Ciao ragazzi,
Esaminate le attrezzature principali, canne e mulinelli, passiamo ora a vedere l'apparato pescante del surfcasting.
Diciamo anzitutto che per apparato pescante intendo l’insieme di cose che va a contatto con le nostre prede e quindi i calamenti con i vari accessori e le esche.
La base del calamento è il trave. Il trave può essere di tipo solidale se impiantiamo gli accessori per l’attacco dei braccioli (perline, girelle, agganci ecc.) direttamente sullo shock leader. In questo caso uso un eufemismo in quanto il trave non esiste essendo costituito dallo stesso shock. Parliamo di trave vero e proprio quando questo è costituito da uno spezzone di nylon distinto dallo shock ed unito a questo da nodi, girelle, agganci fast ecc. Io personalmente adotto la soluzione del trave distinto per una questione di maggior velocità nel cambio e nello sgancio del medesimo. In pratica lego all’estremità dello shock un aggancio “Peg Peo” in acciaio che ha un carico di rottura di tutto rispetto e non mi ha mai dato problemi di tenuta. A questo gancio collego il trave mediante un’asola irrobustita da uno spezzone di tubetto in silicone di qualche centimetro che serve a preservare il filo dallo sfregamento sull’acciaio. Copro il nodo del gancio con il tubetto di guaina in dotazione ed il gioco è fatto.
Ricordate sempre che il diametro del trave non dev’essere mai inferiore a quello dello shock in quanto la forza d’impatto del piombo durante il lancio grava proprio sul trave. Il diametro del nylon è ovviamente proporzionato alle condizioni del mare che stiamo affrontando ma, parlando di surfcasting, direi che il diametro minimo (di shock e trave) dev’essere uno 0,60.
Il trave solidale, dal canto suo, offre maggiori doti di resistenza non essendovi interruzioni sul filo. Inoltre, essendo più “pulito”, offre minori punti di appiglio per le alghe che nelle nostre condizioni saranno purtroppo spesso presenti. Per contro vi è una maggiore laboriosità nei cambi dovendo, all’occorrenza, sostituire l’intero shock leader.
I calamenti tipici del surf sono pochi e semplici e prevedono soluzioni monoamo e pluriamo. Nei monoamo annoveriamo lo short, lo short rovesciato e il long arm. Nelle soluzioni pluriamo vi rientra il pater noster.
Lo short è costituito da un bracciolo, come dice il termine stesso, “corto” di circa 80/100 cm. Con attacco basso in prossimità del piombo. Se l’attacco viene realizzato in alto, distante dal piombo, prende la denominazione di short rovesciato. In questo caso l’amo viene a trovarsi a pochi cm. dal piombo.
Il long arm, al contrario è un bracciolo lungo, dai 150 cm. in su, con attacco vicino al piombo. Personalmente apprezzo moltissimo il long arm da 150 cm. con attacco alto, in sostanza uno short long. Scusate il bisticcio dei termini ma a volte si può uscire anche dai canoni. Citiamo, giusto per la cronaca, il doppio long arm ovvero un bracciolo dai 2,5 metri in su.
Il pater noster è un trave che permette l’alloggiamento di due o più braccioli, normalmente di lunghezza simmetrica (circa 80 cm.) o differenziata.
Un breve cenno su come realizzare gli attacchi per i braccioli sul trave. Sullo spezzone di filo di lunghezza adeguata inseriamo nell’ordine: uno stopperino in gomma di piccolo diametro (deve entrare a forza nel nylon per garantire una buona tenuta) una perlina, una girella in acciaio (io uso le Reflex “estreme” nella misura del 6 o dell’8) altra perlina e altro stopperino. All’estremità verso il piombo inserisco un paio di sferette forate in gomma morbida che servono da salvando in caso una preda di buone dimensioni dovesse far scorrere in giù l’attacco, poi una girella in acciaio, (la citata Reflex del n° 4 che, se pur di dimensioni contenute, hanno un carico di rottura di 90 Kg). Alla girella attacco un moschettone robusto che serve ad agganciare il piombo. Preciso che ho indicato l’uso degli stopperini in plastica come fermi per una questione di praticità. In effetti, a surf, io faccio i blocchi con dei nodini di filo (quello per legare gli anelli delle canne) o dello spago cerato non molto grosso. Al limite si può usare del nylon dello 0.30. Come finezza estrema possiamo bloccare il nodo con una goccia di attack (usate la loctite 406, insuperabile per questo scopo). Lasciate perdere i vari ganci, gancetti e microagganci. Non scaricano le torsioni prodotte dalla corrente e soprattutto non reggono la trazione di pesci di una certa grandezza. Usate solo le girelle di buona qualità senza effettuare brillature e treccine del finale che servono soltanto ad indebolire il nylon. Non siamo in gara, non ci sono orologi da controllare, stiamo affrontando una sfida personale con il mare in condizioni difficili che potrebbe regalarci il pesce della vita.
