Ed eccoci, purtroppo, arrivati a fine stagione.
Parlo ovviamente di Surfcasting perché per la P.A.F. la stagione buona comincia proprio ora.
L’argomento di oggi possiamo definirlo: “il senso dell’acqua” . E’ un aspetto per certi versi non tangibile come le attrezzature ma di fondamentale importanza ai fini della buona riuscita di una battuta di surf. E’ quel sesto senso che a volte fra la differenza fra pescatore e pescatore. E’ quell’istinto o quella decisione ragionata che ci fa prediligere un posto piuttosto che un altro dove piazzare le nostre insidie. A mio modo di vedere, per alcuni fra i più fortunati di noi è un fatto congenito, istintivo. Per altri è frutto dell’esperienza di tante pescate.
La stagione del surf si colloca, canonicamente, fra fine autunno ed inizio primavera quindi nel pieno del periodo in cui sono più ricorrenti le mareggiate, il poderoso soffio dei venti, il freddo, la pioggia E’ inoltre il periodo in cui accostano le spigole di maggior dimensione per la riproduzione e gli esemplari più grossi delle specie stanziali sono alla ricerca di bocconi proteici per compensare le ristrettezze della stagione.
Finito questo ciclo sarebbe quindi l’ora di dare una bella ripulita alle ripartite, una lubrificata ai grossi mulinelli e metterli in cantina per la prossima stagione dedicandoci agli sparidi zebrati con attrezzatura leggera.
Ma, forse ve l’ho già detto, io non sono il tipo che segue le regole in modo molto ortodosso e quindi nella pratica del surfcasting mi concedo qualche “licenza”. Ad esempio, al contrario dei surfcaster più “talebani” non amo molto il vento ed in effetti le onde possono esserci anche senza l’alito di Eolo sulla faccia. Sostengo che il surf si può praticare anche di giorno in quanto con mare mosso e acqua torbida non occorrono le tenebre perché i nostri amici predatori & co. si mettano a caccia. Sostengo inoltre che non è necessario impiegare attrezzatura, accessori ed esche di tipo hard sempre, comunque, e a prescindere, ma occorre proporzionare il tutto alle condizioni che ci troviamo ad affrontare. Non sono molto avvezzo agli spot tipici del surf (leggasi frangenti, canaloni, punte ecc.) ma non per una mia impreparazione ad affrontarli ma perché le spiagge liguri che normalmente frequento, come avviene anche in tanti spot della Calabria, non hanno queste connotazioni.
Comunque, nonostante queste mie trasgressioni, tengo sempre ben distinto il surfcasting da altre tecniche e avrete certamente capito che mi da fastidio quando le cose vengono confuse.
Sostengo, infine, che la stagione del surfcasting può non avere limiti temporali.
In queste ultime settimane, scorgendo il mare dal treno che mi porta al lavoro, in quei pochi scorci tra le miriadi di gallerie che bucano la Liguria, ho spesso visto condizioni da surf almeno quattro giorni su sette pur essendo in primavera inoltrata (ovviamente il mare calmo coincide con il fine settimana). Normalmente non faccio rilevazioni e statistiche ma la memoria mi dà atto che anche in piena estate qualche bella mareggiata è sempre pronta a smuovere un po’ i fondali. E allora cosa facciamo? Rinunciamo ad una bella battuta a surf in costume da bagno e ciabatte solo perché non è periodo? Assolutamente no. Le prede tipiche ci sono sempre. I saraghi e parte delle spigole sono stanziali a queste aggiungiamo le orate e i mormoroni che nonostante non siano prede da surf, non sfigurano nel nostro secchio. Alla peggio ci possiamo dedicare a qualche bel gronco, sempre in agguato nel sottoriva, al quale potremo ridare la libertà se non apprezziamo le sue qualità organolettiche, dopo averlo ringraziato per il bel combattimento offertoci.
Ho parlato prima di spiagge liguri e calabresi. C’è una certa identità fra le due che è l’elevata profondità del mare. Ovviamente faccio un discorso generico in quanto le eccezioni esistono in entrambe le regioni. Vi porto ad esempio le spiagge di Albenga in provincia di Savona. Spiagge profonde a granulometria grossa o molto grossa. Se ci spostiamo di 3/4 Km. in linea d’aria e arriviamo ad Alassio la situazione è completamente all’opposto: spiagge a granulometria finissima con una profondità di nemmeno 150 cm ad oltre cento metri dalla battigia. Questo per introdurre la distinzione di base fra spiagge a bassa energia e spiagge ad alta energia.
Da bambino andavo spesso al mare nella zona della Marinella, alla destra del campo sportivo di Pizzo. Io e tanti altri coetanei andavamo a ricercare due secche (definiamole così) che si estendevano dalla battigia verso il mare aperto per decine di metri. Qui l’acqua era molto bassa e bisognava stare attenti a non spostarsi troppo ai lati o andare troppo in avanti altrimenti si saltava il gradino e si finiva con il non “toccare” più con i piedi. A distanza di anni e con lo spirito da surfcaster sono andato a ricercare queste condizioni ma probabilmente il passare del tempo e l’azione modellante del mare ha molto ridimensionato o addirittura cancellato questo fenomeno, segno che lo stesso era da imputare all’effetto dell’acqua e non ad una specifica condizione orografica del fondale.
