprio matto. Finalmente mi godo il tutto e respiro l'aria salsedinosa a pieni polmoni. Il mare è opaco e ha quella colorazione che ti ispira. Pochissime alghe. Il segno del bagnato sulla sabbia indica che nelle ore precedenti la mareggiata è stata molto più intensa. La canna di sinistra è ad una quarantina di metri, in linea con la punta del moletto di sinistra. L'altra un pò più distante in una zona in cui il colore dell'acqua in superficie appare più biancastro. Comincio ad organizzare mentalmente la tattica delle prossime ore ma comincia il plin plin dal cielo. Dapprima lieve, poi sempre più intenso associato ad un nuovo scurirsi delle nuvole in cielo. Non ho ripari, la prima tettoia è a parecchie decine di metri e non ho voglia di spostarmi e poi spero che sia un fenomeno passeggero. Corro in macchina a recuperare un ombrellino, unico riparo disponibile, avendo riposto in garage l'abbigliamento invernale. Intanto monta anche il vento che spira alternativamente da direzioni opposte: da ponente e da levante e nell'arco di cinque minuti l'ombrellino passa a miglior vita lasciandomi completamente alla mercè della pioggia. Intanto recupero e verifico le esche che sono intatte ma afflosciate. Cinque minuti dopo il rilancio una bella botta sulla canna di sinistra mi fa dimenticare che ormai ho anche le mutande bagnate.  Recupero e vedo che il pezzo di americano penzolante è stato tranciato di netto, probabilmente un bel sarago, preda abbastanza ricorrente in questo spot e con queste condizioni, se l'avessi rassodato con del filo elastico probabilmente ci sarebbe stato anche il pesce attaccato. Pioggia e vento non accennano a diminuire anzi aumentano. In queste condizioni anche la più fervida delle passioni diminuisce. Mi dò dello stupido in quanto la cerata avrei dovuto ancora tenerla. Chiudo tutto e faccio ritorno a casa, deposito tutti gli indumenti zuppi in lavatrice per il gaudio della consorte e mi concedo una doccia calda che, per una volta, mi rilassa molto di più che stare al cospetto delle onde. Un pensiero mi passa nella testa: non avrò più l'età?
Giorno di pasquetta, passo mezz'ora a decidere se andare a pescare o no. La giornata è fantastica, cielo azzurro e sole splendente. Penso che le spiagge saranno piene di famigliole che sconsigliano un'uscita a surf e quindi opto per una bolognese con bigattini. Mi piazzo su un molo poco distante dal luogo dell'infausta uscita del giorno precedente e monto una Italcanna Stargate da 6 metri con un Daiwa Exceler 1500. Galleggiante inglese 4+1, finale 0.12 e via. Il mare è in netta scaduta ma l'acqua è ancora bella torbida. Mi ispira parecchio. Mi godo il sole e noto con piacere che non ho dimenticato l'uso di questa tecnica di pesca. Verso le 11 comincia qualche raffica di vento intermittente. Un paio di saraghetti gradiscono i bigattini e recuperano velocemente il loro elemento liquido. Le raffiche acquistano costanza e il galleggiante aumenta proporzionalmente fino a 10+2 per riuscire a fare dei lanci appena decenti. Verso mezzoggiorno mi ritrovo a non riuscire più a governare la canna che è sempre arcuata sotto la spinta di un grecale sicuramente superiore ai 40 nodi. Gli elementi ce l'hanno con me, due giorni quasi interamente a mia disposizione e la natura mi ha ostacolato in ogni modo. Chiudo a fatica la canna e mi avvio, forse ce la faccio ancora a portare moglie e figli su qualche prato a gustare una braciola.
Scusate se mi sono dilungato ma con chi potevo sfogare il mio disappunto se non con voi  calabria

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MERCATINO DEL PESCATORE / MULINELLI FISSI
« on: March 31, 2010, 10:03:54 »
Causa inutilizzo vendo i seguenti muli fissi:

 n° 2 Daiwa Longbeam GS3000, hanno qualche annetto ma perfettamente funzionanti ed in buone condizioni, ad euro 130 la coppia + s.s.

n° 1 Shimano Ultegra 10000XT. Nuovo, mai usato, mai imbobinato, ancora inscatolato. Per chi se ne intende è il modello prodotto in giappone, indistruttibile ormai introvabile. Euro 135 + s.s.