Torniamo ai travi.
I miei travi, riservati al L.A. ed allo short basso, sono molto ridotti in lunghezza: in pratica 25/30 cm. Infatti, partendo dalla considerazione che, se l’attacco è in basso, vicino al piombo, e non ho necessità di spostare la girella che tiene il bracciolo se non di pochi centimetri, è superfluo realizzare un trave da un metro e più di lunghezza. Quei pochi cm che servono a tenere perline, girelle, moschettone, piombo, asola ecc., sono più che sufficienti allo scopo. Ne beneficerà invece l’azione di lancio, lo stivaggio dei travi nella cassetta, l’azione di riavvolgimento del filo nella bobina, con meno possibilità di andare ad incastrare il gancio di tenuta del trave negli anelli della canna ed il portafogli per il minor spreco di filo. Volevo citare un piccolo accessorio che spesse volte si rivela prezioso in termini di gittata: il bait clip o ferma esca. E’ un piccolo aggeggio che mantenendo il bracciolo aderente al trave in fase di lancio, agevola il lancio stesso che non sarà influenzato dallo sfarfallamento in volo del terminale, oltre a preservare l’esca dall’attrito con l’aria e farla arrivare a destinazione nelle migliori condizioni possibili. Affinché il bait clip funzioni a dovere il bracciolo dev’essere ben teso pena il mancato sgancio nel momento dello splash. In commercio ve ne sono diversi tipi. La Stonfo ne produce uno scomponibile. E’ molto pratico in quanto può essere installato e rimosso facilmente al momento ma è poco stabile e richiede il corretto riposizionamento ad ogni lancio. I più sicuri ritengo che siano quelli della “Breakaway” nei vari modelli (RC1, IMP1, IMPACT SHIELD) anche se alcuni devono essere pre-montati.
Il long arm è un terminale da ricerca per ogni distanza. Per la sua lunghezza soffre la corrente ma quando rimane operativo è micidiale in quanto conferisce all’esca un movimento naturale sfruttando anche le minime fluttuazioni del moto ondoso. Può essere “alleggerito” o “flotterizzato” con soluzioni galleggianti sia esterne (c.d. zatterino, cioè galleggiantino di vari materiali da posizionare sul bracciolo ad una certa distanza dall’esca) che interno all’esca (c.d. ciao ciao, cioè pezzetto di polistirolo o altro materiale da inserire all’interno dell’esca). Queste soluzioni a volte possono fare la differenza nello stimolare il pesce oltre a garantire una maggior tenuta con terminali tanto lunghi. In caso di aggrovigliamento io consiglio, prima di accorciare la lunghezza, di aumentare il diametro del nylon. Ricordate che in condizioni da surf, con acque velate o cupe, un bracciolo dello 0.40 o 0.50 non deve assolutamente stupire. E’ un calamento da riservare principalmente ai predatori ma spesso e volentieri riesce ad ingannare anche i saraghi
Lo short è un calamento da usare in caso di corrente sostenuta ma non solo nel senso che vi sono condizioni in cui il pesce o una specie ittica vengono maggiormente sollecitati da un bracciolo corto che da uno lungo. Destinato a qualunque tipo di preda.
Lo short rovesciato è un terminale che a mio modo di vedere può fare la differenza. Tiene magnificamente la corrente, è poco soggetto a grovigli ed è meno propenso a raccattare le impurità che aleggiano in prossimità del fondo. Ideale per l’utilizzo nella schiuma a breve distanza. Personalmente lo uso sempre, nella versione da 150 cm., in accoppiata con il L.A. Anche in questo caso non c’è una destinazione specifica di prede. Nella versione più lunga può ingannare sia predatori che grufolatori.
Il pater noster è un terminale da altissima turbolenza. Viene impiegato quando le altre soluzioni hanno dato forfait. La tenuta è garantita anche in condizioni proibitive, arrivando ad utilizzare, in certe situazioni braccioli da 30 cm. Permette inoltre di “sondare il terreno” nel senso che potendo utilizzare due esche diverse, si potranno avere più chance oltre a verificare quella che è stata più apprezzata. Nessuno ne vieta ovviamente l’utilizzo in normali condizioni, con braccioli più lunghi, considerata la pluralità di insidie. Vista la lunghezza contenuta dei braccioli ritengo sia più indicato per i grufolatori. Il diametro dei braccioli è da rapportare alle condizioni del mare ed alle prede che speriamo di catturare. Diciamo comunque che non è conveniente scendere sotto lo 0.25.
