PESCA A FONDO – SETTORI E STRATEGIE

Tornando a casa dopo una battuta di pesca a fondo con il secchio desolatamente vuoto o pressoché tale, ciascuno di noi si pone la solita domanda: cosa ho sbagliato? A parte la crisi ittica che accomuna i nostri mari, lo scrupolo di non aver fatto tutto per benino ci assale comunque.

Personalmente riesco ad andare poco a pesca (sigh!) ma qualche battuta veloce ed in solitaria in questi ultimi mesi sono riuscito a farla ed il risultato è sempre quello: una max due mormore, un’oratella, qualche immancabile pagelletto e stop.

In queste poche uscite ho frequentato solo due spot, sia per mancanza di tempo che per difficoltà di accesso alle spiagge causa stagione balneare ma, se non altro, sono riuscito a trovare condizioni meteomarine diverse: dalla piatta totale al mare poco mosso, dal vento forte al calo di pressione, tuttavia senza riscontrare differenze sostanziali. Scambiando qualche chiacchiera con il vicino di turno le considerazioni sono sempre le solite: l’acqua è ancora fredda, la stagione è in ritardo, ormai non c’è più niente ecc. Solo l’ultima affermazione mi trova in parte concorde nel senso che fino ad una decina d’anni fa ti capitavano quelle sere in cui tiravi su diverse ciabattone di mormore portandoti a casa un secchio al limite del consentito di legge.

Le altre considerazioni mi fanno semplicemente sorridere. Di indole sono un incallito ottimista e mi piace pensare che le nostre acque non siano divenute ormai un cimitero ma, piuttosto, attribuisco gli scarsi risultati ad una serie di congetture diverse e magari alla concomitanza delle stesse. Vi dico sinceramente che quando arrivo, sacca, secchio e zaino in spalla sulla spiaggia prescelta, in condizioni di mare calmo, vado sempre in crisi.

La mancanza di qualunque riferimento mi mette in ansia e finisco per scegliere il posto più comodo e più vicino alla macchina. Immancabilmente rimpiango le battute a surfcasting dove un minimo di ragionamento, giusto o sbagliato che possa poi rivelarsi, lo metti in atto. Ma in condizioni di PAF è possibile effettuare una programmazione ed adottare delle strategie?. Se devo essere sincero propendo per il no eppure, sotto sotto, mi piace pensare che anche per questa tecnica qualche mossa che possa migliorare i risultati ci possa essere.

In tanti anni di pesca mi è capitato varie volte, ed è capitato certamente anche a voi, che il nostro compagno di serata abbia continuato a pescare con una frequenza incredibilmente superiore alla nostra. Altre volte siamo stati noi ad essere baciati dalla fortuna ma, andando a verificare le strategie di pesca, non abbiamo rilevato alcuna differenza con il nostro collega: stessi calamenti, stessa esca, stesse distanze.

Abbiamo scrutato il bagnasciuga ed il tratto di mare antistante le nostre postazioni, ma nulla: identici come due fratelli siamesi. L’indice viene quindi inesorabilmente puntato sul fattore “C” (leggasi fondoschiena). Ma, se vogliamo proprio attribuire un intervento della sorte dobbiamo farlo in termini oggettivi e non soggettivi.

Mi spiego meglio: la mia fortuna è stata quella di essermi inconsciamente posizionato proprio in quel posto non perché la dea bendata abbia indirizzato il branco di mormore davanti alle mie esche a prescindere dalla postazione scelta.

Non sto dando i numeri ma semplicemente valutando che se sono qui da due ore a guardare le cime immobili delle canne, posso decidere di spostarmi 50 metri più in la. In definitiva è il pescatore che deve capitare sul branco di pesci e non è il branco che va a mettersi sotto le canne del pescatore. Valutando aspetti meno empirici, quali fattori possono influenzare la scelta della nostra postazione? Io ci metterei in primis la vicinanza di una foce.

Per esperienza diretta ho potuto notare che posizionandosi ai confini di espansione della corrente di acqua dolce proveniente dal fiume potremmo sperare in qualche risultato in più. Gli sparidi non sono insensibili a queste promiscuità d’acqua ma non amano addentrarsi nell’occhio del ciclone come fanno le spigole. Quindi i punti migliori sono quelli estremi che l’acqua dolce va a lambire.

In mancanza di sbocchi d’acqua dolce dovremo andare a ricercare altri indizi. Se ci troviamo su fondali bassi potremo avere la fortuna di imbatterci in qualche ricciolo di schiuma che denota la presenza di un cordolo di sabbia o di una secca e questo sarà un punto da prediligere.

Su spiagge profonde potremo scoprire dei punti propizi osservando le variazioni cromatiche del fondale oppure individuando dei banchi di posidonia e lanciando nelle vicinanze. Anche se ci troviamo di fronte ad un mare forza olio, una cosa da non tralasciare è quella di “saggiare il fondo”. Perderemo qualche minuto di tempo ma qualche volta può valerne la pena. Basta lanciare con il solo piombo alla massima distanza raggiungibile, mettere la canna di lato e parallela alla spiaggia e recuperare lentamente con brevi intervalli.

Con questa operazione potremo avere diverse risposte. Se sentiamo saltellare il piombo avremo un fondo “ondulato” e chiuso e potremo fare la prova del nove mettendo la canna sul picchetto e cercare di mettere la cima in tensione: ci accorgeremo che il cimino tende ad allentarsi dandoci la sensazione di aver perso il piombo. Questa è una postazione da evitare. I nostri amici pinnuti, mormore in primis, grufolano infilando il muso nella sabbia ma in questo caso si troverebbero davanti ad un fondo compatto che non si presta allo scopo.

Se il piombo viene recuperato uniformemente e con un certo “grip” il fondale è aperto e soffice e può farci ben sperare. Se durante il recupero ci imbattiamo in un “blocco” comunque scavalcabile con un richiamo della canna, è un altro punto da tenere in considerazione perché potrebbe equivalere ad un cordolo di sabbia dove è probabile il deposito di sostanze nutritive.

Se il recupero del piombo, inizialmente fluido, diviene pesante e all’arrivo il nostro calamento è coperto da alghe morte, è segno che siamo passati sopra un tappeto. Ciò non è controproducente se abbiamo l’abilità di posizionare l’esca poco prima dell’accumulo detritico oppure pescare addirittura al suo interno adoperando un bracciolo flotterato ed attaccato piuttosto in alto rispetto al piombo.

L’unica accortezza, in queste situazioni, è quella di non far “camminare” il piombo per evitare che l’esca venga nascosta. Quindi dopo il lancio recuperiamo il filo in eccesso limitandoci a mettere la cima in leggerissima tensione.

Quali ultime raccomandazioni ci sono quelle di ricorrere alla “trainetta” che stimola la curiosità dei grufolatori e, specie se ci troviamo in spiagge profonde, di sondare i primi metri: anche a mare calmo i nostri amici potrebbero essere sotto i piedi.
Se nessuno di questi espedienti dà i suoi frutti allora non ci resta che affidarci al solito fattore “C”

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Di admin