Chi ha sviluppato questa tecnica utilizzando attrezzature moderne, ed ancora una volta dobbiamo fare riferimento al Giappone, ci ha dimostrato come, utilizzando canne appropriate, artificiali con alle spalle ore ed ore di sviluppo in mare e fili trecciati, sia possibile incrementare notevolmente il bottino delle nostre battute di pesca. Anche in Mediterraneo. Attrezzature dedicate all’eging che che ci permetteranno di raggiungere distanze di lancio impensabili ed avere la necessaria azione per ferrare questi predatori particolari, noti per la capacità di slamarsi anche a pochi centimetri dal guadino.
I nostri colleghi giapponesi ci hanno insegnato che ogni tecnica deve essere approcciata nella giusta maniera. I cefalopodi sono predatori scaltri e volubili, pescati da decenni con lenze a mano e tecniche superficiali.

Su e giù… per calamari!

Della pesca ai Cefalopodi, primo su tutti il calamaro, abbiamo già parlato su queste pagine e tornare sull’argomento , e sempre in periodo invernale, non è per svista né per casualità. Nei nostri mari il momento migliore per la pesca dei calamari cambia a seconda dei luoghi ma, solitamente, questi Cefalopodi si trattengono vicino alle coste proprio in questa stagione quando, oltre tutto, i pesci costieri si lasciano desiderare parecchio e i fattori meteorologici non consigliano di spostarsi troppo al largo con la barca. Per il resto dell’anno, da aprile a settembre, a mano a mano che l’acqua si scalda di calamari se ne vedranno sempre meno. Se poi consideriamo che questi Cefalopodi fanno la loro parte anche in cucina, e la fanno eccome, è facile capire perché sono in tanti i “lupi di mare” che durante l’inverno si dedicano alla pesca dei calamari.

Dal giorno alla notte

I moderni sistemi per la cattura dei calamari con attrezzature sportive variano leggermente a seconda che si peschi di notte oppure con la luce del giorno. Se il sole è ormai tramontato del tutto, si cattura alla grande trainando lentamente con l’aiuto dell’affondatore che tiene a mezz’acqua un particolare tipo di minnow che non imita un pesce, bensì un gambero, e non reca ancorette ma è armato, solo nella parte terminale, da una corona di aghi a formare una sorta di cestello. Dall’alba al tramonto, invece, è la tecnica classica ad avere la meglio, ovvero un alternato “su e giù” con le totanare. Qualcuno ancora la chiama “pesca a senna”, ricordando gli antichi trascorsi di questo sistema che ha dato origine, nei concetti e nel modo di agire, a una delle più moderne tecniche rivolte alla cattura dei pesci predatori, ovvero il “vertical jigging” . Quella attuale è la migliore stagione per la pesca ai calamari che negli altri mesi dell’anno, con il riscaldamento delle acque, si vanno rarefacendo.

Con le tenebre i calamari si avvicinano ancor più alle coste, staccandosi dal fondo in cerca di cibo, mentre di giorno si tengono in profondità, sulle scogliere sommerse o le praterie di posidonia, dai 25 ai 50 metri. Dunque è proprio su queste postazioni che dovremo andarli a cercare. Considerando che l’azione si effettua con la barca a scarroccio, per poter sondare maggiori porzioni di fondale conviene scegliere giornate poco ventose e punti con correnti sottomarine leggere: la nostra barca dovrà spostarsi molto lentamente, soprattutto per evitare che le lenze si mantengano troppo alte rispetto al fondale su cui stazionano i calamari.

