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ROMA – Due pesci remo sono stati rinvenuti in una settimana spiaggiati in California, a Catalina Island prima e a Oceanside poi. Ma cosa sono questi giganti che sembrano serpenti marini e che dagli abissi arrivano alla superficie? I pesci remo, detti anche i “re degli abissi“, sono i più grandi pesci ossei esistenti: le loro dimensioni possono raggiungere anche gli 11 metri.


Questi giganti degli abissi marini vivono nelle acque oceaniche temperate e tropicali, ma avvistarli è rarissimo, motivo per cui i due ritrovamenti in California costituiscono un evento più che eccezionale.

Per via della loro forma allungata sin dall’antichità sono stati considerati giganteschi serpenti marini, pur essendo dei pesci. Un avvistamento da Guinness record risale al 1996, quando nel Golfo del Messico una nave della marina americana disse di aver osservato un pesce remo lungo 17 metri.

Il corpo lungo e affusolato ha un colore argentato, mentre la pinna dorsale varia colore dal rosato al rosso cardinale. La pinna dorsale poi parte dagli occhi di questo pesce e percorre l’intera lunghezza del corpo, che va dai 3 agli 11 metri. La sua pelle è priva di squame, ma la sua carne gelatinosa lo rende non mangiabile.

Il pesce remo, per quanto possa sembrare spaventoso non è un predatore: infatti si nutre di zooplacton, calamari, meduse e piccoli pesci. Il grande serpente marino però è una facile preda per i grandi carnivori dell’oceano, come lo squalo bianco.

di Veronica Nicosia
fonte: blitzquotidiano.it

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Aveva 71 anni. Le cause della morte sarebbero sconosciute

Lou Reed è morto oggi. Lo scrive Rolling Stone nel suo sito online. Aveva 71 anni e, per il sito della celebre rivista, le cause della morte sarebbero sconosciute. Il leader dei Velvet Underground era nato il 2 marzo del 1942 a Brooklyn

Lou Reed, vero nome Louis Allen Reed già dalla nascita (2 marzo 1942), voleva fare il musicista ispirato dal rock and roll. Suona la chitarra e incide presto un singolo con una band chiamata The Shades. Ma la sua attività e i suoi orientamenti sessuali preoccupano i genitori che lo mandano ad un centro psichiatrico per farlo curare e viene anche sottoposto all'elettroshock cosa che cambia profondamente la sua vita. All'inizio degli anni 60 si iscrive alla Syracuse University dove studia con il poeta Delmore Schwartz che lo influenza fortemente. Si sposta poi a New York dove diventa compositore pop professionale per la Pickwick Record. Lì conosce John Cale, con il quale nel 1966 fonderà i Velvet Underground. Il famoso album con la banana in copertina arriva nel 1967, si chiama The Velvet Underground & Nico, ed è prodotto da Andy Warhol.

Nel '68 esce White Light/White Heat. Ma è a Londra che nel 1970 incide il suo primo album solista Lou Reed, anche se i Velvet Undergroud si riuniranno poi nel 1993 per un grande tour mondiale. A Londra nei primi anni '70 incontra David Bowie e nasce la loro collaborazione. Con Bowie inizia anche la trasformazione con il look glam del 1972, da cui nasce Transformer che lo lancia facendolo diventare un idolo. Del 1973 è il suo capolavoro maledetto, Berlin che parla di una coppia di tossicodipendenti. Nella sua lunga carriera, fatta di colpi di scena, nel 2000 esce con Ecstasy che ricorda il Lou Reed degli anni Settanta. Tra gli ultimi lavori The Raven, del 2003, tratto dalle poesie di Edgar Alla Poe. Nell'aprile 2008 si è sposato con una cerimonia privata in Colorado con la compagna Laurie Anderson. Il 1§ luglio 2013, stando a quanto riferito dal New York Post, Lou Reed è stato ricoverato d'urgenza in un ospedale di Long Island, a New York, il Southampton Hospital, per una acuta forma di disidratazione. Nel maggio precedente, Reed si era sottoposto ad un trapianto di fegato.

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fonte: Ansa

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PESCA FORUM BAR / Buon Compleanno PePpE
« on: October 04, 2013, 11:13:15 »
Oggi è il Compleanno del nostro amico PePpE (chiaravadrhotu)

Augurissimi 

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(solo per i motori installati entrobordo o entro - fuoribordo)

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La presente ordinanza disciplina l’accesso, la circolazione e la sosta delle persone e dei veicoli nell’ambito portuale di Roccella Jonica. In evidenza, nella presente ordinanza, la suddivisione per zone di competenza suddivise per responsabilità tra la Capitaneria di Porto e il Comune di Roccella Jonica. Contiene informazioni, divieti, deroghe, stralcio planimetrico a colori e modelli per il rilascio delle autorizzazioni per l'accesso, la circolazione e la sosta, all'interno del Porto.

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Visionabile e/o scaricabile su PC

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I risultati sperimentali del progetto saranno presentati in occasione dell’incontro internazionale H.Ea.R.T 2013 (Historic Earthquake-Resistant Timber Frames in the Mediterranean Area), che si terrà a Cosenza il 4 e il 5 novembre 2013

Fare prevenzione sismica significa costruire con criteri antisismici e il Cnr invita a guardare agli insegnamenti che vengono dal passato anche per adeguare la normativa attualmente vigente nella nostra legislazione, che risale al 2008 e che ora è in corso di revisione.

Il Consiglio nazionale delle ricerche fa presente che il primo regolamento antisismico d’Europa fu imposto dai Borboni subito dopo il catastrofico terremoto che nel 1783 distrusse gran parte della Calabria meridionale, con circa 30.000 vittime. Fu allora redatto un codice per la costruzione degli edifici che raccomandava l’utilizzo di una rete di legno all’interno della parete in muratura.

L’efficacia di questo sistema costruttivo si dimostrò durante i successivi eventi tellurici che colpirono nuovamente la Calabria, nel 1905 e nel 1908 (magnitudo 6.9 sulla scala Richter): danni non significativi con limitate porzioni di muratura collassate e in nessun caso crolli totali. Allo stesso modo si comportò anche il palazzo del Vescovo di Mileto, ricostruito dopo il 1783 adottando gli accorgimenti antisismici contenuti nel regolamento borbonico. L’edificio è ora completamente abbandonato e in evidente stato di degrado, ma la sua struttura ha attraversato oltre 200 anni di storia senza cedimenti.

