Capita spesso che anche la più attenta programmazione a tavolino delle nostre battute di pesca non sia poi supportata da un positivo riscontro delle condizioni reali. Ciò non tanto in ordine all’aspetto catture, ai cui risultati negativi siamo magari già abituati, quanto alle condizioni marine che si rivelano molto diverse da quelle che avevamo immaginato. Il problema è che fra il dire e il fare c’è sempre di mezzo Nettuno ed è sempre lui a dettare le regole del gioco. La cosa potrebbe anche apparire di facile soluzione se avessimo a che fare solo con spiagge a bassa energia nel senso che in questo caso, trovandosi di fronte ad un mare un po’ troppo allegro, basta magari spostarsi di un centinaio di metri per trovare una finestra sul cordone ininterrotto del frangente esterno oppure dei canali laterali che rappresentano gli unici punti affrontabili.
Viceversa, in caso di mare troppo spento, con lo stesso spostamento, si può andare a trovare quei pochi riccioli di schiuma residua che possono risolverci la battuta.
La cosa diventa invece frustrante se siamo costretti ad operare su spiagge ad alta energia. Su questi spot spesso le mareggiate ci precludono quei “punti” certi nei quali riponiamo la nostra fiducia come il gradino di risacca e quei primi metri che spesso riservano gradite sorprese. I marosi fanno inoltre scomparire ogni più piccolo riferimento e ci troviamo a tirare la monetina in aria per decidere dove piantare i picchetti. Penso di aver acquisito un minimo di esperienza in materia dovendo, per motivi logistici, bazzicare quasi esclusivamente arenili profondi. Posso affermare che in questi spot il mare, oltre certe condizioni, non paga quasi mai. Ma ciò non significa, come ho già letto e sentito in parecchie occasioni, che non esistono condizioni da surf e che l’attrezzatura specifica diventa superflua. Penso invece che sia proprio in questi spot che ripartite e rotanti dimostrano tutta la loro utilità. Il motivo della sterilità in certe condizioni proibitive risiede proprio nella forza della mareggiata stessa che nelle spiagge profonde è superiore alle spiagge basse anche se la percezione visiva può ingannarci. Molti sono i modi in cui una mareggiata si può proporre su una spiaggia ad alta energia e, purtroppo, diversi di questi modi diventano impossibili da affrontare anche con le ripartite più potenti, i rotanti più prestanti ed il massimo spirito di sacrificio del pescatore. Un classico esempio è rappresentato dal singolo cavallone che si infrange sulla battigia, tipo questi:
le dimensioni di quest’onda possono essere tali che, per affrontarla, dovremmo posizionare le nostre canne sul trespolo del bagnino e se ciò fosse possibile non ci sarebbe zavorra sufficiente a contrastare la potenza di questo muro d’acqua che spazzerebbe via la nostra attrezzatura.
Il cavallone a volte può diventare un tandem. L’altezza dell’onda può anche risultare più bassa ma la sequenza uno-due a breve distanza di queste onde non darebbe tregua alle nostre canne e a noi verrebbe il mal di mare ad ogni affossamento delle cime.
O addirittura un trenino d’onde che farebbero venire le vertigini anche ad un vecchio lupo di mare
rimarcati addirittura da un colorino per nulla invitante delle acque.
A parte i discorsi tecnici, ricordiamoci che la cosa fondamentale è la nostra incolumità per cui, nelle condizioni viste sopra evitiamo temerarietà: col mare non si scherza, lui ci può deridere in qualunque istante.
