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Negli ultimi tempi, con mio profondo rammarico, riesco a vedere il mare solo da dietro il monitor del PC e mi delizio guardando le catture degli altri. Per non stare troppo in disparte ho pensato di sfruttare questo periodo di stasi per condividere sul Forum le mie esperienze in fatto di Surfcasting. E’ è una passione che covo fin dai miei primi approcci con le acque salse. Ricordo ancora quando, all’età di circa quattordici anni, mi recai con mio padre in un negozietto di caccia e pesca di Vibo per riscuotere il premio per il conseguimento della licenza media: avevo scelto un cannone da cinque metri in fibra di vetro con un mulinellone senza archetto (forse un Alcedo) oltre ad ami, filo, piombi ecc. A nulla erano valsi il sarcasmo di mio padre e del negoziante che mi chiedevano, sornioni, se avevo intenzione di pescare i tonni. Nella mia mente erano già impresse immagini di onde, schiuma e pescioni. Non so da cosa derivasse questa predilezione essendo le mie precedenti esperienze limitate alla cattura di qualche trotella o anguilla nei fiumiciattoli vicini al paesello in collina. Forse inconsciamente covavo questa malattia che mi ha poi accompagnato, fra alti e bassi, per decenni.
Cos’è il Surfcasting? Difficile dare una definizione che metta tutti d’accordo. A ciò aggiungiamo che si tratta di una disciplina d’importazione oceanica e come tale adattata alle condizioni del Mare Nostrum dove le escursioni di marea, la forza degli elementi e le prede insidiate risultano ridimensionate rispetto ai mari aperti. Non è nemmeno mia intenzione aggiungere sterili affluenti al fiume di inchiostro che è scorso per parlare di questa disciplina in tutti questi anni. Vorrei, senza salire in cattedra, semplicemente dare un contributo con la mia esperienza specie a favore dei più giovani che vedo a volte spaesati e fuorviati da luoghi comuni, sperando di contribuire a diffondere la vera essenza di questa meravigliosa disciplina che, sono convintissimo, trova nella nostra terra una palestra ideale. Ovviamente sono interpretazioni personali di questo sport, derivate dall’esperienza sul campo e forse possono risultare, a volte, ortodosse ma vi assicuro che, per quanto io mi possa considerare un purista, non lo sono a livelli maniacali. Ritengo inoltre che questo intervento ed i successivi non possano ritenersi esaustivi della materia anche se sono convinto che innovazioni in materia di tecnica ve ne possano essere poche. Volendo essere drastici potrei dire che il SC è una parola che ti riempie la bocca e ti lascia vuoto il secchio perché il risultato non è mai certo ed il termine è usato e abusato per qualunque situazione di pesca a fondo. Noi stessi, nell’espressione comune usiamo questo termine impropriamente. Se andiamo a pescare con un mare forza olio, diciamo che facciamo un’uscita a SC. Scusate se mi infervoro un po’ su questa questione ma bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare e di questa babele le maggiori responsabilità sono degli organi ufficiali della pesca che in passato hanno voluto formalizzare una disciplina che per il suo spirito non è assolutamente imbrigliabile con regolamenti e norme. Parlo per esperienza diretta avendo fatto gare per oltre dieci anni ed essendomi alla fine scocciato di mettere nel secchio pesci della misura che normalmente si usano come esca. Il SC non si presta a gare, l’unica competizione è fra noi ed il mare ma sempre con quella dose di rispetto e riverenza che dobbiamo avere nei suoi confronti e verso la natura in genere. Anche il mercato ha approfittato e approfitta del feeling che questo termine anglofono suscita ed è ormai ricorrente vedere attrezzi di infimo ordine e di chiara provenienza orientale spacciati come attrezzi da SC. Torniamo comunque alla questione principale. Quasi tutti sanno che il SC si è affacciato sulle nostre coste negli anni 70 grazie ad alcuni pionieri di terra sarda e poi di altre località della penisola. Il diktat del Sc era, ed è, la ricerca del pesce di taglia, magari al vertice della catena alimentare, con mare mosso, operando dalla spiaggia, e con l’impiego di attrezzature specifiche che queste condizioni richiedono. Da questo si possono ricavare le caratteristiche peculiari della disciplina: 1) il mare mosso. 2) l’azione di pesca dalla spiaggia. 3)l’uso di attrezzi specifici. Il primo punto è quello che crea maggiori problemi in quanto il termine mare mosso si presta a valutazioni molto soggettive: quello che io reputo mare mosso per un altro pescatore può essere poco mosso e per un altro ancora può essere inaffrontabile. Occorrerebbe introdurre un criterio di valutazione basato sulle scale di misurazione del moto ondoso, ma questo a che pro? Stiamo parlando di una disciplina sportiva e non di una scienza esatta, per cui teniamoci le nostre interpretazioni personali e facciamoci permeare solo dal vento in faccia, dal ribollire della schiuma e dal fragore delle onde. Per il vero surfcaster questi sono gli elementi che contano, facendo addirittura passare in secondo piano i risultati ed i sacrifici fisici che queste condizioni comportano. Il punto 2 differenzia il SC da altre discipline come il Rockfishing che viene eseguito da una postazione rocciosa, per lo più sopraelevata. Il punto 3 è una conseguenza dei primi due nel senso che è vero che si possono impiegare gli attrezzi tipici del Sc anche in condizioni di mare piatto ma non è assolutamente vero il contrario. Senza un’attrezzatura solida e performante non è possibile affrontare una battuta di Sc. Altra conseguenza sono le esche. Nel Sc le esche sono generiche ed allo stesso tempo specifiche con la caratteristica delle dimensioni generose. Mi riferisco ovviamente ad esche di pescheria con qualche sconfinamento per gli ottimi bibi e americani di taglia xxl. Non reputo annoverabili fra le esche da Sc l’arenicola, il coreano e simili per una semplice questione di fragilità strutturale. Qualcuno potrà dire: viste le difficoltà, vista l’incertezza del risultato, perché non dedicarsi ad altre discipline più tranquille e redditizie? Anche se nulla vieta di dedicarsi ad altre tecniche (io lo faccio tranquillamente) c’è una questione intrinseca, un richiamo interiore, una sorta di dipendenza da tutte quelle condizioni dette prima. Insomma, emozioni che devi sentire e che non ti puoi inventare. Tutto ciò che non corrisponde all’insieme dei criteri suddetti non è Surfcasting.
Concludo qui questo preambolo sperando di non avervi annoiati. I prossimi post avranno un’impronta più tecnica spaziando dall’attrezzatura alle esche alla tecnica ecc.
Ciao