Ho proposto questi aneddoti per introdurre il discorso sulle caratteristiche delle spiagge da surf.
Anche in questo caso vi sono dei parametri “da manuale” ovvero la presenza dei plurimenzionati canaloni, frangenti, punte ecc. ma, anticipo, non significa che in assenza di questi dobbiamo chiudere tutto e tornare a casa oppure che non stiamo effettuando una battuta di vero surfcasting.
Diciamo subito che questi fenomeni sono tipici delle spiagge a bassa energia ovvero, spiagge con batimetriche poco pronunciate nelle quali la forza e l’azione del mare si mani
con questi effetti. Un frangente non è altro che una cresta di onda schiumosa che si forma ad una certa distanza da riva. Ma forse qualcuno non si è mai domandato il perché di questo fenomeno. La presenza di rilievi più o meno accentuati del fondo marino oppure l’azione delle correnti marine e le mareggiate che formano dei depositi di sabbia e detriti innalzandone una porzione più o meno vasta rappresentano degli ostacoli al movimento delle masse d’acqua. Su questi rialzi appunto si frange la base dell’onda durante il suo avvicinarsi alla battigia e per la forza d’impatto la sua sommità si alza di parecchio sopra il profilo del mare causando questa cresta schiumosa.
Nell’esempio che ho portato della spiaggia della Marinella, le due secche sono appunto accumuli di sabbia formatisi per effetto delle correnti e delle mareggiate e che si estendono dalla battigia fino ad una certa distanza al largo. In mezzo alle due secche abbiamo un corridoio di acqua più profonda che è ben individuabile il quanto l’acqua è più placida e non schiumosa come ai due lati, inoltre l’onda, non trattenuta dalle asperità del fondale, si rompe in un sol colpo in prossimità della battigia, addentrandosi di molto sulla spiaggia (c.d. rientranza) e causando un maggior dislivello della sabbia. Questo corridoio viene definito “canalone”. Ai lati del canalone, come abbiamo detto, abbiamo le secche . Queste si concretizzano sulla battigia come “punte” di sabbia.
Quando, come in questo caso, il canalone si estende dalla battigia verso il pare aperto è un “canalone perpendicolare”. Dove le due secche terminano, in mare aperto, avremo i due rispettivi frangenti.
Se con l’immaginazione proviamo a ruotare le due secche ed il canalone di 90 gradi e li collochiamo in parallelo alla battigia, abbiamo quello che si definisce “canalone parallelo”. Il canalone parallelo, il più delle volte è collocato fra due frangenti, ovviamente uno più vicino e uno più distante dalla battigia.
E’ ovvio che una secca può essere circoscritta in una zona di mare come un isolotto sottomarino producendo solo un’elevata schiumosità in superficie, senza altri fenomeni di rilievo.
Come dicevo, queste sono mani
zioni tipiche delle spiagge così dette a “bassa energia” ovvero spiagge che per la bassa profondità e irregolarità dei fondali accentuano le mani
zioni delle mareggiate. Questa tipologia di spiagge è comunque immediatamente identificabile dalla battigia pianeggiante al contrario di quelle profonde in cui la battigia presenta un dislivello a volte molto accentuato.
Nelle spiagge definite ad “alta energia” cioè caratterizzate da una profondità elevata, che smorza l’azione della mareggiata, questi fenomeni il più delle volte non sono riscontrabili.
Ora vi chiederete il perché di tutto questo bel discorsetto. Presto fatto.
Supponiamo di arrivare su una spiaggia bassa con una bella mareggiata o una scaduta in corso. Ritengo che a chiunque di noi sia venuto da domandarsi: dove metto i picchetti?
Prima cosa da fare è di arrivare sulla spiaggia con un po’ di luce per scrutare il profilo della battigia, sempre che non conosciamo lo spot come le nostre tasche. Abbiamo parlato di canaloni, secche e frangenti e abbiamo visto cosa effettivamente sono. Alla base del frangente vi è un accumulo di sabbia e detriti che formano un ostacolo all’avanzamento dell’acqua. Quindi costituiscono uno sbarramento anche per gli organismi animali di cui si cibano i nostri pinnuti. In sostanza la base del frangente rappresenta un pascolo ove le nostre prede legittimamente sono invogliate ad indirizzarsi per avere maggiori chanches di riempirsi la pancia. Stesso discorso vale per le secche isolate. Il canalone abbiamo visto che è una sorta di corridoio fra due “promontori” di detriti nel quale confluiscono le sostanze organiche provenienti dalle zone che lo delimitano. In teoria il nostro amico pinnuto non deve far altro che perlustrare il canalone nell’attesa che gli scenda un qualcosa di commestibile davanti alle fauci.