Contatti e foto in PVT

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PESCA FORUM BAR / racconti da spiaggia
« on: February 05, 2010, 14:54:58 »
Sono le 14 e 35 di venerdì e dopo una settimana di lavoro al cardiopalma, ho sentito il bisogno di alleggerirmi. Noi che frequentiamo le spiagge avremo avuto modo di trovare dei rompiballe che ci hanno tediato e distratto durante la nostra pescata. Se vi va, raccontiamo episodi, specialmente comici che ci sono capitati. Comincio io.
Alcuni anni fa ero a pescare su una spiaggia in perfetto assetto estivo. Canne, cavalletto sedia comoda e qualche mormora già nel secchio. Arriva un tizio torinese (la Liguria in estate ne è piena) Comincia a scrutare l'attrezzatura, poi scruta la cassetta, il secchio e comincia a fare domande su cosa è questo, cosa è quello a cosa serve ecc. facendo paragoni con la sua pesca in fiume. Continua a fare la spola fra canne e postazione, tasta le canne, il tripode, guarda di sopra, di sotto, di lato ecc. Alla fine domanda a mitragliatrice: a cosa mi serviva il piccolo flash che avevo sulla cassetta, cos'era quel ferro sul tripode (era un ago da innesco piantato in un forellino del tripode) e come facevo a capire se il pesce mangiava.
Risposta fulminante e diabolica: "se il pesce abbocca, un meccanismo nascosto trasmette in segnale radio tramite l'antennina sul tripode (l'ago) al flash che immediatamente comincia a fleshare ed io capisco che il pesce ha abboccato" Il tizio ci pensa su un secondo e capendo che fosse lui il pesce di turno, leva immediatamente gli ormeggi, e senza nemmeno augurarmi il classico "buona pesca neh".  ;D ;D