Questa stessa tipologia strutturale è stata ora sottoposta a una serie di test nel laboratorio di prove meccaniche dell’Istituto per la valorizzazione del legno e delle specie arboree del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ivalsa) di San Michele all’Adige (TN), visionati da studiosi di tutto il mondo.

La parete è stata costruita con la collaborazione del Dipartimento di Scienza della Terra dell’Università della Calabria (Unical) per analisi chimiche e petrografiche al fine di ottenere, oltre alle caratteristiche dimensionali e di apparecchio della muratura intelaiata, anche simili prestazioni meccaniche di malta e pietre.

«Si tratta di una riproduzione pressoché identica di una parete dell’edificio vescovile a Mileto, in scala 1:1, costituita da muratura rinforzata da un’intelaiatura lignea di castagno calabrese» ha spiegato Nicola Ruggieri, ricercatore di Unical. «Per le prove abbiamo imposto alla sezione una serie di spostamenti alternati nelle due direzioni via via crescenti, così da simulare il comportamento alle azioni sismiche, anche le più importanti, della parete intelaiata» ha aggiunto Ario Ceccotti, direttore di Ivalsa e responsabile scientifico del progetto insieme a Raffaele Zinno dell’ateneo calabrese. E i risultati sono stati quelli attesi: la parete ha mostrato un eccellente comportamento antisismico, evidenziando una buona duttilità garantita dal riempimento interno dei telai, con qualche piccola espulsione di muratura, mentre gli stessi telai di legno (sia le aste sia i nodi) sono rimasti quasi completamente integri.

«L’esito del test ha dimostrato chiaramente che un sistema costruttivo ideato a fine Settecento come quello borbonico è in grado di resistere a eventi sismici di una certa rilevanza e che questa tecnologia, una volta compiuti i dovuti approfondimenti e adottando sistemi di connessioni innovativi, potrebbe essere favorevolmente applicata a edifici moderni garantendone stabilità e dando sicurezza alle persone che li abitano» ha concluso Ceccotti.

Alla prova ha assistito una delegazione del COST Action FP 1101 Assessment, Reinforcement and Monitoring of Timber Structures, composta da circa cinquanta studiosi provenienti da tutto il mondo. I risultati sperimentali del progetto saranno presentati in occasione dell’incontro internazionale H.Ea.R.T 2013 (Historic Earthquake-Resistant Timber Frames in the Mediterranean Area) organizzato da Unical e Cnr-Ivalsa, in collaborazione con Università di Minho, Atene e Istanbul e ICOMOS Wood Scientific Committee, che si terrà a Cosenza il 4 e 5 novembre. Al convegno verranno portati contributi da molti paesi del Mediterraneo (Marocco, Portogallo, Albania, Grecia, Turchia, Egitto, Italia, Usa, Giappone e Cina) che si contraddistinguono per la presenza sul territorio di edifici caratterizzati da pareti in muratura con intelaiature lignee simili a quelle realizzate in Calabria alla fine del ‘700.

FONTE: greenreport.it

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LE RICETTE DEL FORUM / Antipasti di mare facili e veloci
« on: September 17, 2013, 05:39:23 »
Impepata di Cozze (ingredienti per 4 persone)

1 kg di cozze
2 cucchiai di olio extravergine di oliva
4 spicchi di aglio
5 rametti di prezzemolo
Pepe nero macinato al momento

Pulite le cozze lavandole accuratamente sotto l'acqua corrente fredda. Raschiate la superficie esterna della conchiglia per rimuovere eventuali incrostazioni e staccare il bisso con la lama di un coltello.
Mettere in una padella capiente l'olio, l'aglio spellato, le cozze e portela sul fuoco.
Coprite la padella con un coperchio e, a fiamma vivace, attendete che le cozze si aprano. Mescolare di tanto in tanto scuotendo la pentola.
Nel frattempo lavate il prezzemolo, selezionando le foglie e tritatele finemente.
A cottura avvenuta, generalmente occorrono 6-8 minuti, togliete le cozze che sono rimaste chiuse. Unite il prezzemolo tritato, una generosa macinata di pepe, mescolate bene e servite.



Involtini di alici al forno (ingredienti per 4 persone)

500 gr di alici sviscerate e pulite
2 cucchiai di pangrattato
3 cucchiai di olio
1 cucchiaio di capperi
1 spicchio di aglio
prezzemolo

Mescolate insieme, in una terrina, il pangrattato con l’olio, i capperi, il prezzemolo ed l’aglio (dopo averlo tagliato finemente) fino a formare un composto (che chiameremo ripieno).
Posizionate un pò di ripieno su ogni alice e poi arrotolatela per formare un involtino.
Disponete le alici in una teglia da forno unta e cospargete con il ripieno rimasto.
Cuocete in forno caldo a 180° per 10 minuti e servite.


Spiedini di gamberi (ingredienti per 4 persone)

600 gr di code di gamberi
20 gr di grana
50 gr di pangrattato
erba cipollina
salvia, menta
rosmarino, sale, pepe
olio extravergine d’oliva
8/10 stuzzicadenti grandi per spiedini

Tritate le erbe e disponetele in un piatto insieme al pangrattato, la grana, il sale, e il  pepe. Lavate e sgusciate le code di gamberi, togliendo  il filamento nero sul dorso, quindi impanateli nel pangrattato facendo ben aderire la panatura su entrambi i lati.
Infilate 5 gamberi per spiedino e metteteli su una piastra antiaderente versando un filo d’olio sulla superficie. Quindi cuocete per 5 minuti per lato e servite.

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Determinare la provenienza del pescato permetterebbe di sapere esattamente quali stock vengono sfruttati nella pesca e se vengono rispettate le regole internazionali di prelievo.

Un’attività di pesca spesso illegale ed eccessiva è stata la causa negli ultimi anni di un repentino e massiccio impoverimento delle risorse ittiche mondiali sebbene esistano a livello internazionale delle leggi che regolamentano tale attività. Alcune organizzazioni indipendenti no profit come la MSC (Marine Stewardship Council) hanno recentemente attirato l’attenzione dell’opinione pubblica sulla necessità di preservare i grandi stock di pesca, creando anche dei sistemi di “eco-certificazione” per una pesca eco sostenibile da rilasciare ai singoli pescatori.