Di conseguenza noi posizioneremo i nostri picchetti e metteremo le nostre esche all’interno del canalone oppure a ridosso del frangente. Il rovescio della medaglia è che il frangente, purtroppo, non è sempre a portata di canna e il canalone, più abbordabile, può non essere presente. In questo caso riponiamo le nostre speranze nel tratto schiumoso che dalla battigia si estende fino al primo frangente.
Passiamo ora alle spiagge ad alta energia. Su questi spot, se ci mettiamo con un fianco verso il mare e scrutiamo la linea di battigia, spesse volte notiamo solo una lunga, interminabile linea retta o quasi: è quello che in gergo viene definito “settore rettilineo”. Niente punte, niente rientranze e di conseguenza niente frangenti e secche corrispondenti, a volte solo un accenno di canalone che vediamo ad intermittenza, un po’ di schiuma nel primo tratto ed un unico cavallone che si rompe, a seconda delle condizioni, in prossimità della battigia o poco oltre, quando addirittura non ci troviamo davanti ad una serie consecutiva di onde che pare formino un trenino.
Nelle spiagge basse si può arrivare ad effettuare il conteggio delle onde che si rompono sulla battigia, atteso che la condizione ideale riconosciuta è quella di circa 12 onde per minuto. Ma nelle spiagge profonde anche la matematica diventa un problema.
Il dilemma del posizionamento è quindi rilevante su questo tipo di spiagge e può inizialmente spiazzarci. Come rovescio della medaglia possiamo dire che un tratto di spiaggia vale l’altro e che venti metri prima sono uguali ai venti metri dopo. Questo potrebbe anche essere vero vista l’uniformità dello scenario ma andiamo comunque a ricercare quegli indicatori che potrebbero fare la differenza. Vediamo anzitutto se riusciamo ad individuare qualcosa che assomigli ad un canalone o che almeno ci sembri tale. Oppure cerchiamo di scorgere una secca isolata (questo è più probabile). Se anche queste minuziose ricerche non hanno dato frutti, valutiamo la morfologia e le caratteristiche del sito. Cerchiamo di privilegiare anzitutto la presenza di foci: sappiamo tutti che uno sbocco d’acqua dolce rappresenta un richiamo per diverse specie ittiche fra cui, in primis, la spigola. In secondo luogo, se la spiaggia è delimitata da una scogliera o formazioni rocciose di una certa importanza, scegliamo il nostro campo base a ridosso di queste piuttosto che al centro della spiaggia aperta. Se una porzione del nostro spot è interessato dalla presenza di scogli, posizioniamoci nelle vicinanze in quanto una zona mista, anche se con qualche pericolo di incaglio in più, rappresenta un habitat privilegiato per diverse specie.
Analizziamo infine i pro e i contro delle due principali tipologie di spiagge.
Quelle a bassa energia hanno il vantaggio della facile individuabilità delle probabili zone di pascolo: canaloni, frangenti, adiacenze di secche. Hanno inoltre il vantaggio di conservare più a lungo gli effetti di una scaduta mantenendo l’effetto dei frangenti per più tempo. Per contro sono afflitte da una più massiccia presenza di alghe e la schiuma dei primi metri è spesso sterile a causa della bassissima profondità.
Le spiagge ad alta energia abbiamo visto che ci mettono a disagio nella scelta del settore da affrontare e quindi delle zone in cui potrebbe essere più probabile la concentrazione o il passaggio delle nostre prede. Per contro sono totalmente sfruttabili grazie alla profondità dell’acqua che potrebbe regalarci gradite sorprese già nella schiuma dei primissimi metri del sottoriva. Inoltre lo sporco portato dalla corrente è diluito dal maggior volume d’acqua in circolazione.
Ovviamente queste sono considerazioni “a tavolino” ma derivanti comunque da considerazioni statistiche di battute sui campi di tutta la penisola. Ogni spiaggia ha una storia a se e tocca a noi scoprirla, facendoci magari guidare dai fattori comuni ma senza mai tralasciare lo spirito di avventura ed esplorazione che deve sempre animare ogni surfcaster.
Allego qualche foto e disegni esplicativi di alcune situazioni tipiche.
Perdonate i disegni da me realizzati, ma in questo campo sono sempre stato una schiappa.
Ciao
Ecco una spiaggia di Pizzo con profondità abbastanza elevata ma è ben evidente un bel frangente in linea con la scogliera.
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LoginSpiaggia della Liguria di ponente ad alta energia in avanzata scaduta: nessun segno di canaloni, frangenti ecc.
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LoginSpiaggia della Liguria di ponente a bassa energia: è evidenziato un bel canalone
(immagine tratta da: Surfcasting.forumfree.net - autore Robo10)
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LoginDisegni esemplificativi (spero). I pallini rossi indicano le zone proficue (ovviamente non il punto preciso)
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