Un brevissimo cenno ai piombi. In fase di scaduta della mareggiata, quando le condizioni non sono proibitive e le correnti affrontabili, si può tentare l’uso di piombi a bassa tenuta ma di foggia aerodinamica che aiutano un po’ nel lancio (roccobomb, roccotop, AB1 ecc.) In condizioni di forte turbolenza dobbiamo per forza di cose ricorrere ai piombi ad alta tenuta che, in ordine di presa, sono: la sfera, la piramide e lo spike. La sfera va utilizzata mediante l’introduzione nel foro di una vite ad occhiello. Ricordiamo che i calamenti a surfcasting sono tutti con piombo terminale. Le soluzioni scorrevoli non sono indicate per questa disciplina. Le grammature sono quelle che le condizioni del mare ci richiederà, ma parlando di surf il range va dai 125 gr fino alla portata massima della canna.
Gli ami. Nella nostra disciplina c’è poco da sbizzarrirsi con la fantasia. Ami grossi e robusti e comunque da rapportare alle esche che, in linea di massima sono anch’esse corpose. L’unica scelta che possiamo effettuare è fra beack e aberdeen. I primi sono i così detti a becco d’aquila: ami robusti a gambo corto, filo abbastanza grosso e normalmente dotati di occhiello e con punta dritta o disassata. Sono impiegabili con qualunque tipo di esca nelle numerazioni dal 4 al X/0. Io li impiego nella misura più piccola nella ricerca dei saraghi avendo notato che misure estremamente grosse a volte non favoriscono l’ingoio di questi sparidi dalla bocca piuttosto piccola. Non vi create problemi per l’occhiello perché anche con americani di buone dimensione non ci sono problemi a farli scorrere.
L’aberdeen è un amo a gambo lungo a filo medio fine. E’ un amo piuttosto leggero rispetto al beack e quindi meno robusto. Va impiegato pertanto in quelle situazioni di ricerca del pesce in corrente quando si vuol mantenere l’esca piuttosto leggera. E’ particolarmente indicato con i filetti di sarda ma anche con gli anellidi. Anche qui le misure da impiegare sono identiche al beack.
Per finire questa carrellata facciamo un accenno veloce alle esche.
Le esche devono essere corpose e proteiche. Ricordiamo che il periodo migliore del surfcasting coincide con la stagione invernale, anche se una bella mareggiata estiva deve comunque farci affilare le armi. Quindi, in primis le varie esche di pescheria: sarde, calamari, seppie, fasolari, cannolicchi, murici ed alcuni vermi di provata solidità quali americani e bibi. Nella stagione invernale sono da preferire i molluschi/cefalopodi in quanto la sarda e i pesci esca non espandono i loro effluvi a causa della bassa temperatura dell’acqua. Bisogna quindi giocare più su un fattore visivo che olfattivo. I molluschi, specie se freschi, sono dotati di una rifrangenza naturale che stimola l’istinto delle nostre prede anche in condizioni di acqua torbida. Impiegheremo le varie parti del corpo come i tentacoli, la testa ed il mantello rafforzato con qualche giro di filo elastico.
Personalmente devo dire che non ho grande fiducia nel trancio di sarda forse perché l’impiego di quest’esca mi ha premiato quasi esclusivamente con la cattura di gronchi. Trovo invece eccellente l’impiego di filetti mignon di sarda da 2/3 cm. che spesso si sono rivelati micidiali con i saraghi. Una menzione speciale voglio fare ad un piccolo cefalopode che viene chiamato “copolaricchio” o “occhio di canna” o “cappuccetto” (non conosco il termine dalle nostre parti) è in sostanza una seppiolina in miniatura dal mantello tondo e privo di osso, dotato di una straordinaria rifrangenza. Vi assicuro che è l’asso nella manica per saraghi, spigole ecc. Spesse volte io ricorro all’accoppiata di due esche come l’americano con la seppia, il cannolicchio con il fasolare, la sarda con il calamaro. L’importante è non fossilizzarsi su un’esca che magari non ci dà risultati ma operare una rotazione di quelle che abbiamo dietro su vari tipi di calamenti.
Volevo, in conclusione, fare due considerazioni di carattere generale.
Ci troveremo spesso, nella nostra disciplina, ad operare in condizioni difficili e disagevoli. Improntiamo le nostre montature al massimo della semplicità e senza lasciare nulla al caso. Rifare un bracciolo richiede solo qualche minuto di tempo e non lesiniamo a sostituirli se notiamo il filo anche appena deteriorato. Non ostiniamoci a pescare con una paratura che dopo cinque minuti è irrimediabilmente aggrovigliata: in questo caso stiamo solo sprecando del tempo. Cambiamo tutto fino a che avremo trovato qualcosa di funzionale. Nelle nostre condizioni l’importante è riuscire a stare in pesca. Rispettiamo il mare rilasciando le prede piccole e accontentiamoci se il mare, quel giorno ci ha regalato un pesce da incorniciare.
Alla prossima