Queste e altre soluzioni hanno avuto purtroppo un’efficacia troppo imitata e si sente l’esigenza di avere strumenti di controllo più incisivi come la possibilità di poter definire l’area geografica o la popolazione di origine dei singoli pesci in modo da impedire le sempre più frequenti frodi nei mercati ittici dovute ad una non corretta identificazione geografica del pescato.

Le moderne tecniche della biologia molecolare permettono oggi, con costi relativamente contenuti, di poter tracciare con elevata affidabilità il pescato e i relativi prodotti di lavorazione dalla nave sino alla tavola dei consumatori (from fish to fork) e di poter individuare la provenienza geografica con margini di errore molto bassi.

Nella pubblicazione su Nature communications si spiega che è stato usato un approccio di tipo “genome-scan” per individuare regioni genomiche sotto selezione divergente tra le popolazioni naturali di pesci ad alto sfruttamento commerciale.

Si assume infatti che nelle popolazioni naturali ci siano dei geni più adattati alle particolari condizioni locali. Tali geni possono essere usati come “marchio di origine” dei singoli individui. La tecnica del “genome-scan” è stata applicata a quattro specie marine di grande importanza commerciale e legate a problemi di pesca illegale e sovrasfruttamento degli stock: Merluzzo atlantico (Gadus morhua), Aringa (Clupea harengus), Sogliola (Solea solea) e Nasello (Merluccius merluccius)

L’approccio “genome-scan” ha permesso di sviluppare per la prima volta marcatori molecolari in grado di tracciare in modo accurato l’origine geografica del singolo esemplare. In specie soggette a pesca illegale e/o ad eccessiva pressione di pesca ciò rappresenta è un prezioso strumento per prevenire il collasso degli stock naturali che comporterebbe non solo l’estinzione di molte popolazioni locali ma metterebbe a rischio l’intera specie - come è recentemente avvenuto per il merluzzo atlantico. La possibilità di tracciare con strumenti genetici l’origine geografica dei prodotti della pesca è inoltre essenziale per smascherare molte frodi commerciali altrimenti molto difficili da identificare.

FONTE: lswn.it

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Il governo del Messico ha compiuto un passo decisivo per salvare la vaquita (Phocoena seno), probabilmente il cetaceo attualmente più a rischio estinzione del pianeta, promuovendo la pesca sostenibile nell’Alto Golfo de California, a beneficio dei pescatori e delle loro famiglie. Il Wwf Mexico spiega che «Il nuovo regolamento, denominato Norma Oficial Mexicana, arriva dopo che oltre 38.000 persone provenienti da 127 Paesi hanno firmato la petizione del Wwf  al  presidente del Messico Enrique Peña Nieto chiedendo misure per salvare la vaquita e permettono pescatori di continuare a guadagnarsi da vivere con la pesca sostenibile».

Tra tutti i cetacei, balene, delfini e focene, la vaquita è l’unico endemico del Messico e quello con l’areale di diffusione più ristretto, limitato al solo Alto Golfo de California. La Phocoena seno è anche il cetaceo più piccolo del mondo, raggiunge al massimo gli 1,5 metri di lunghezza ed è quello con il più alto rischio di estinzione. Secondo il Comité Internacional para la Recuperación de la Vaquita, attualmente sopravvivono meno i  200 vaquitas (nel 2007 la Lista Rossa Iucn ne calcolava circa 150) e  tra le 39 e le 84 vaquitas ogni anno muoiono annegate nelle reti dove restano impigliate. Infatti la principale minaccia per questa piccola focena viene dalla cattura accidentale nelle reti da posta derivanti ed a strascico per la cattura di gamberi, squali, razze e altri pesci, dove questi cetacei annegano. Inoltre le vaquitas continuano  a morire intrappolate nelle reti da posta utilizzati per la pesca illegale del totoaba (Totoaba macdonaldi) , un pesce a rischio di estinzione.

Il nuovo regolamento stabilisce norme per la pesca dei gamberi in Messico e definisce gli attrezzi da pesca consentiti nelle diverse aree del Paese ed Omar Vidal, direttore generale del Wwf Mexico, sottolinea che «Con questa norma, le reti da posta derivanti, una delle reti utilizzate nella pesca artigianale dei gamberoni nelle quali le  vaquitas muoiono accidentalmente, saranno gradualmente sostituite, nel corso di un periodo di tre anni, con attrezzi selettivi che non uccidono questa focena, ma che consentono ai pescatori continuare a guadagnare il loro sostentamento. L’effettiva applicazione della norma richiede la partecipazione e l’impegno dei pescatori locali. L’uso ottimale della rete richiede lo sviluppo di particolari abilità, quindi, il sostegno del governo e di altre organizzazioni attraverso la formazione e programmi di compensazione temporanea sarà fondamentale lungo la curva di apprendimento dei pescatori.. Questa è una decisione concreta e decisiva, prodotta dalla collaborazione di più di 5 anni tra le autorità  ambientali, la Secretaría (ministero, ndr)  de Medio Ambiente y Recursos Naturales, attraverso la Comisión Nacional de Áreas Protegidas,  e della pesca (la Comisión Nacional de Acuacultura y Pesca e l’ Instituto Nacional de Pesca), i pescatori locali e la società civile ed il settore privato. Questo rappresenta una grande opportunità per promuovere una pesca sostenibile nella regione e  per proteggere questa focena messicana Il Wwf riconosce l’impegno del governo messicano per salvare la vaquita dall’estinzione».

La Norma Oficial Mexicana (NOM-002-PESC-1993) stabilisce gli standard per la pesca dei gamberi e definisce le attrezzature da pesca consentite nelle diverse aree della costa mewssicana, con le modifiche apportate dalla nuova Norma, il governo ordina la sostituzione graduale (30% il primo anno, 30% il secondo e 40% il terzo) delle reti derivanti con la nuova “Red Selectiva del Instituto Nacional de Pesca-México” (Rs.Inp.Mx) è stata progettata per essere utilizzata da piccole imbarcazioni di massimo 6 metri, in fibra di vetro e motore fuori bordo 4 tempi a benzina.  Realizzata e testata dall’Instituto Nacional de Pesca (Inapesca) de la Secretaría de Agricultura, Ganadería, Desarrollo Rural, Pesca y Alimentación (Sagarapa), in collaborazione con la Comisión Nacional de Áreas Protegidas (Conanp) de la Secretaría de Medio Ambiente y Recursos Naturales (Semanart) ed Ong tra le quali il Wwf, grazie all’appoggio dell’Alianza Wwf-Fundación Carlos Slim, Fundación Marisla, Walton Foundation, Packard Foundation e dell’International Whaling Commission.