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SURFCASTING / STRATEGIA E ANALISI
« on: January 13, 2010, 14:48:54 »
Ciao ragazzi,
Spero che non vi siate spaventati per il titolo ridondante perché, in definitiva, il contenuto è molto concreto e non presuppone il possesso di specializzazioni universitarie. Nella mia visione della pesca e del surfcasting in particolare, ci sono alcuni aspetti imprescindibili per conseguire dei buoni risultati: 1) una discreta preparazione di base che si acquisisce soprattutto con l’esperienza. 2) Una discreta attrezzatura per poter fronteggiare ogni situazione umanamente affrontabile e 3) lo studio dei nostri spot. Quest’ultimo, purtroppo, presuppone, per certi aspetti, una grande riserva di tempo a disposizione da dedicare alla nostra attività, aspetto che mi ha fatto coniare l’aforisma “il surfcasting è una disciplina da pensionati”. A parte gli scherzi, è mia intenzione cercare di approfondire proprio questo terzo punto che spesse volte viene trascurato proprio per la mancanza di tempo.
Penso che ciascuno di noi, nel Forum, ha avuto modo di leggere, chiedere e dare consigli ad altri utenti su spiagge valide in cui andare a pescare. Queste richieste in genere non vengono viste di buon occhio e sono interpretate come un voler carpire i nostri segreti più intimi. E’ umano che ciascuno di noi sia molto restio a indicare quella spiaggetta che in passato ci ha regalato delle belle soddisfazioni.
Dunque, analisi e strategia. La parte strategica ha un carattere oggettivo e collocato nel momento della nostra battuta di pesca. E’ un aspetto che l’abbiamo già trattato (ricordate il post “il senso dell’acqua”) anche se ciò non vuol dire che sia un argomento chiuso. Ricordo che la strategia riguarda gli aspetti morfologici di uno spot e le tattiche per effettuare la nostra pescata. L’analisi invece ha una caratteristica temporale e riguarda lo studio di una spiaggia e la sua conseguente valutazione attraverso le varie condizioni in cui ci capiterà di affrontarla nel tempo. Vi potrà sembrare una cosa stupida, ma abbiamo mai analizzato il comportamento di uno spot nel tempo e sotto le diverse forme in cui le varie condizioni meteomarine ce lo possono presentare? Abbiamo avuto modo di constatare se il secchio pieno di una pescata sia stato un atto episodico o si è protratto nel tempo?
Sotto questo aspetto ci sono due comportamenti diversi che noi pescatori assumiamo: la pescata “miracolosa” non si è più ripetuta nel tempo ma noi continuiamo a bazzicare quella spiaggia perché, quell’unica volta, ci ha premiato e ci ostiniamo a inanellare cappotti. Al contrario può succedere che una spiaggia, della quale ci hanno riportato o siamo certi dei buoni risultati, al primo approccio ci abbia bastonati sonoramente facendoci emettere una sentenza perentoria: “quella spiaggia è sterile e non ci tornerò più”
Ora, tutti quanti sappiamo che ci sono spot genericamente reputati come prolifici ed altri avari ma, se una spiaggia ha un andamento altalenante, ci siamo mai chiesti il perché di questo comportamento? Mettiamo pure in conto la stagionalità. Alcuni siti sono prodighi di mormore e orate nelle stagioni giuste ma limitiamoci al surfcasting e quindi al periodo che va da autunno a primavera. E’ possibile che le prede da surf siano assenti dove abbondano i grufolatori estivi? Ci sono ovviamente degli episodi che possono incidere negativamente o positivamente sulla resa di una spiaggia come eventi naturali quali fortissime mareggiate che modificano se non addirittura sconvolgono la conformazione del fondale cambiando addirittura le rotte delle correnti sottomarine. Altre volte è l’intervento dell’uomo a modificare le cose con la creazione di moli, scogliere ecc. Forse sono episodi che vanno oltre i nostri interessi di pescatori per diletto, ma ci sono altri aspetti che possiamo gestire con, appunto, un po’ di “analisi e strategia delle spiagge”. Torniamo al punto di partenza.
Dunque abbiamo notato che il nostro spot in quella determinata uscita ci ha regalato dei bei pesci. Le volte successive in cui ci siamo tornati abbiamo avuto solo una serie di cappotti. Abbiamo deciso di cambiare luogo e addirittura di non tornare più lì. Per arrivare a questa determinazione, abbiamo per caso preso nota delle condizioni in cui si è svolta la prima pescata? No. Ci siamo soltanto catapultai sul nostro spot sull’onda euforica del primo successo senza badare ad altro. Se ci fossimo soffermati ad osservare, a capire, a studiare le condizioni, forse le cose sarebbero andate diversamente. Identico discorso bisogna fare per quegli spot che ci hanno riservato secchi vuoti. Nel mio post “Il senso dell’acqua” ho cercato di dare delle indicazioni sulla scelta del posto ma è ovvio che lo spot da manuale non è detto che ci riservi sempre risultati certi. Occorre che la strategia sia supportata dall’analisi. Per brevità immaginiamo un comportamento da manuale (quello che cercavo di fare io quando avevo