Grazie Peppino per i complimenti, ho voglia di riportarvi un passo di un libro di Maurizio Corona "Nel legno e nella pietra" :
" Quando ero bambino, da noi c’era ancora la cultura, o se vogliamo la missione, di educare i ragazzi al contatto diretto e giornaliero con la natura. Prati, boschi, torrenti, montagne, tutto questo lo avevamo lì attorno. I nostri maestri, o per lavoro o per conoscenza obbligatoria, ce lo facevano toccare con mano. Ci educavano al rispetto del patrimonio naturale, ma anche ad usarlo. Come nel caso della caccia. Cacciavamo per mangiare, per vendere un po’ di carne, le pelli delle volpi e le code dei forcelli. Meno
importanza invece, forse perché non era nella cultura del tempo, davano all’insegnamento della pulizia. I nostri mentori, portandoci in montagna, dimenticavano di spiegarci che non si devono buttare carte o altri rifiuti per terra. Mio padre, quando eravamo fuori a caccia, gettava dove capitava i pacchetti vuoti delle sigarette, le scatolette di carne e addirittura bottiglie. Pochi a quei tempi possedevano la creanza di non sporcare la natura. E pochi anche oggi. Nemmeno io mi sottraevo a quella pessima abitudine. Fino a una domenica di giugno del 1967. Quel giorno, dopo aver pernottato al Rifugio Maniago, mi accinsi a scalare il monte Duranno. All’inizio della cengia trasversale raggiunsi un signore coi capelli bianchi che procedeva piuttosto lentamente. Anche lui puntava alla vetta. Avrà avuto sessantanni. Mi disse che era di Udine. Aveva modi gentili e un viso buono. Il ripido canalone finale era intasato di neve dura. Io avevo i ramponi. L’occasionale compagno mi pregò di aiutarlo. Non se la sentiva di andare da primo, ma gli dispiaceva molto rinunciare alla cima. Tirai fuori la corda e, piano piano, lo accompagnai fino in vetta. Lassù, dopo la stretta di mano, che non mancò di commuovere l’amico, e gli autografi sul libro delle ascensioni, ci mettemmo a contemplare il panorama. Lui tolse dallo zaino qualche cosa da mangiare e me ne offrì. Da bere aveva solo acqua. Io una bottiglia di birra da tre quarti. Sbocconcellando pane e formaggio e tirando dieci sorsi io e mezzo lui, finimmo la birra. Il sorso finale toccò a me, e fu un bene. Probabilmente senza quello non avrei ricevuto la lezione. Trangugiai le ultime gocce e buttai la bottiglia giù per il piccolo ghiaione della cima. Per me, allora, quello era un gesto normale. Il vetro non si ruppe, e l’uomo di Udine non parlò. Si alzò lentamente, percorse i pochi metri che lo separavano dalla bottiglia, la raccolse, risalì e la infilò nel suo zaino. Poco più tardi scendemmo, passammo al rifugio e da lì a Erto. La lezione mi servì. Da quel giorno non ho più buttato
per terra nemmeno un fiammifero usato. Maestri speciali Una volta, quando ero piccolo, l’educazione dei bambini all’esperienza e ai trucchi della vita veniva impartita in modi quasi brutali, senza fronzoli o aggiramenti, in maniera diretta, a volte mettendo a rischio la stessa incolumità degli educandi.Parlavano a stento sputando solo l’essenziale. Per insegnarmi qualcosa non aprivano quasi bocca, si comportavano e basta."
Non sottovalutiamo l'importanza dei nostri gesti, pensate un pò a questo signore di Udine. Era il 1967 ed erano in cima ad un monte, a distanza di 44 anni c'è ancora chi ne trae insegnamento.. Che forza!