La rete Rs.Inp.Mx, è realizzata in 7 elementi che la rendono selettiva: Escluditore di tartarughe approvato dal Sermarnat con la Norma Oficial Mexicana dr emegenza del 1996; Escluditore di pesci tipo “Ojo de Pescado,” approvato dalla Carta Nacional Pesquera che esclude le specie di taglia più piccola; Riduttori dell’impatto sul fondo marino; Uso di materiali più leggeri di quelli convenzionali per effettuare le operazioni di pesca con il minor utilizzo possibile di carburante e meno danno al fondale; Riduzione progressiva delle dimensioni delle maglie lungo la rete per eviatere la cattura di altre specie; “Porta-strascico” idrodinamici tre per ridurre la resistenza ed aumentare l’efficienza; Piccole dimensioni adatte alla pesca costiera con “panga” e minore area interessata.

FONTE: greenreport.it

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Si chiama Massiccio Tamu e ha una superficie più o meno pari a quella dell'Italia peninsulare: potrebbe trattarsi di uno dei più grandi vulcani del Sistema Solare insieme a quelli di Marte

Sul fondo dell'Oceano Pacifico, a circa 1.600 chilometri a est del Giappone, è stato scoperto un vulcano grande più o meno quanto l'Italia: secondo uno studio appena pubblicato su Nature Geoscience si tratta del vulcano più grande della Terra e di uno dei più grandi del sistema solare.

Finora si era creduto che il vulcano gigante, chiamato Massiccio Tamu, fosse costituito da un insieme di strutture più piccole, ma ora sembra che gli scienziati debbano mettere in discussione nozioni di geologia marina acquisite da tempo.

"La scoperta che si tratti di un unico enorme vulcano contrasta con le nostre convinzioni", dice William Sager, professore di geologia alla University of Houston in Texas che ha condotto lo studio.

"È allo stesso livello dell'Olympus Mons che si trova su Marte, considerato il più grande vulcano del sistema solare", dice Sager.

Il Massiccio Tamu ha una cima arrotondata che si trova circa 2.000 metri sotto la superficie dell'oceno e misura circa 450 per 650 chilometri, per un totale di oltre 250.000 chilometri quadrati, più o meno quanto l'Italia peninsulare. La base si estende fino a 6.400 metri di profondità. In confronto al Massiccio Tamu il vulcano attivo più grande sulla Terra, il Mauna Loa delle Hawaii, che misura circa 5.200 chilometri quadrati, risulta minuscolo.

Costituito di basalto, il Massiccio Tamu è la parte più antica e grande della Shatsky Rise, una serie di rilievi sottomarini che si trova nella parte nord-occidentale dell'Oceano Pacifico. L'area totale del rilievo è confrontabile con quella del Giappone o della California.

Sager aveva cominciato a studiare il Massiccio Tamu una ventina di anni fa. Il nome Massiccio Tamu è proprio un'abbreviazione di Texas A&M University, dove lo scienziato lavorava allora.
L'esistenza della Shatsky Rise è nota fin dall'inizio del Novecento: "Sapevamo che si trattava di una grande catena montuosa, ma non sapevamo quale fosse la sua struttura o come si fosse formata", dice Sager.

Il Massiccio Tamu, aggiunge lo scienziato, è diverso dalle classiche montagne sottomarine, tra cui decine di migliaia di vulcani che si innalzano dal fondo dell'oceano. Il Tamu è infatti molto più grande, con una pendenza molto minore rispetto alle classiche montagne sottomarine.
Sulla cima del Massiccio Tamu la pendenza è di circa un solo grado, continua Sager. Più in basso, lungo il fianco, la pendenza è di mezzo grado, e vicino alla base è anche minore (per avere un'idea, si pensi che la pendenza media di una scala è di 40 gradi, e quella di una pista da sci facile è intorno ai 10 gradi). "Se ci trovassimo in cima al massiccio, sarebbe difficile sapere quale strada porta giù", conclude Sager.

Una struttura insolita

Gli scienziati pensavano che l'enorme Shatsky Rise si fosse formata nel corso del tempo come un insieme di diversi vulcani cresciuti insieme, in un processo simile a quello che ha prodotto l'isola di Hawaii, la maggiore dell'arcipelago, creata dalle effusioni di cinque diversi vulcani molto vicini.
Ma quando Sager e i suoi colleghi hanno analizzato i dati sismici che riguardavano il Massiccio Tamu, sono rimasti sorpresi: "Abbiamo visto flussi di lava che uscivano dal centro del vulcano in tutte le direzioni, senza una sorgente secondaria", dice Sager.

Effettuando analisi geochimiche su campioni prelevati dal massiccio, gli scienziati hanno poi scoperto che l'enorme struttura sembrava costituita tutta della stessa roccia, risalente alla stessa epoca.

In questo modo hanno potuto concludere che il Massiccio Tamu era stato creato da un unico vulcano, e probabilmente in un periodo di tempo relativamente breve, di pochi milioni di anni. Il vulcano si è "estinto", cioè è diventato inattivo, poco dopo la sua formazione, aggiunge Sager, probabilmente in un periodo che va dal Tardo Giurassico al Primo Cretaceo, intorno ai 145 milioni di anni fa.

"Se quello che affermano è vero, si tratta proprio di un vulcano imponente", dice Brian Jicha, geologo della University of Wisconsin che ha ricevuto fondi da National Geographic per studiare la formazione delle Isole Aleutine.

"Esistono molti di questi altopiani oceanici, per cui, se alcuni di loro sono davvero vulcani, questa ricerca potrebbe cominciare a cambiare il modo in cui crediamo che questi altopiani - e forse anche alcuni degli altopiani di basalto continentali - si siano formati", dice Jicha, non coinvolto nello studio.

Anche Sager ritiene che servano ulteriori ricerche su altri altopiani oceanici, perché "ci potrebbero essere circa una dozzina di questi vulcani enormi sotto il mare".

Sager sottolinea che, nonostante al momento sembri che il Massiccio Tamu sia il più grande vulcano sulla Terra, esistono complessi vulcanici ancora più grandi, come le Siberian Traps, che potrebbero racchiudere altri misteri. Probabilmente si formarono da roccia fusa proveniente da diverse sorgenti, dice, a differenza della formazione del Massiccio Tamu.