molto più tempo da dedicare alla pesca)  altrimenti ci vuole un libro per descrivere tutto. Cominciamo a valutare le condizioni meteomarine fin da alcuni giorni prima e decidiamo il momento propizio per la battuta di pesca. Arrivati sulla spiaggia prescelta decidiamo dove posizionarci secondo i parametri già visti. A questo punto inizia l’analisi temporale con la raccolta di dati e, forse, l’ideale sarebbe proprio annotarseli perché a memorizzarli si rischia di dimenticarli. Quali dati? I maggior numero possibile. Forza e direzione del vento, condizioni meteo, colore e temperatura dell’acqua e stato del mare. Direzione della corrente. Altezza, sequenza e periodicità delle onde. Stato della marea e della luna. Distanza di risalita dell’acqua dalla battigia (cioè per quanti metri l’onda sale verso l’interno) e limite massimo a cui  magari è arrivata in precedenza (basta guardare lo stacco fra la sabbia asciutta e quella bagnata). Con quest’ultima osservazione riusciamo anche a capire lo stato della mareggiata (se è in crescita o in scaduta). Depositi sulla spiaggia e sulla battigia (pietre e di che dimensioni), alghe, rami ecc. per valutare la forza sottomarina dell’acqua. Ovviamente questo richiede tempo e l’arrivo sul posto prima che sia buio. E, non da ultimo, la durata temporale della battuta con le ore delle eventuali abboccate. A questo aggiungiamo valutazioni di tipo tecnico quali la valutazione dei finali e dei travi che reggono meglio e rendono di più.
A questo punto mi chiederete cosa ne facciamo di tutto questo database.
Semplice: se in quelle particolari condizioni quella spiaggia ci ha premiato e le volte successive, con condizioni molto diverse, siamo andati buca, vuol dire che quello spot elargisce solo con le prime condizioni ed è appunto al loro ripresentarsi che dovremo tornarci pagando magari lo scotto dell’analisi negativa  nelle situazioni opposte.
Un esempio pratico. Da un po’ di tempo mi reco a pescare sempre nello stesso posto anche se la valutazione, causa le rare uscite, non è costante. Ho pescato in condizioni abbastanza diverse anche se diametralmente opposte.
1^ uscita: mare in crescita in quanto la linea di demarcazione fra bagnato ed asciutto continuava a progredire. Una sola e forte onda frangeva in prossimità della risacca per poi risalire di una decina di metri. Diverse pietre anche di grosse dimensioni erano depositate sul tratto bagnato della spiaggia. Cielo sereno, vento da NE a raffiche,  acqua opaca e parecchia corrente che ingarbuglia i terminali.
 2^ uscita: condizioni simili alla prima ma con mare in diminuzione e cielo coperto, onda sulla risacca più bassa e risalita più contenuta, corrente minore che causa problemi solo sui terminali lunghi..
3^ uscita: mare lungo con una serie di onde ampie e basse che risalgono la battigia di 3/4 metri, mare velato, cielo coperto,  vento moderato laterale da Est. Terminali idonei: short e short rovesciato da 1 mt. diametro 0.30.
4^ uscita: scaduta, mare gonfio senza onde di particolare rilievo con risalita sulla battigia di un paio di metri, mare opaco, vento moderato da S-SW, cielo coperto, poca corrente che consente di pescare con terminali anche piuttosto lunghi con uno 0.28.
Naturalmente ho riportato solo alcune indicazioni pena lo sfinimento della maggior parte di voi. Le battute sono state effettuate tutte con la medesima attrezzatura ed esche in un periodo fra inizio e fine autunno. Le condizioni che hanno prodotto dei risultati sono state quelle della 4^ uscita con la cattura di diversi saraghi dei quali soltanto alcuni trattenuti ed una bella corvina, le altre uscite nessuna cattura o solo qualche tocca. Posso comunque confermare, se la memoria non mi inganna, che anche in passato le stesse condizioni hanno prodotto risultati positivi.
Queste ovviamente sono solo alcune indicazioni che mi permetto di suggerire per la valutazione di uno spot, atteso che le variabili nel nostro hobby sono innumerevoli.
Il discorso è stato un po’ lungo e forse noioso ma spero di essere riuscito a trasmettere in modo comprensibile il mio punto di vista. Premetto che è stato affrontato con l’occhio rivolto al neofita e per questo ho evitato di addentrarmi in discorsi un po’ particolari come le correnti, le maree ecc. Riassumendo in parole povere ritengo che bisogna avere la costanza di non abbandonare una spiaggia dopo un paio di uscite a vuoto e, allo stesso tempo di affrontarla in condizioni diverse. Spesse volte basta cambiare ora della giornata, condizioni di vento e ovviamente di mare per garantirci risultati inaspettati. Son convinto che non esistono spiagge sterili, salvo casi particolari, né che il pesce scompaia o ricompaia per magia da un giorno all’altro ma che il tutto sia da attribuire ad un concatenamento di tutti questi fattori. Occorrerà poi il nostro zampino per sfruttare al meglio le condizioni che avremo valutato come più redditizie.
Alla prossima.

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