Giusto per un veloce ripasso, ricordiamoci che la mareggiata diventa proficua quando innesca la catena alimentare e questo semplicissimo assioma vale anche per gli spot ad alta energia. Nelle condizioni viste sopra, a mio modo di vedere, viene invece spazzata via tutta quella che è la prima scia che richiama i pesci più piccoli quindi non c’è l’innesco di questa catena o, quantomeno, avviene fuori dalle nostre possibilità di tiro. Comunque, considerando le condizioni in cui reputiamo che questo fenomeno si possa attuare occorre, anche in questo caso, individuare le rotte e i punti di pascolo dei nostri pesci. Cosa per nulla semplice se vista nel contesto di quanto detto poco sopra relativamente alla mancanza di indicazioni. Ho sentito diverse teorie sul dove piazzare le esche: nel gradino di risacca, a tot metri dalla battigia ecc.. Teorie tutte valide ma, aggiungo io, ciascuna a seconda della condizione che ci si para davanti. Tanto per fare un esempio, non ha senso posizionare le esche a 30 metri se questo tratto è interessato da un cumulo di detriti in sospensione, riscontrabile dalle acque colore pece, così come non avrebbe senso piazzare il calamento nel gradino se su questo si abbatte l’unico grosso cavallone. Ragioniamoci sopra per un momento. Quale pesce è così fesso da stare in mezzo ai detriti che possono riempirgli le branchie fino ad impedirgli di respirare? E qualaltro sarebbe così incosciente da cercare nutrimento nel turbine di un cavallone che esplode sulla battigia? Nessuno penso anche se capisco che sia difficile ragionare come un pinnuto. E qualora il nostro ipotetico amico riuscisse a contrastare la forza dei marosi, siamo sicuri che riuscirebbe a trovare di che cibarsi sul fondo di questo fantomatico gradino? Personalmente ritengo di no. Penso che ognuno di noi, andando al mare per diletto, in presenza di mare un poco mosso avrà notato, stando con i piedi piantati nella sabbia della battigia, il rotolio delle pietre che, di ritorno in acqua ci sbattono sui malleoli facendoci un male cane e la pressione dell’acqua di ritorno che tende a spingerci verso il mare, ebbene questa è l’azione della corrente di ritorno, cioè la corrente secondaria. La corrente primaria, naturalmente è quella che segue la direzione opposta e che dal largo quindi spinge le masse d’acqua verso la battigia. La corrente primaria è quella che solleva la coltre del fondale portando in vista (dei pesci) vermi molluschi ed organismi viventi. Anch’essi poi vengono spinti verso la battigia insieme a pietre e detriti. La corrente secondaria distribuisce questi organismi sul fondale come se provvedesse ad imbandire la tavola per i nostri amici pinnuti. Quindi, in condizioni di mare mosso, ma non esageratamente mosso è legittimo concentrarsi sulla zona che va dal gradino di risacca fino a qualche decina di metri dalla battigia. Quando le condizioni sono più hard la forza della corrente primaria è chiaramente più elevata e, parallelamente anche della secondaria. Ciò comporta che il brumeggio naturale non rimane sotto il cavallone della battigia o nelle immediate vicinanze ma verrà riportato verso il largo finchè la corrente secondaria avrà l’energia per farlo, tenendo sempre presente che le due correnti non sono necessariamente lineari. Ciò non toglie che la corrente primaria possa di nuovo appropriarsi di questi organismi e riportarli di nuovo a riva. Insomma è una partita a ping pong fra le due correnti finchè gli organismi non vengono depositati sul fondo grazie ad un sopraggiunto equilibrio che annulla le due forze che può essere rappresentato da un tratto di fondale più profondo in cui le due correnti si annullano o dall’esaurimento della forza di una delle due correnti. Il grosso guaio è, come avrete capito, che non è assolutamente semplice individuare questi punti di deposito, a volte direi impossibile. Un piccolo aiuto ce lo può fornire il colore dell’acqua: il punto in cui la superficie cambia tonalità diventando meno scura è indice che qualcosa è cambiato sul fondo.
Per cui, su spiagge ad alta energia, avventuriamoci sempre con condizioni di mare mosso ma legittimamente affrontabili, di cui questi possono essere degli esempi, dalle condizioni più hot
a quelle più soft di piena scaduta
Passando ovviamente per quelle situazioni in cui certe particolarità del fondale mani
no i segnali indicatori tipici delle spiagge basse.
Sperando, come al solito di non avervi annoiato......alla prossima. calabria