Come si formò questo vulcano?

Secondo Sager, i dettagli su come si sia formato il Massiccio Tamu sono ancora oggetto di studio. Secondo lo studioso, è probabile che quel punto sul fondo del mare avesse il giusto mix di elementi, tra i quali un confine tra tre placche tettoniche, una crosta sottile e, al di sotto di questa, una sorgente di magma bollente in grado di far arrivare bolle fino in superficie. La roccia fusa sgorgò fuori formando, via via che si raffreddava, un rilievo dalla base molto ampia e dalla pendenza graduale.

Il modo in cui il magma sia giunto fino alla superficie è una questione aperta. Forse una massa informe di roccia si surriscaldò e fu spinta verso l'alto. Oppure, si aprirono crepe nella crosta da cui fuoriuscì la roccia fusa.
Il prossimo passo sarà lavorare per capire quale sia stata la sorgente del magma, dice Sager, che punta a tornare sul posto a bordo di un battello equipaggiato con GPS per misurare le proprietà magnetiche della roccia. I dati raccolti, sostiene, forniranno un'idea più chiara di come la lava si sia diffusa.

Jicha aggiunge che "se si tratta di un solo vulcano, e la tesi è abbastanza convincente, la quantità di magma che è passata attraverso la crosta della litosfera è veramente inaudita".

"Non solo il Massiccio Tamu ci sorprende come vulcano gigante, ma getta anche nuova luce su uno dei modi in cui si sono formati i rilievi oceanici", prosegue Sager.
Il vulcano darà informazioni utili anche allo studio dell'Olympus Mons, il gigante marziano? Sager non ne è sicuro: "in realtà", dice, "osservare la superficie di Marte è più facile che studiare il fondo dell'oceano".

Il Massiccio Tamu, conclude, "è rimasto nascosto per 145 milioni di anni perché ha trovato un buon posto per nascondersi".

di Brian Clark Howard
fonte: nationalgeographic.it

51
PESCI E TECNICHE DI PESCA / Pesci sconosciuti fotografati sott'acqua
« on: September 05, 2013, 19:19:40 »
Posto uno scatto di pesci ...fotografati, da mio fratello, durante una vacanza a Lampedusa.
Non sono riuscito ad inquadrare la specie di appartenenza.
Qualcuno può aiutami?



Grazie anticipatamente 




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DIPORTO NAUTICO / [HONDA MARINE] Strumentazione - Manuali in Italiano
« on: September 04, 2013, 01:44:56 »
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Un raro squalo volpe è stato visto e fotografato mentre saltava in aria. Il grosso predatore nuotava accanto a centinaia di delfini al largo della costa del Galles, a mezzo miglio al largo della costa del Pembrokeshire.

Le eccezionali acrobazie dello squalo sono state immortalate dal fotografo Richard Crossen che stava navigando nell’area insieme al biologo marino Cliff Benson, direttore di Sea Trust.

Benson ha sottolineato che «questo è stato un avvistamento molto raro. A differenza dei delfini, che respirano aria, gli squali raramente escono dalla superficie dell’acqua. Se si offrisse  a qualcuno 1.000 sterline per scattare una fotografia come questa, non sarebbe in grado di farla».

L’avvistamento di questa specie di squali è molto rara nelle acque britanniche, nel 2012 ne sono stati avvistati solo 6 e nel 2011 solo 2, finiti nelle reti da pesca, come quasi tutti gli altri esemplari trovati nel Regno Unito.

Il team di ricercatori di Sea Trust stava osservando un branco di delfini comuni che seguono da 10 anni e che nuotava vicino al sito nel quale è prevista la realizzazione del gigantesco parco eolico hoffshore Atlantic Array. Secondo gli esperti gli squali volpe e altre specie di squali poco comuni nelle acque britanniche sono arrivate  al largo della costa del Galles perché il mare è più caldo grazie alle alte temperature di quest’estate.

Il balzo dello squalo volpe è stato fotografato il 26 agosto, nel bel mezzo del branco di centinaia di delfini, molti dei quali sono cuccioli.



Benson sottolinea che «gli squali potrebbero potenzialmente mangiare i piccoli dei delfini ma, in questo caso, l’animale sembra alimentarsi delle stesse prede dei delfini: aringhe e sgombri».

Infatti gli squali volpe usano le loro lunghe code flessibili come una frusta per stordire i pesci prima di mangiarli. Benson sottolinea che «è una tecnica di caccia specializzata, agita la sua coda e colpisce le prede. Sono solitari vagabondi oceanici. Questo animale avrebbe potuto essere nelle Azzorre tre o quattro settimane fa».

Fonte e foto: greenreport.it

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PESCA FORUM BAR / Buon Compleanno Luca
« on: August 26, 2013, 02:29:59 »
Oggi è il Compleanno del nostro amico Luca (Luccoluccion)

Augurissimi 

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Peggiora l'inquinamento del mare in Italia. E l'imputato numero uno si conferma la cattiva depurazione delle acque di scarico delle fogne. Lo certifica Goletta Verde, la storica imbarcazione di Legambiente, che nei due mesi di monitoraggio, questa estate, ha riscontrato 130 punti inquinati, uno ogni 57 km (l'anno scorso era uno ogni 62 km), lungo le coste del BelPaese: in sostanza, quasi il 50% sul totale delle 263 analisi microbiologiche.

Nessuna regione è risultata indenne dalla presenza in mare di batteri fecali ma quest'anno le più colpite sono risultate Campania (che però afferma di avere dati diversi), Lazio, Puglia e Calabria. Proprio per il mancato adeguamento del sistema di depurazione, le regioni del Mezzogiorno rischiano di perdere 1,7 miliardi di fondi Cipe, in scadenza a dicembre. Perdita che potrebbe sommarsi a una possibile e salatissima multa per la procedura di infrazione che ha portato alla condanna dell'Italia per il mancato rispetto della direttiva europea sul servizio di depurazione e fognatura, avverte Legambiente.