Imitazione o realtà

Come accennato, gli artificiali da usare sono piccole totanare colorate che imitano il gamberone ma è bene sapere che in questa pesca il detto “esca grossa, pesce grosso” non vale, poiché capita spesso di ritrovarsi con calamari da una spanna infilzati su totanare quasi della stessa lunghezza oppure esemplari di oltre un chilo che hanno aggredito artificiali lunghi quanto una sigaretta… Di norma, quindi, si scelgono esche artificiali da 10-12 centimetri, considerando che quelle vendute normalmente nei negozi vanno dai 5 ai 15 centimetri. Oltre alle imitazioni funzionano benissimo anche le totanare “nude”, da 70 a 150 grammi di peso, formate da una semplice asta d’acciaio con in fondo il solito canestro di punte: non hanno l’attrattiva delle esche d’imitazione ma servono unicamente a portare in pesca esche naturali, come piccoli sgombri, sugarelli, sarde o boghe, infilandole completamente sull’asta a partire dalla bocca e assicurandone la testa con qualche giro di nylon per farle restare in posizione. C’è pure chi, invece del pesce, infila sulla totanara una spessa fetta di lardo avvolgendola con del filo elastico, poiché pare che il colore chiaro e il profumo del lardo attirino i calamari. C’è da dire, comunque, che non di rado la totanara semplice viene attaccata anche da altri Cefalopodi come seppie e polpi. D’altra parte, il vantaggio delle esche reali è dato proprio da odore, sapore e consistenza, che le imitazioni possono avere solo fino a un certo punto e solo se inzuppate negli specifici aromi. E, sempre a proposito di piccoli trucchi, accendere luci a pelo d’acqua per attirare i calamari è vietato… ma non lo è affatto piazzare una piccola fonte luminosa, come le astine “star light” per la pesca notturna con il galleggiante, in prossimità degli artificiali o delle totanare con esca naturale. Sono piccoli ma efficaci richiami che spesso fanno la differenza.

La lenza perfetta

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Sembrerà strano eppure, anche in una pesca semplice come quella dei calamari, la lenza ha la sua bella importanza. Detto questo, prima di tutto si prepara uno spezzone di nylon del diametro 0,30-0,40 lungo un paio di metri, formando una gassa a una delle due estremità e legando una girella con moschettone dall’altra parte. Poi, cominciando dall’alto, a circa 50 centimetri andremo a creare un’asola sul trave e, a seguire, ne formeremo un’altra alla medesima distanza: entrambe le asole serviranno come attacco per gli artificiali. Allo stesso scopo possiamo anche ricorrere a due braccioli lunghi da 15-20 centimetri dello 0,25-0,28 da fissare alla lenza principale, detta “trave”, con uno snodo a girare.
Al moschettone della girella in fondo al trave va agganciato il piombo, da scegliere in base all’intensità dello scarroccio (solitamente da 70 a 150 grammi di peso). In fondo alla lenza possiamo anche mettere la totanara semplice arricchita con l’esca. Completano l’attrezzatura una robusta canna da bolentino da 2,10 a 3 metri di lunghezza e ad azione di punta, meglio se telescopica per ridurne l’ingombro in barca, e un mulinello di taglia media con una discreta frizione per non lacerare i tentacoli delle prede durante il loro recupero a bordo.

Andamento lento

Le zone ideali per questa tecnica sono le scogliere miste a grandi banchi di posidonia, ma sono ottime anche le secche staccate dalla costa. Le profondità ideali sono intorno ai 25 metri ma si possono fare catture anche a quote minori. Senza troppo “strappare”, si cala la totanara sul fondo per poi alzarla di qualche decina di centimetri dando vita a un dolce movimento su e giù, abbassando e alzando ritmicamente la canna. Non appena il calamaro si avventerà sull’esca, avvertiremo un peso anomalo sulla lenza e dovremo iniziare un lento ma costante recupero. In questo caso, chi si ferma è perduto… perché gli artificiali e le totanare semplici non hanno ami dotati di ardiglione per trattenere la preda ma semplici punte montate a cestello: basta lasciare lasca la lenza, anche solo per un attimo, e la preda si sfila. D’altra parte non è nemmeno il caso di tirare troppo o in maniera discontinua, perché le carni della preda si lacererebbero lasciandoci a bocca asciutta due volte: il calamaro, infatti, dà il meglio di sé proprio nel piatto!

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