Una situazione di "allarme", per mancanza di fognature e impianti in Italia, commenta il sottosegretario alle Infrastrutture e Trasporti Erasmo D'Angelis che ha attivato una task force con Regioni, Anci, Autorità idriche e aziende "per sbloccare la paralisi degli investimenti" assicurando che "il servizio idrico è tornato tra le priorità di Governo". E' "una corsa contro il tempo - aggiunge - per evitare o ridurre il numero di infrazioni per 1.250 aggregati urbani presso la Corte di Giustizia Europea e le sanzioni europee annunciate, pari a circa 700 milioni l'anno, e al taglio di alcuni fondi Ue fino alla conquista del 100% della depurazione". Dei 130 punti inquinati oltre i limiti di legge, spiega Legambiente, 104 (l'80%) hanno rivelato una concentrazione di Escherichia coli o Enterococchi intestinali pari ad almeno il doppio del consentito.

E il 90% di questi punti è risultato alle foci di fiumi, torrenti, canali, fossi o vicino scarichi di depuratori malfunzionanti. Sul totale delle foci e dei canali inquinati, il 40% viene dichiarato balneabile dal Portale della Acque del Ministero della Salute, sostiene Legambiente. Invece, nei tratti di mare definiti dal Portale come non balneabili per motivi di inquinamento, nel 18% dei casi mancano i cartelli di divieto di balneazione, nonostante una Direttiva europea imponga la comunicazione. Il 35% dei punti presi in analisi, inoltre, risulta non campionato dalle autorità preposte.

Secondo elaborazioni di Legambiente su dati Istat, il mancato o inadeguato trattamento dei reflui fognari riguarda 24 milioni di abitanti che scaricano direttamente o indirettamente in mare. A conclusione del monitoraggio, Legambiente ha stilato il dossier 'Sei delitti sotto l'ombrellone. Il giallo di Ferragosto' indicando sei 'killer': maladepurazione, estrazioni petrolifere, abusivismo edilizio, consumo di suolo, grandi navi e inquinamento da attività militari. ''Per l'ennesimo anno denunciamo una situazione di depurazione degli scarichi ormai imbarazzante - sottolinea Giorgio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente - Realizzare sistemi efficienti e moderni deve trasformarsi in una priorità nell'agenda politica italiana''. Il laboratorio di Goletta Verde che dal 1986 monitora lo stato di salute del nostro mare ha operato con il contributo del Coou, Consorzio Obbligatorio degli Oli Usati, e con la partecipazione di Corepla, Novamont, Nau e Solbian.(ANSA).

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NOTIZIE E SEGNALAZIONI / Come difendersi dalle meduse
« on: August 11, 2013, 13:03:52 »
Ogni essere gelatinoso incontrato in mare viene etichettato come "medusa" e considerato urticante. Ma non tutte le meduse sono urticanti; molte sono innocue per l'uomo, anche se è sempre meglio evitare di toccarle.
Ecco una mini guida per riconoscere le principali meduse e le specie del cosiddetto plancton gelatinoso più diffuse nei nostri mari.

Aequorea forskalea



Poco urticante

Piccola e innocua perché priva di cnidocisti pericolose per noi.

Habitat
Mai molto abbondante lungo le nostre coste, anche se localmente può presentarsi in grosse concentrazioni.

Come riconoscerla
E' un’idromedusa che gemma da forme polipoidi che vivono sul fondo marino. Non ha grandi dimensioni: raggiunge al massimo 10 cm di diametro. Si distingue facilmente dalle altre meduse per i tantissimi canali radiali che congiungono il centro e il margine dell’ombrello appiattito. La bocca e il manubrio sono inseriti in un bulbo gelatinoso che parte dal centro dell’ombrello e si proietta verso il basso. Ha permesso l’isolamento della proteina verde fluorescente (GFP), una sostanza alla base della fluorescenza di molte meduse. La scoperta di questa proteina ha permesso di sviluppare nuove tecniche per la diagnosi di malattie e la ricerca nel campo della biologia molecolare.  Questa scoperta ha portato ad applicazioni in campo diagnostico, permettendo di marcare specifiche linee cellulari. La scoperta della GFP è valsa ai ricercatori americani Osamu Shimomura, Martin Chalfie e Roger Tsien il premio Nobel per la chimica nel 2008.

Mnemiopsis leidyi



Poco urticante

Gelatinosa come gli cnidari, ma non ha cnidocisti e quindi non è velenosa. Innocua per l’uomo, ma molto dannosa per per l’ecosistema marino.

Habitat
Arrivata nel Mar Nero negli anni ‘80 trasportata dalle acque di zavorra delle petroliere americane, è rimasta confinata in quel bacino per decenni. Nel 2009, però, è entrata in grandi quantità in tutto il Mediterraneo e ora ha invaso la laguna di Orbetello.

Come riconoscerla
Mnemiopsis leidy è uno ctenoforo, un organismo gelatinoso lungo poco più di 10 cm e con il corpo lobato di forma ovale. Non nuota con le pulsazioni del corpo (come fanno le meduse), ma è dotato di otto bande ciliate che, battendo, fanno da propulsori. Nel Mar Nero, dove l’ecosistema era già indebolito da inquinamento e sovrappesca, Mnemiopsis leidyi ha depauperato le risorse ittiche mangiando le uova e le larve dei pesci (e anche le prede planctoniche delle larve stesse). Non si sa se il suo impatto nel Mediterraneo sarà come quello subito dal Mar Nero ma gli effetti sono subdoli, perché questi predatori non fanno scomparire i pesci con la loro presenza bensì i futuri pesci.


Rhizostoma pulmo



Poco urticante

I tentacoli sono corti e non sono armati di cnidocisti pericolose per noi. Non ci può far male, e guardarla nel suo ambiente è uno spettacolo.

Habitat
Vive in abbondanza lungo le nostre coste. Queste grandi meduse, spesso presenti in grandissima quantità, diventano dei microcosmi utilizzati da altri organismi e quindi riparo per pesci che vengono trasportati dalle correnti. tra le sue braccia orali si possono trovare anche piccoli granchi che vivono comodamente.

Come riconoscerla
La medusa più grande del Mediterraneo  (dopo Drymonema): il diametro del suo ombrello può arrivare a 60 cm e può pesare fino a 10 chili. Il colore è bianco, con un orlo blu lungo il margine dell’ombrello. Il manubrio è grande: assomiglia a un cavolfiore bianco. Non ha una sola grande bocca, ma tante piccole bocche.
Il portamento di Rhizostoma è maestoso, le pulsazioni sono lente e possenti. Per molti popoli del sud est asiatico, soprattutto i cinesi, è un piatto prelibato.

Cotylorhiza tuberculata




Poco urticante

Innocua per l’uomo, anche se è bene non toccarla, e per le sue caratteristiche probabilmente innocua alla maggior parte dei pesci. Come Rhizostoma, è spesso associata a pesci più o meno grandi che la adottano come rifugio.

Habitat
Molto abbondante nel Mediterraneo, specie nelle baie. Nel 2009 è stata frequente nei mari italiani più meridionali, quasi a mostrare una preferenza per le acque più calde.

Come riconoscerla
Una delle più belle meduse del Mediterraneo: l’ombrello può misurare anche 30 cm, è molto rigido e tondeggiante al centro, dove ha colorazione rossastra o gialla. La parte più esterna è mobile e la fa procedere con le sue vigorose pulsazioni. Sotto l’ombrello, il manubrio assomiglia a un bouquet di fiori di campo, con bottoni blu-viola, inseriti su tozze braccia. Alcuni tentacoli, anch’essi terminanti con bottoni blu, fuoriescono dal manubrio.
Cotylorhiza può presentare microalghe che vivono in simbiosi sui propri tessuti, proprio come i coralli delle formazioni coralline tropicali. Funzionalmente, quindi, si può definire una "pianta" anche se si può nutrire di zooplankton.

Cassiopea andromeda



Urticante

Non è pericolosissima, ma è meglio non toccarla perché produce muco nel quale sono presenti le cellule urticanti, e se si entra in contatto con quest'ultimo, si possono avere irritazioni.

Habitat
Entrata in Mediterraneo dal Canale di Suez, sta risalendolungo le coste turche. All’inizio del 2010 è stata segnalata a Malta, e quindi è arrivata alle porte di casa nostra. Di solito si trova su fondi sabbiosi, ma può essere presente anche su quelli rocciosi.

Come riconoscerla
Piccola, massimo 30 cm, sta posata sul fondo marino. L'ombrello è rivolto verso il basso, mentre bocca e tentacoli verso l’alto: per questo Cassiopea viene chiamata in inglese "medusa al contrario". Sta rivolta verso l’alto perché possiede alghe unicellulari come quelle dei coralli delle formazioni coralline che vivono in simbiosi con la medusa e che quest'ultima deve esporre alla luce che filtra nell'acqua.

Carybdea marsupialis



Urticante

Carybdea marsupialis è un cubozoo, come le meduse mortali per l’uomo che abitano lungo le coste australiane. Fortunatamente il suo non è un veleno mortale: le sue punture sono molto dolorose, ma gli intensi effetti sono brevi.

Habitat
Presente nelle aree più settentrionali dei mari italiani, sempre più frequente lungo le nostre coste. Carybdea è attratta dalla luce e si avvicina alla costa durante la notte


Come riconoscerla
Molto piccola, trasparente, con l’ombrello cubico che misura dai 4 ai 5 cm circa, è armata da 4 lunghi tentacoli. Nuota in modo molto vigoroso e si sposta facilmente. Come Pelagia è tipicamente mediterranea e tra le meduse più urticanti dei nostri mari.

Le risposte degli esperti alle domande più comuni di tutti, bagnanti, pescatori e turisti: dai rimedi naturali contro le punture agli stratagemmi per non essere colpiti.

Come si evitano le meduse?
Guardare il mare: se ci sono, di solito si vedono e l’unico modo per evitarle è... non fare il bagno. Le meduse non ci attaccano, non vengono verso di noi: siamo noi che andiamo loro addosso. Come spiega Ferdinando Boero, biologo marino dell’Università del Salento: «Le meduse si spostano verticalmente, quindi possono stare in superficie e possono scendere sul fondo. Sono animali che si muovono, e spesso vanno dove le portano le correnti. Non ci sono regole predefinite: le trovi ovunque. Perché le meduse sono parte del plancton e si spostano con la corrente. Possono nuotare ma non riescono a contrastare il moto delle correnti».

 
Se vedo una medusa lontana, posso tuffarmi?
Se ci sono meduse urticanti in mare è meglio non fare il bagno, a meno che non ce ne siano veramente pochissime. Le meduse che pungono hanno solitamente tentacoli molto lunghi: Pelagia arriva a 10 metri mentre Physalia (chiamata anche Caravella Portoghese) raggiunge anche i 20 metri. Quindi anche se la medusa sembra lontana non è detto che i suoi tentacoli non siano vicini.

Le meduse possono uccidere?

Sì, alcune meduse possono causare shock anafilattico. Inoltre, il forte dolore che provoca la puntura può essere fatale in individui con problemi di cuore. Bisogna quindi andare al pronto soccorso in caso di reazione cutanea diffusa, difficoltà respiratorie, sudorazione, pallore e disorientamento.
Racconta Boero: «In Australia le meduse fanno più vittime degli squali. E Physalia - in Florida - ha ucciso. Ma ad oggi non ci sono stati casi di vittime a causa di punture di medusa nel Mediterraneo anche se spesso le persone punte finiscono all'ospedale».


Si possono toccare le meduse non urticanti?
Meglio di no, anche se il loro veleno, per noi, è quasi innocuo. Anche i tentacoli delle meduse innocue, infatti, hanno i cnidocisti (i piccoli organelli cellulari che contengono il veleno) che possono restare sul palmo della mano e, se non le laviamo e poi ci tocchiamo gli occhi (o altre parti delicate), possiamo trasferire il veleno e provocare un'infiammazione.

Di cosa è fatto il liquido urticante delle meduse?
Da una miscela di tre proteine: una con effetto paralizzante, una con effetto infiammatorio e una neurotossica. «Non ci sono antidoti specifici per questi veleni - spiega Boero - che tuttavia sono termolabili, cioè si degradano ad alte temperature».

Cosa si prova quando si è punti?
Una reazione infiammatoria locale che dà bruciore e dolore. «La pelle si arrossa e compaiono piccole rilevatezze dette pomfi, ma dopo circa 20 minuti la sensazione di bruciore si esaurisce e resta la sensazione di prurito» spiega Francesco Sacrini, specialista in dermatologia presso l’Istituto Clinico Humanitas di Milano. Il grado di dolore-bruciore varia a seconda delle aree colpite e diventa insopportabile in caso sia colpita più del 50% della superficie corporea.

Cosa fare quando si è punti?
Stare calmi, respirare normalmente, uscire subito dall’acqua e poi lavarsi la parte colpita con acqua di mare. «Restare in acqua è pericoloso perché si possono avere anche reazioni gravi come lo shock anafilattico» consiglia Mario Aricò, dermatologo presso l’Università di Palermo e primario della divisione di dermatologia all’ospedale Giaccone di Palermo.
Precisa Sacrini: «La prima cosa da fare è lavarsi con acqua di mare e non con acqua dolce perché questa favorirebbe la scarica del veleno delle cnidocisti. L’acqua di mare, invece, è fondamentale per pulire la pelle da parti di medusa rimaste attaccate alla pelle e per diluire la tossina non ancora penetrata».

Rimedi naturali: funzionano? Fa bene applicare sulla parte una pietra (o acqua) calda, strofinare con sabbia calda, lavare con ammoniaca (o urina), aceto o alcool?
Questi rimedi fai da te non solo sono inutili, ma possono anche peggiorare la situazione.
Il calore di una pietra o della sabbia non servono assolutamente perché per annullare le tossine bisognerebbe raggiungere 40-50 gradi. Nemmeno l'ammoniaca e l’urina che la contiene servono: non sono disattivanti della tossina delle meduse e potrebbero ulteriormente infiammare la parte colpita.

Qual è la medicazione da fare?
Per avere un’immediata azione antiprurito e per bloccare la diffusione delle tossine è bene non grattarsi e applicare un gel astringente al cloruro d’alluminio. «Non sono prodotti facili da trovare in commercio - consiglia Arricò -, ma si può far preparare dal farmacista indicando una concentrazione che va dal 3 al 5%». L’ideale è una concentrazione al 5%.
«In commercio c’è un gel (utile anche per le punture di zanzare) che si può applicare più volte al giorno perché non ha controindicazioni. Creme al cortisone o contenenti antistaminico, invece, sono inutili perché entrano in azione solo dopo 30 minuti dall’applicazione e cioè quando il massimo della reazione è esaurita naturalmente» spiega Sacrini.

Come evitare, infine, che sulla pelle resti la cicatrice?
Non bisogna esporre la parte al sole, ma tenerla coperta finché non è finita l’infiammazione che può durare anche due settimane. L’area di pelle colpita dalle meduse, infatti, tende a scurirsi perché resta sensibile alla luce solare.

E le creme antimedusa?
Spiega Sacrini: «In letteratura medica le creme dette “antimedusa” sono state formulate studiando i meccanismi di protezione utilizzati dal pesce pagliaccio [pesce che ha una sostanza repellente per le meduse, ndr]. Le creme antimedusa, attualmente in commercio, sono associate a filtri solari. Si basano, come descritto in lavori scientifici, principalmente su 4 principi:

rendono scivolosa la pelle e di conseguenza difficile l’aggrapparsi dei tentacoli delle meduse;
confondono il meccanismo di ricognizione della medusa (anch’essa composta da acqua e GAG);
bloccano il sistema di attivazione delle cellule urticanti;
combattono la pressione osmotica che si forma all’interno dei nematocisti.

È possibile avere una risposta variabile a seconda della specie di medusa, dalla corretta applicazione e dal tempo di permanenza in acqua.

Infine, è vero che le meduse amano i mari puliti e caldi?
La loro presenza non significa necessariamente che l’acqua sia pulita anche se, come tutti gli animali, le meduse non amano l’inquinamento. Dice Boero: «Ci sono specie che prediligono le acque fredde (incluse quelle artiche), e specie che prediligono quelle calde. Proprio come succede per i pesci: ci sono quelli tropicali, quelli artici, quelli costieri, quelli di profondità».

C’è una stagione in cui le meduse popolano di più i mari?
Di solito, le meduse diventano più abbondanti dopo la primavera. Dice Boero: «Prima c’è la fioritura del fitoplancton (verso febbraio - marzo), poi quella dei crostacei, verso marzo aprile, e poi cominciano le meduse. Velella (che non è una medusa) è molto abbondante verso aprile maggio (anche quest’anno), mentre Pelagia è più estiva. Ma quest’anno ha iniziato ad essere presente già da febbraio».

A cura di Fabrizia Sacchetti
FONTE: focus.it

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Nello specchio acqueo, antistante la Grotta di San Gregorio è più precisamente nel quadrilatero avente per vertici i sotto elencati punti coordinate geografiche (come meglio evidenziato nell’allegata planimetria facente parte integrante della presente ordinanza):

Punto                A                     B                    C                      D
LAT            38°45'8.00"N      38°45'10.06"N   38°45'9.35"N     38°45'7.05"N
LONG          016°33'50.00"E   16°33'53.00"E   16°33'54.83"E    16°33'51.64"E

E’ vietata la balneazione e ogni altra attività di superficie e subacquea per il pericolo di caduta massi.

E’ altresì vietata la sosta, l’ancoraggio delle unità navali e la pesca ad una distanza inferiore a Mt. 150 dalla battigia ricompresa fra i punti A e B del predetto quadrilatero.


Il Comune di Stalettì (CZ), nel cui territorio ricade la zona di mare per la quale è stata segnalata la situazione di pericolo e l’interdizione di cui all’ articolo precedente, ove sia tecnicamente possibile e dove non già previsto a carico di eventuali concessionari, installa e mantiene idonea cartellonistica riportante i divieti e le prescrizioni sopra richiamate. La segnaletica può inglobare eventuali prescrizioni interdittive relative all’area a terra.

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Contiene informazioni e stralcio planimetrico satellitare

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PESCA FORUM BAR / Buon compleanno Antonio
« on: August 10, 2013, 02:43:13 »
Anche se il rosso non è il tuo colore preferito....beccati questo:

BUON COMPLEANNO ARDITO


 ;D



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PESCA FORUM BAR / Buon Compleanno Domenico
« on: August 02, 2013, 14:35:25 »
Oggi è il Compleanno del nostro amico Domenico (SHARK)

Auguroni!!!!!

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Ai fini della presente disciplina l'ambito portuale di Reggio Calabria è individuato dai piazzali (asfaltato e non) posti a nord del varco nord, dai piazzali circostanti gli edifici della direzione marittima, dalla darsena, molo pennello, banchina nuova di levante, banchina di levante, via Florio entrambi i lati, banchina Margottini, molo aliscafi, invasatura, radice banchina di ponente, banchina di ponente,molo di
ponente come meglio evidenziato nella planimetria allegata alla presente ordinanza.


La presente ordinanza disciplina l'accesso, la circolazione e la sosta delle persone e dei veicoli nell'ambito portuale di Reggio Calabria.

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